La Jornada – Martedì 24 luglio 2007
ANCORA INATTESE LE RICHIESTE DEL MOVIMENTO ZAPATISTA
HERMANN BELLINGHAUSEN

Ejido Morelia, Chis. 23 luglio - "Non abbiamo recuperato la faccia perché le richieste della nostra insurrezione sono ancora inattese e non vogliono riconoscerci, cosicché ci riconosciamo da noi stessi". Da comandanti veterani a giovani promotori, l'analisi a più voci delle testimonianze ascoltate oggi è la definizione etica e la strategia compiuta della lotta pacifica.

Saulo, della giunta di buon governo (JBG) di questo caracol, ammette: "Promuovere e proteggere l'autonomia è un poco difficile. Lo sanno bene tutti i compagni che hanno partecipato alle diverse commissioni. Ci manca molto. Per esempio, studiare. L'educazione non ha una fine, si fa sempre".

Cita altri aspetti dell'amministrazione dei governi ribelli. "Per noi, la giustizia non si può comprare. La giustizia non ha amici. Chi risulta essere colpevole, merita la punizione. Non come quella del malgoverno che la rende un affare, come tutto, e nemmeno informa dove finisce il denaro che guadagna con la sua giustizia". Ribadisce che nemmeno la terra si vende. "Non consegneremo quello che vogliono rubare alle comunità, ma grazie al fatto che ci siamo svegliati non ce la faranno".

Così si chiude l'esposizione collettiva e domestica sull'autonomia nella sua lotta giorno per giorno, senza magniloquenza, diretta, spontanea. Nella presentazione della regione Tzotz Choj su educazione, salute, giustizia e produzione, nessuno ha avuto bisogno di leggere la sua partecipazione. I giovani promotori hanno parlato con disinvoltura e chiarezza davanti a circa duemila persone, tra basi ribelli e partecipanti internazionali al Secondo Incontro dei Popoli Zapatista con i Popoli del mondo. E tutti hanno dimostrato una notevole esperienza.

Il comandante Moisés ammette: "Abbiamo fatto errori, ma siccome non siamo politici né intellettuali lo ammettiamo". Presiedono la riunione decine di persone, membri dei sette consigli autonomi, le commissioni, la JBG, il comando ed i collettivi. La presenza delle donne ed il loro livello di partecipazione sono determinanti.

"Se non lo facciamo noi, nessuno lo farà per noi", è l'idea che circolava nei primi anni tra le comunità che si erano sollevate in armi contro il governo, nel 1994. Espresso oggi da un membro della JBG davanti ad un auditorium pieno non suona come uno slogan, ma è una dichiarazione. Solo così si comprendono piccole epopee, come quella dell'educazione autonoma in questi sette municipi.

Claudia, promotrice di insegnamento nel municipio autonomo Lucio Cabaña, spiega come erano "prima" le cose. Ha solo 15 anni, ma nessuna comandante veterana potrebbe eguagliare la sua dolce eloquenza: "In un altro tempo ci obbligavano ad andare a scuola, ma quello che importava loro era avere l'aula piena, non insegnare. La maggioranza degli indigeni sono analfabete perché ci hanno ingannati con l'educazione". La sua valutazione dei maestri istituzionali è demolitrice: di sei che dovrebbe avere la scuola, non ne arrivano più di tre; fanno lezione solo due o tre giorni la settimana e lavorano la metà dell'orario; bevono e sono i primi a picchiare le mogli.

"Sanno educare il loro cane, ma per loro noi siamo inutili. Gli conviene che noi indigeni restiamo ignoranti per non trovare lavoro o restare solo agli ordini dei padroni. Per questo abbiamo deciso di realizzare da noi i nostri studi".

Il promotore Abraham prosegue il racconto: "Invece di maestri, il governo mandava soldati per maltrattare i bambini. Così, nel 1994 eravamo rimasti senza lezioni a scuola. Ma il popolo non voleva aspettare ed ha fatto da solo l'insegnamento". Il processo si è trasformato nel 1999, quando è stata definita la "nuova educazione autonoma verso la pace giusta e degna". Le comunità "si sono accordate su come dovevano essere le lezioni e che cosa si sarebbe insegnato". Con gli elicotteri militari sopra la testa, stabilirono allora i calendari e le materie.

"Ogni comunità è stata presente nella costruzione dell'educazione autonoma", spiega con naturalezza Abraham. "Da allora il governo ha cominciato ad offrire cibo e denaro a quelli che erano nei partiti. Ed ha cercato di distruggerci. Nel 2000, i paramilitari perseguitavano i promotori di educazione".

E dice: "Vogliamo un insegnamento che rafforzi la nostra cultura e lingua, il collettivismo, il cameratismo. Che risponda alle necessità delle comunità. Che difenda la dignità di uomini e donne. Che sia un modo di gestire la nostra vita e di madre natura. È forse un crimine?".

Subito dopo, Samanta racconta che le comunità designano chi si preparerà ad essere promotore e lo appoggerà nei suoi lavori. Spiega i tre livelli della primaria: "Nuovo ingresso, nastro verde; media superiore, nastro bianco, superiore, rosso". Questi ultimi sanno scrivere, leggere, sanno storia e matematica. Nella regione, attualmente ogni comunità zapatista ha una primaria in funzione e tutte hanno bambini e maestri. In ogni municipio c'è una secondaria, e per la regione una secondaria tecnica. Quello che, per concludere, Adrián definisce: "Un altro livello di educazione per i popoli".

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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