La Jornada – Venerdì 20 aprile 2007
Gilberto López y Rivas
Popoli indigeni: tra aggressioni e resistenze

Notizie recenti riferiscono della stimolante e contrastante realtà nella quale vivono i popoli indigeni in America Latina. Una è in relazione con José María Aznar, che si appresta ad incitare alla lotta contro i movimenti indigeni che egli considera terroristi, plagiando le tesi dei circoli dell'intelligentsia imperialista che in uno dei suoi rapporti sui pericoli che incombono sugli Stati Uniti hanno identificato questi popoli come minacce contro la stabilità del mercato e lo sfruttamento capitalista, e questo, va contro la sua "sicurezza nazionale" [Rapporto del Consiglio Nazionale di Intelligence degli Stati Uniti. Tendenze Globali per l’anno 2020].

Nel suo libro, America Latina: un’agenda di libertà (sic), questo dirigente dell'estrema destra spagnola con pretese da neoconquistatore si lamenta dell'appoggio "irritante" che settori delle sinistre europea e statunitensi offrono ai movimenti indigeni latinoamericani e li paragona erroneamente con quelli del nazionalismo europeo, prescrivendo il più crudo integralismo educativo e culturale per risolvere il problema indigeno.

Con molta frequenza gli esperti latinoamericani stabiliscono le differenze di forma e contenuto tra i movimenti autonomisti indigeni ed i nazionalismi europei, soprattutto per quanto riguarda le loro espressioni più esacerbate: non esiste un solo movimento dei popoli indios che abbia utilizzato il terrorismo, pianificato la creazione di uno Stato proprio, incitato alla "pulizia etnica" o condotto guerre come quella dell'ex-Yugoslavia o quella attuale in Cecenia, nella Federazione Russa. Precisamente perché l'autonomia è la domanda che sintetizza la difesa dei loro diritti collettivi alla terra ed al territorio, dei loro diritti economici, politici, sociali e culturali: l'obiettivo delle loro lotte non è la rottura degli attuali stati nazionali ma la loro rifondazione su basi democratiche e che riconoscano la diversità etnico-nazionale.

Le affermazioni di Aznar non sono solo il prodotto della sua ignoranza sulla situazione delle etnoregioni in America Latina, ma anche della necessità di adattare la realtà indigena alle sue arretrate tesi politiche sulla questione nazionale nel proprio Stato spagnolo ed adeguarsi a quelle che patrocinano i partiti della destra latinoamericana e di quelli che in Europa confondono ed equiparano i movimenti autonomisti indios con l'indigenismo.

Un altro momento in relazione con la questione etnico-nazionale ha a che vedere con i tentativi del presidente spurio del Messico, Felipe Calderón, per dare un secondo fiato al Piano Puebla-Panama, progetto che attacca direttamente i territori, le risorse naturali e le condizioni di vita dei popoli indigeni-contadini del Messico e dell'America Centrale attraverso la costruzione di strade, dighe di sbarramento, corridoi ferroviari per le merci, industrie maquiladoras, agroindustrie, piantagioni a monocoltura, complessi turistici, industrie petrolifere, affari ad alta tecnologia nelle telecomunicazioni in fibra ottica. Tutto questo a beneficio delle imprese transnazionali e dei loro soci locali, ed a partire da una strategia di maggiore repressione e militarizzazione con il pretesto calderonista della lotta al crimine organizzato ed al terrorismo.

Il più recente evento è il terzo Vertice Continentale dei Popoli e Nazionalità Indigene di Abya Yala, realizzato in Guatemala il mese scorso, nella cui dichiarazione finale si ratificano i principi millenari di complementarietà, reciprocità e dualità, e la lotta per il diritto al territorio, a madre natura, all'autonomia ed alla libera determinazione dei popoli indigeni.

Coscienti dei pericoli che la nuova forma di espressione della globalizzazione capitalista rappresenta per l'umanità nel suo insieme, il terzo vertice si è pronunciato per: "Appoggiare il processo di alleanze tra i popoli indigeni ed i movimenti sociali del continente e del mondo che permettano di affrontare le politiche neoliberali e tutte le modalità dell'oppressione".

Confutando le tesi di Aznar sulla presunta influenza e danno che i movimenti indigeni farebbero all'integrazione nazionale dei paesi latinoamericani, il vertice si pronuncia per un processo nazionalitario e di "unità nazionale" diametralmente opposto alla logica dei gruppi dominanti poiché si propone di: "Consolidare i processi spinti per rafforzare la rifondazione dello stato-nazione e la costruzione degli stati plurinazionali e di una società interculturale attraverso le Assemblee Costituenti con rappresentanza diretta dei popoli e nazionalità indigene". Hanno anche deciso di: "Avanzare nell'esercizio del diritto all'autonomia ed alla libera determinazione dei popoli indigeni, anche senza il riconoscimento legale dello stato-nazione".

Il terzo vertice ha ratificato il rifiuto dei trattati di libero commercio che colpiscono la sovranità dei popoli ed ha riaffermato la sua decisione di difendere la sovranità alimentare e la lotta contro i transgenici, avvertendo i popoli indigeni "sulle politiche della Banca Interamericana di Sviluppo, della Banca Mondiale e di entità affini per la loro penetrazione nelle comunità con azioni di assistenzialismo e di cooptazione che mirano alla disarticolazione delle organizzazioni autonome e legittime". È trascendentale che il vertice abbia deciso di costituire il Coordinamento Continentale delle Nazionalità e dei Popoli Indigeni di Abya Yala per affrontare con successo le forme di riconquista che propongono i nuovi crociati della globalizzazione capitalista.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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