La Jornada – Giovedì 22 novembre 2007
 REPORTAGE /A dieci anni da Acteal
In alcuni paesi erano avvenuti episodi peggiori, ma mai avevano avuto una tale ripercussione
Stupore nel mondo per il massacro
La fredda parsimonia del governo messicano rispetto a quanto succedeva nel municipio di Chenalhó si continua a vedere dopo dieci anni - L'acutizzazione della violenza ha a che vedere con l'interruzione del dialogo: Samuel Ruiz
Hermann Bellinghausen/ Parte Diciotto

La Vigilia di Natale del 1997 tutti i media stampati ed elettronici parlano del massacro. Il mondo è allarmato. Molto più che di fronte ad altre atrocità simili del passato e del presente. Tempo dopo, ci furono guatemaltechi e salvadoregni che espressero sorpresa per le reazioni internazionali per Acteal. Nei loro paesi erano accaduti episodi anche peggiori, ma mai avevano avuto una tale ripercussione.

Deputati, senatori, vescovi, osservatori internazionali, avvocati, funzionari e giornalisti avevano conosciuto le vittime di persona. Solo giorni prima erano degli indigeni profughi che angosciavano la società civile. La fredda parsimonia del governo messicano davanti a quello che succedeva in Chenalhó si continua a vedere dopo dieci anni.

Lo stesso giorno del massacro, mentre questo succedeva, il sottosegretario di Governo del Chiapas, Uriel Jarquín Gálvez, si affannava a smentire - in un'inserzione a pagamento - il supplemento Masiosare di La Jornada, che alla vigilia aveva documentato la partecipazione di diversi enti ufficiali nel finanziamento del gruppo Paz y Justicia. "Il governo federale e statale non appoggiano l 'insurgencia né la cosiddetta 'contrainsurgencia'. Combattono, questo sì, il nemico comune di tutti i chiapanechi: la povertà" ( La Jornada, 23 dicembre).

L'informazione "negata" dalle autorità rivelava, con prove scritte, la presenza e la firma come "testimone d'onore" nella consegna di risorse a Paz y Justicia nella zona nord, del generale Mario Renán Castillo Fernández, quando era ancora il comandante dell'occupazione militare dei territori indigeni del Chiapas (Masiosare, 21 dicembre). Poche volte una smentita ufficiale è caduta così nel vuoto.

La Jornada registra anche le opinioni dell'ex guerrigliero e consulente governativo Gustavo Hirales, per il quale riferirsi a Paz y Justicia come struttura paramilitare "è un mito creato dai dipartimenti ufficiosi di propaganda dell'EZLN, la diocesi di San Cristóbal e le sue cinghie di trasmissione". Poco prima del massacro, Hirales sosteneva su El Nacional, giornale della Segreteria di Governo, che è una "favola ed un mito prefabbricato" che in Chiapas ci "sia una guerra di bassa intensità guidata dai più alti livelli dello Stato".

Il presidente Ernesto Zedillo rivolse un messaggio alla nazione il giorno 23, dove dichiarava che "non esiste nessuna circostanza che possa giustificare questo crudele, assurdo, inaccettabile atto criminale". Il fatto "riempie di lutto tutta la nazione, è un fatto che ci fa male ed offende tutti i messicani". Il mandatario si impegnò a che i responsabili avrebbero ricevuto "tutto il peso della legge".

L'Esercito federale si dichiarò in "massima allerta". Col pretesto di un presunto "forte movimento di truppe zapatiste", distribuì altre migliaia di soldati sulle montagne del Chiapas e riprese i pattugliamenti "in tutta la zona controllata dall'EZLN". In poche ore arrivarono nello stato più di cinquemila soldati; la metà si stabilirono immediatamente a Chenalhó ( La Jornada, 24 e 26 dicembre).

Il Congresso Nazionale Indigeno, il PAN ed il PRD chiesero la scomparsa dei poteri in Chiapas (mai avvenuta). Il segretario di Governo, Emilio Chuayffet, negò che il governo auspicasse atti illegali. Il dirigente nazionale del PRI, Mariano Palacios Alcocer, avrebbe detto e ripetuto più volte che il suo partito non aveva niente a che vedere col massacro, e che se vi avevano partecipato dei priisti, questo era "a titolo personale".

La Segreteria delle Relazioni Estere respinse le "dichiarazioni di portavoci o funzionari di governi stranieri od organismi internazionali" che chiedevano azioni al governo messicano in relazione "all'omicidio collettivo di Acteal" (notare l'eufemismo usato dalla Segreteria). La cancelleria di Angelo Gurría dichiarò: "questo costituisce un inaccettabile atto di ingerenza negli affari interni del Messico, paese che si è caratterizzato per il suo invariabile rispetto al principio di non intervento" ( La Jornada, 26 dicembre). Adesso sì, difendere la sovranità, nonostante le reazioni del suo amico, il mandatario statunitense Bill Clinton, che aveva manifestato la sua indignazione. Il primo ministro francese Lionel Jospin manifestò "profonda costernazione" e invitò il governo zedillista a "trovare i responsabili di questo massacro che non deve restare senza punizione".

Arrestati i primi assassini

Da Chenalhó, La Jornada informa in dettaglio sugli eventi successivi al massacro. il 25 dicembre si svolge la sepoltura delle vittime nella stessa Acteal. A circa 200 metri da dove furono uccisi, i 45 corpi mutilati, distrutti e decomposti degli indigeni ricevono sepoltura il giovedì ( La Jornada, 26 dicembre).

Il vescovo Samuel Ruiz García sottolineò che l'acuirsi della violenza in Chiapas aveva a che vedere con l'interruzione del dialogo in San Andrés Larráinzar tra il governo e gli zapatisti, e con la crescita dei "gruppi paramilitari che ci hanno detto che non esistevano, ma che sono apparsi a Chenalhó".

A partire dalle otto del mattino, con i loro abiti tradizionali, centinaia di tzotziles che la notte precedente avevano vegliato i loro morti, hanno percorso il corteo funebre da Polhó fino ad Acteal. Davanti, due bambini portavano un cartello: "Erode lo voleva, ma non è riuscito a distruggere la creatura. Nemmeno oggi riuscirà, anche se tanti innocenti dovranno fecondare col loro sangue questo suolo duro ed arido".

Da 20 minuti stavano percorrendo la strada tra i capoluoghi municipali di Chenalhó e Pantelhó, quando un camion di tre tonnellate fermava la sua marcia vicino a loro. I familiari degli indigeni assassinati indicarono subito alcuni degli occupanti come parte dei gruppi paramilitari che avevano crivellato di colpi le 45 persone di Las Abejas.

Il camion fu bloccato e 21 dei suoi passeggeri, tra loro uno con un giubbotto antiproiettile, furono obbligati a scendere. Tre di loro furono trascinati per i capelli per essere consegnati come "assassini" a Jorge García Sánchez, agente del Pubblico Ministero Federale.

Mireille Roccatti, presidentessa della Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH), durante il funerale ad Acteal assicurò che il governo di Julio César Ruiz Ferro aveva compiuto pochi progressi in quanto alle misure cautelari che doveva realizzare per i profughi della violenza. Roccatti segnalò che esisteva una richiesta esplicita al governo dello stato per fornire, "in maniera immediata", aiuti umanitari alla popolazione sfollata dalla violenza politica nel municipio di Chenalhó.

La funzionerebbe ricordò che era stato chiesto di adottare "le misure necessarie perché i profughi possano ritornare nelle loro comunità di origine, con tutte le garanzie per la loro sicurezza personale durante il loro ritorno e permanenza nelle proprie case". Tuttavia, si rifiutò di fornire qualsiasi informazione sull'avanzamento dell'indagine sul massacro, dichiarando che sarebbero state diffuse "nei prossimi giorni".

Il sindaco grato

Il sindaco Jacinto Arias Cruz ringraziò il presidente Ernesto Zedillo per il "suo appoggio ed intervento per fare luce sui fatti violenti di lunedì scorso in questo municipio". In una lettera indirizzata al capo dell'Esecutivo federale, anche il presidente municipale ringraziò il governatore Ruiz Ferro per i suoi sforzi "per arrivare al chiarimento di tutti i fatti di violenza registrati a Chenalhó".

Il sindaco priista ricordò che dal maggio precedente erano costanti gli scontri tra indiegeni della regione e dichiarò che le 45 persone "sono state massacrate da criminali". Poco dopo, egli stesso sarebbe stato fermato come complice e promotore del massacro.

Dopo il giorno 22 affiorarono molti altri dettagli sulla preparazione dell'attacco. Vicente, indigeno che aveva partecipato alle ultime negoziazioni tra autonomi ed ufficiali a Las Limas, raccontò il suo incontro a Chimix con i paramilitari, il giorno dell'ultimo incontro. Erano ubriachi quando lo minacciarono. "L'alcol si sente da lontano". Invece, disse, gli aggressori ad Acteal "non puzzavano di niente. Sbavavano", e si passava la mano sulla bocca, con schifo: "come cani rabbiosi". (La Jornada, 27 dicembre). Altri testimoni concordavano sul fatto che gli aggressori "sembravano drogati" mentre eseguivano il terribile crimine.

Vicente ricordò che agli inizi di dicembre il governo di Chenalhó inviò armi in sacchi di grano. Aveva obbligato un autotrasportatore a portare il carico fino a Tzajalucum, ma questi l'aveva scaricato a Majomut, dopo aver passato senza problemi un posto di blocco della polizia. Una volta a destinazione, i sacchi, riporta la notizia, "i paramilitari videro che c'erano carabine e fucili di piccolo calibro. Rifiutarono i secondi adducendo che: 'non servono. Vogliamo armi che ammazzano per bene'. Giorni dopo ricevettero delle armi con le caratteristiche richieste".

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

logo

Indice delle Notizie dal Messico


home