La Jornada – Venerdì 4 aprile 2008
Esistono gravi irregolarità nel processo contro l’indigeno tzotzil condannato a 60 anni di carcere
 Hermann Bellinghausen

Alberto Patishtán Gómez, professore tzotzil e membro de la Voz del Amate, in sciopero della fame dal 25 febbraio nel Cereso 14 di Cintalapa, Chiapas, è stato condannato a 60 anni di prigione con l'accusa di aver ucciso sette poliziotti nei dintorni di Las Limas (El Bosque) nel giugno del 2000. Nella stessa sentenza era stato assolto un altro imputato, Salvador López González, base di appoggio zapatista, perché il giudice aveva ritenuto che l'unico sopravvissuto, Rosemberg Gómez, "non aveva dichiarato il vero quando l'aveva denunciato". 

"L'attuale governo sembra deciso a continuare a diffamare il condannato che è pronto a morire di fame se non recupera la sua libertà", ha dichiarato la Otra Jovel.

Secondo la sua difesa rappresentata da Gabriela Martínez López, "l'unico testimone era stato indotto a testimoniare in maniera inverosimile contro López e Patishtán". Il giudice ignorò l’inconsistenza delle prove e diede la massima pena al secondo che presentò prove ragionevoli di non avere partecipato all'imboscata. Nonostante l'appello e la difesa diretta è stato condannato nel maggio del 2003. "Chi lo conosce sa della sua innocenza manifesta e della forza morale che gli ha fatto prendere la decisione più importante della sua vita: metterla a rischio affinché il suo caso sia rivisto. La sua condanna è la vendetta delle autorità perché si trattava della morte di poliziotti". Avevano bisogno di un "capro espiatorio", cosa che ricorda il celebre caso del leader lakota Leonard Peltier, condannato al carcere a vita negli Stati Uniti "perché qualcuno doveva pagare" la morte di un agente dell'FBI.

Patishtán apparteneva ad un gruppo di comuneros in disaccordo col presidente municipale di El Bosque, il priista Manuel Gómez Ruiz, che li teneva sotto minaccia. Un mese prima dell'imboscata avevano fatto un corteo nella capitale dello stato. Il giorno dei fatti Patishtán si trovava nel municipio di Huitiupan con altri capifamiglia, perché lì gestiva un albergo. Le prove sono riportate nell'istruttoria.

I suoi rappresentanti chiedono di "rivedere il suo caso nel contesto di quegli anni, quando la rappresaglia politica era la regola". Bisogna ricordare che nella zona operava, fuori controllo, il gruppo paramilitare-criminale Los Plátanos, circa 80 ragazzi addestrati dalla polizia e dall'Esercito federale stabiliti nella comunità Los Plátanos. Il periodo del governatore Roberto Albores Guillén (1998-2000) "era di repressione, morte ed azioni paramilitari". Il 10 giugno 1998 centinaia di poliziotti e soldati attaccarono le comunità Chavajeval, Unión Progreso ed El Bosque, con un saldo di 8 morti ed oltre 50 detenuti. Nel 1999 la violenza in Chiapas era coperta dall'Esercito che aumentò la sua presenza da 66 a 111 municipi. Alla fine del 2000 erano avvenute altre 8 esecuzioni solo negli Altos.

Le prime indagini della Procura Generale della Repubblica indicavano che gli autori potevano far parte di uno dei gruppi armati sotto inchiesta (risultata inutile) dell'Unità Speciale per i Crimini Comoiuti da Probabili Gruppi di Civili Armati, che concluse che il gruppo aggressore si era impadronito delle sette armi che portavano i poliziotti, di uso esclusivo dell'Esercito. "Come avrebbero potuto farlo solo due persone? Come si potevano mettere insieme un priista (Patishtán a quell'epoca lo era) ed uno zapatista (Salvador Gómez) per imboscare poliziotti? Non si conoscevano neppure. Questo non è mai stato spiegato", contestano membri dell'Altra Campagna.

Patishtán adduce una rappresaglia dell'allora sindaco Gómez Ruiz, che obbligò suo figlio Rosemberg ad accusarlo. "Oggi sappiamo dai familiari di Patishtán che la testimonianza è stata comperata con un camioncino Ford nuovissimo. Ogni volta che Rosemberg si ubriaca confessa di essere stato obbligato a 'mandare in prigione' Patishtán", aggiunge il rapporto della difesa.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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