La Jornada – Lunedì 17 dicembre 2007
"Questi passamontagna li rendono ancor di più umani"
John Berger sottolinea "l'autorità senza segni di autoritarismo" negli zapatisti
I membri della giunta di buon governo di Oventic sembrano "incarnare la giustizia; non come una forma di punizione, che è il senso che ha acquisito per i poveri, ma di speranza"
Hermann Bellinghausen – Inviato

San Cristóbal de las Casas, Chis. 16 dicembre - Col saluto più militante ascoltato in questo incontro della sinistra antisistema, John Berger ha stregato l'auditorium nel trasmettere i suoi stessi incantesimi, quelli che sempre incontra nel mondo del basso, perché lui guarda dal basso: "Compagni presenti ed assenti", ha detto. Ed ha dichiarato che lui ed i suoi accompagnatori, provenienti dall'Alta Savoia, a 10 mila chilometri di distanza, sanno di essere giunti in un luogo in cui "anche la montagna più piccola ha un nome".

Critico del visivo, narratore e compagno, Berger ha raccontato il suo incontro con la giunta di buon governo di Oventic lo scorso 14 dicembre. Aveva premesso che il suo contributo qui era limitato. "Tutti voi ne sapete molto di più di me della lotta in Chiapas". Ha fatto solo riferimento a quelle "cose che si presentano all'occhio del viaggiatore" ed ha offerto un ritratto impeccabile, impressionante, dei quattro indigeni tzotziles incappucciati, due donne e due uomini, che l'hanno ricevuto nell'ufficio della JBG per un'ora. Ed ha descritto quattro cose che hanno catturato la sua attenzione:

"Avevano autorità senza traccia di autoritarismo. E credetemi, l'autoritarismo, una volta acquisito, impregna tutta la vita delle persone. Questi passamontagna li rendevano ancora più umani. So bene che 'si sono coperti per rendersi visibili'. Ma perché? Lo potete leggere nei loro occhi. Il messaggio degli occhi è il meno controllabile delle espressioni facciali e, di conseguenza, il più sincero".

In secondo luogo, gli indigeni "sapevano di dire la verità, perché non c'è una sola verità. Niente inquieta di più che dire bugie, o mezze verità. Le bugie producono paura in chi le dice. In questo senso, nessun membro della giunta aveva paura. Ed essere così significa avere molta familiarità con il dolore".

"Fatica che divora l'anima"

Terzo: "la resistenza prolungata ed il buon governo possono produrre fatica, e la fatica divora a poco a poco l'anima come la ruggine, per cui bisogna accettarla e consolarla. Quando qualcuno della giunta non parlava, allora lo faceva un altro di loro, socchiudeva gli occhi, un gesto di consolazione senza pretese, per rispetto alla fatica".

Quarto: "Per noi, che li vedevamo al loro tavolo ad esporre la visione politica della loro situazione, qui e nel mondo, in quel momento rappresentavano l'antitesi di tutti i discorsi politici dei leader di destra e di sinistra che vediamo giorno e notte. E l'opposizione era nei loro corpi, nelle loro voci, nei loro ritmi, nelle loro menti, nelle loro dita, nelle loro anime. Sembravano incarnare la giustizia. Non come una forma di punizione, che è il senso che ha acquisito per i poveri in tutto il mondo. Non punizione ma speranza. Si deve inoltre considerare che la speranza non è una promessa, ma energia per l'interminabile e quotidiana lotta per vivere con un vero senso della dignità".

A questo punto, ha annunciato che avrebbe raccontato una storia. "Da dove vengono le storie?", si è chiesto. E come un mago che da una piccola scatola ne tira fuori un'altra più piccola, e così via, e da ognuna ne estrae tesori, racconti, illuminazioni, per primo ha estratto un messaggio dall'Africa, un proverbio: "Finché i leoni non avranno storiografi, le storie di caccia glorificheranno i cacciatori". Poi, un regalo per il subcomandante Marcos, per parlare dei sette colori e dei sette sensi, ricorrendo ad un numero per il quale mostra predilezione: il poema Settimo uomo (1917), del poeta e proletario ungherese Atila Josef, che già in precedenza ha dato a Berger l'ispirazione per una delle sue opere più importanti, Il settimo uomo, sui lavoratori migranti in Europa. (…)

Giorni prima, durante la sua visita al caracol zapatista di Oventic, accompagnato da Beverly, la sua compagna, e dall'amico Lorenzo, John Berger si è imbattuto nella serie di fotografie che decine di fotoreporter hanno scattato e che oggi adornano permanentemente la caffetteria "Comandante Che Guevara". Davanti ad una di queste, dove appare un compatto muro di donne zapatiste, scalze e col volto coperto, che impugnano bastoni per impedire il passaggio di una colonna dell'Esercito federale (la foto è di Pedro Valtierra, scattata nell'ejido Morelia), ha deciso di cambiare i suoi piani.

Nell'incontro, questo mezzogiorno, avrebbe potuto parlare della situazione del mondo, del capitalismo, dei movimenti, delle lotte per la terra. Alla vista di questa foto ha deciso che avrebbe letto la lettera del suo personaggio fantastico Aída, con la premessa che "il coraggio è fare un buco attraverso il tempo imposto su di noi". Dove vanno le storie? Aveva chiesto iniziando la lettura. "Senza di loro non sapremmo quanto ampiamente il nostro godimento ed il nostro dolore sono condivisi".

Ad Oventic, Berger aveva mostrato un deciso interesse nel visitare la clinica del caracol: laboratori, farmacia, ambulatorio di ginecologia, camere di degenza. L'ha giudicata pulita, semplice, modestamente attrezzata, in servizio. "Niente è più commovente di questo", è riuscito a dire, ricordando forse l'incanto di una delle sue prime opere, la cronaca giornalistica di un medico sulle montagne, intitolata molto appropriatamente "Un uomo fortunato".

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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