La Jornada – Domenica 18 dicembre 2007
REPORTAGE / A dieci anni da Acteal
Provocazioni montate per preparare lo scenario
La pace è solo un'immagine retorica nel discorso di Zedillo - Il dialogo, una simulazione per proseguire con la violenza - Di fronte all'assenza del governo di risolvere il conflitto, l'EZLN allerta sul reale carattere del PRI: "il nemico dei popoli indios e sterminatore di zapatisti"
 Hermann Bellinghausen/ Parte Quattordici

Il 12 dicembre 1997 il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale (CCRI-CG) dell'EZLN informa "sulla situazione di migliaia di indigeni zapatisti, perseguitati, assassinati e cacciati dalle loro terre nel municipio di San Pedro di Chenalhó", dove più di 6 mila profughi di guerra "sono il risultato degli attacchi di bande paramilitari e della polizia dello stato, guidate entrambe dal governo statale con il beneplacito di quello federale" ( La Jornada, 15 dicembre*).

"Solamente nella comunità di Xcumumal si trovano rifugiati più di 3.500 indigeni. Sono completamente isolati, assediati da guardias blancas e poliziotti di Pubblica Sicurezza. Gli zapatisti di Chenalhó vivono alle intemperie e soffrono, oltre alla mancanza di abitazione, abiti e cibo, malattie che sono ormai epidemie", aggiungeva il CCRI.

"Il governo federale, statale ed il PRI, lungi dal fermare la loro ondata di aggressioni, vogliono eludere la soluzione del problema principale che è la scomparsa dei loro gruppi paramilitari ed il ritorno degli sfollati nelle loro comunità. Mentre finge dialogare, il priismo chiapaneco si dedica al saccheggio e distruzione dei beni degli espulsi dalle loro comunità. Caffè, bestiame, abitii ed utensili domestici vengono spartiti tra i paramilitari come bottino di una guerra nella quale ha sparato fino ad ora solo una delle parti, quella del governo e del suo partito".

La comandancia zapatista fissa la sua posizione: "Il PRI rivela il suo vero carattere: quello di nemico dei popoli indios ed uno degli esecutori della politica di sterminio contro gli zapatisti che persegue il governo federale. In giorni recenti la stampa nazionale ed internazionale ha mostrato la grave situazione che soffrono gli indigeni zapatisti di Chenalhó. Quanto visto sui media è solo una piccola dimostrazione della gigantesca dimostrazione di intolleranza e crimine con cui il PRI ed i governi federale e statale vogliono piegare la ribellione zapatista. Il fatto innegabile che gli indigeni vengano assassinati e perseguitati, senza che essi rispondano alle aggressioni, ha generato un'opinione pubblica sfavorevole al governo messicano"
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Si studiano gli attacchi

Per rimontare la corrente avversa, "i governi statale e federale ed i loro gruppi paramilitari pianificano di aggredire fisicamente il rappresentante del Vaticano, Justo Mullor, durante la sua prossima visita in Chiapas". Il piano dei paramilitari e del governo "è presentare questi attentati come realizzati da commandos dell'EZLN e, per questo, vestono i loro sicari con uniformi e contrassegni dell'EZLN". Le "apparizioni" recenti di gruppi armati presuntamente zapatisti a Las Margaritas ed in altri punti della geografia chiapaneca sono "provocazioni montate per preparare lo scenario che vogliono". Di fronte a questo, l'EZLN dice: "Come dall'inizio del dialogo, le truppe zapatiste si mantengono nei propri quartieri di montagna e non hanno realizzato né realizzano nessun movimento offensivo o al di fuori delle loro posizioni".

Il comunicato aggiunge: "Oltre a coinvolgere l'EZLN nell'aggressione progettata contro il nunzio, il governo vuole insabbiare l'attentato che Paz y Justicia ha perpetrato contro i vescovi Samuel Ruiz e Raúl Vera, e distogliere l'attenzione mondiale che il caso di migliaia di indigeni sfollati da bande prieste a Chenalhó ha provocato negli ultimi giorni".

Invece di ordire "complicati complotti" come argomento per usare a fondo l'opzione militare, il governo federale dovrebbe fermare i suoi paramilitari, permettere il ritorno delle migliaia di profughi di guerra e rispettare senza dilazione la sua parola impegnataa in San Andrés Sacamchén de los Pobres. Così si contribuirebbe al dialogo e la pace smetterebbe di essere una figura retorica nel discorso zedillista".

L'EZLN lancia "un appello urgente" alla società civile nazionale ed internazionale "affinché accorra in aiuto dei nostri fratelli di Chenalhó". La situazione "è drammatica, di vita o di morte per migliaia di indios ribelli che credono ancora che la loro lotta non è contro altri indigeni, ma contro il sistema che li condanna alla morte ed all'oblio"
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Il dramma degli esiliati

Intanto, il presidente in turno della Cocopa, Carlos Payán Velver, dichiara che la situazione è "molto grave" ed "è imprescindibile che tutta la società incominci a protestare e preoccuparsi" (13 novembre). Le immagini mostrate in televisione da Ricardo Rocha scuotono milioni di persone nel paese. Il supplemento Masiosare di La Jornada il giorno 14 pubblica il reportage di Blanche Petrich "La tragedia dei profughi". Ormai nessuno può dire che Chenalhó è un segreto. Così l'inviata descrive la vita di un "accampamento":

Xoyeb è un casale a metà strada  tra Polhó e Yabteclum, di fianco ad un ocotal, in un avvallamento tra le montagne. Sono 13 casette familiari, di legno e tetti di lamiera tra milpas e banani. Tutti hanno aperto le porte per condividere il poco che hanno con l'ondata dei nuovi arrivati, i loro vicini.  

Questi 488, con due neonati, sono di Yibeljoj. Stanno in due "accampamenti", tetti minimi di foglie di banana. Gli ammalati più gravi sono alloggiati dentro le case o sotto i pochi teli di plastica disponibili, perché è inverno e piove continuamente. Cacciati dalla loro terra ancestrale, sono qui da due mesi. Il promotore di salute stima che l'80% dei bambini ed il 60% degli adulti soffre di febbri. Ci sono dissenteria, malattie respiratorie e gastrointestinali, tifo, alto rischio di colera.

Sotto una di queste minuscole coperture sta Zenaida. Ha 16 anni. Il suo primo figlio, gli occhi insonnoliti dalla febbre, la pancia infiammata dai vermi, gattona nel fango. Ancora non mangia tortilla e vuole il latte. Ma la sua mamma lo guarda senza vedere, si stringe le ginocchia, si lamenta: anche a lei fa male la pancia e la sua gonna azzurra indaco è inzuppata in sangue. Il suo secondo figlio non nascerà più. E non ci sono antibiotici, neanche un'asipirina, per aiutarla a sopportare le conseguenze dell'aborto. Sua zia, inginocchiata al suo fianco, imbastisce frasi in tzotzil. Suo marito sta in silenzio. Non possono fare niente per Zenaida. Neanche un tè.

Quando albeggia negli accampamenti nessuna donna è sotto le tettoie. Dai camini esce fumo. Ogni casa è una cucina collettiva. Centinaia di mani cooperano per attizzare i fuochi, tagliare la legna, cuocere il mais, macinarlo, cuocere tortillas. Ne spetteranno due o tre a testa. Per tutta la giornata. Fino a domani.  

A mezzogiorno tutti avranno svolto qualche compito. Approfittando di un poco di sole, gli uomini stendono le camicie bagnate. Le donne asciugano i loro huipiles addosso. Si spulciano l'una con l'altra e chiacchierano. Ed i bambini, in mezzo al dramma, ridono.

L'ultimo dialogo di pace

Una nuova riunione di priiti e zapatisti a Las Limas il martedì 16 vede la firma di un "patto di non aggressione" e mentre i ribelli insistono che lo rispetteranno e chiamano la Croce Rossa Internazionale e l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR), quello stesso giorno viene assassinato da un gruppo di incappucciati un noto priista di Quextic, Agustín Vázquez Secum, che si opponeva apertamente alla paramilitarizzazione della sua gente (dal 16 al 20 dicembre).

Immediatamente, il municipio ufficiale accusa gli zapatisti ed assicura perfino che i sopravvissuti dell'attacco hanno riconosciuto in due degli aggressori delle basi zapatiste (unica versione che raccoglierà la PGR nelle sue indagini, secondo Il Libro bianco di Acteal, 1998, ed a partire da lì i successivi "storiografi" incaricati, perché con questo pezzo si finì di costruire la spiegazione ufficiale di quello che sarebbe successo ad Acteal sei giorni dopo).

Quella stessa notte, Las Abejas raccontano diversamente i fatti: "L'imboscata è stata realizzata da priisti di La Esperanza, che hanno divergenze con i priisti di Quextic". L'informazione coincide con quella del consiglio autonomo di Polhó (18 dicembre), il quale aggiunge che in quella zona del muncipio non ci sono più zapatisti. Queste informazioni saranno ignorate d'ora in avanti dalle autorità, perché non quadrano con la "spiegazione" del "conflitto intercomunitario ed interfamiliare" che la PGR tenterà di imporre immediatamente dopo il massacro, per voce del procuratore Jorge Madrazo Cuéllar (27 dicembre).

Il giorno 19 fallisce l'ultimo tentativo di negoziazione a Las Limas. Gli autonomi non partecipano perché non ritengono che ci siano le condizioni di sicurezza per il trasferimento della loro delegazione. Il sindaco priista Jacinto Arias Cruz si oppone a che il lunedì 22 si incontri in una riunione a Las Limas con la commissione di verifica degli accordi, così come a fissare la data per un nuovo tentativo di negoziazione (20 dicembre). "Vi avviseremo poi", dice Arias Cruz ai mediatori. I priisti non avviseranno mai.

* Tutte le date tra parentesi corrispondono a notizie pubblicate da La Jornada

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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