La Jornada – Sabato 17 novembre 2007
REPORTAGE / A dieci anni da Acteal
Migliaia di profughi senza aiuti e senza mezzi per procurarsi cibo
Crescono violenza, morti e miseria tra gli indigeni

 - Autorità autonome e costituzionali di Chenalhó si riuniscono - Comincia la persecuzione contro gli osservatori internazionali - Nonostante le prove del clima di ostilità denunciato dal consiglio autonomo, il governo afferma che si stanno risolvendo i problemi e nega che si stiano bruciano case e uccidendo zapatisti e perredisti
Hermann Bellinghausen/ Parte Tredici

Il 24 novembre del 1997, il consiglio autonomo di Polhó invia una lettera che invita i legislatori della Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa) a collaborare nella mediazione del conflitto, e convocano ad un colloquio per il giorno 29 a Polhó. Informano anche che esistono più di 4.500 profughi. 

La Unión de Ejidos y Comunidades Majomut, che riunisce i coltivatori di caffè di diverse filiazioni politiche, avverte che il raccolto di più di 20 mila sacchi di chicchi è a rischio in conseguenza della violenza.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (CDHFBC) riceve informazioni che elementi di Pubblica Sicurezza accompagnano e forniscono protezione a militanti priisti che raccolgono caffè in poderi di proprietà degli zapatisti. Il giorno 25 nei quartieri di Acteal vengono bruciate quattro case di simpatizzanti zapatisti da almeno 15 persone armate. Si riferisce di "grande tensione" a Pechiquil, dove Hilario Guzmán Luna e Pablo Hernández Pérez, "ex militare" ed attuale agente municipale, dirigono un gruppo di paramilitari ( La Jornada, 26 novembre *). Contemporaneamente, il sindaco del municipio ufficiale Agustín Gutiérrez Pérez sollecita la presenza dell'Esercito federale nel villaggio "per salvaguardare l'ordine".  

Priisti di Pechiquil installano un "posto di controllo" sulla strada; tra loro c'è un gruppo di 20 persone in uniforme scura e stivali "simili a quelli dell'Esercito; il resto indossa il normale stivale di gomma". La segreteria di Governo del Chiapas in un'inserzione a pagamento (27 novembre) dichiara solennemente: "Nella comunità di Acteal nessuna abitazione è stata bruciata".

Annichilire le basi di appoggio, la missione del governo

Il giorno seguente il comandante David dice a La Jornada che "L'obiettivo principale della violenza promossa dal governo a Chenalhó ed in altri municipi attraverso guardias blancas e gruppi paramilitari, è distruggere le basi di appoggio dell'EZLN", e che "benché il governo ogni giorno dica in Chiapas si stanno risolvendo i problemi, è una bugia perché quello che cresce è la violenza, la persecuzione, la morte e l'incarcerazione di molti compagni".  

Il 29 novembre un elicottero del governo dello stato atterra a Canolal con persone che dicono essere dei "diritti umani", e che "sarebbero ritornati presto per farla finita con gli zapatisti e la società civile". Il primo di dicembre, il segretario dei Popoli Indigeni, Antonio Pérez Hernández, nel contesto di una visita di osservatori nazionali ed internazionali, "accusa gli stranieri di essere causa della violenza". Da parte sua, la Segreteria di Governo installa un posto di blocco migratorio "congiunturale" sulla strada per San Pedro Chenalhó.

Il consiglio autonomo di Polhó informa di quattro case di zapatisti bruciate da priisti a Takiukum e Yibeljoj. Il sottosegretario di Governo, Uriel Jarquín, in un'altra inserzione a pagamento, smentisce il governo autonomo nonostante la pubblicazione di fotografie delle abitazioni distrutte apparse su diversi quotidiani del paese: "A Chenalhó non è stata bruciata nessuna casa" (3 dicembre).  

Il 30 novembre, un gruppo di osservatori verifica la drammatica situazione dei "profughi". Secondo la deputata perredista Patrio Jiménez, "è urgente fare qualcosa per loro prima che comincino a morire di fame e freddo perché ormai sono allo stremo" (1 di dicembre). A Chenalhó "si favorisce la decomposizione sociale e la guerra tra fratelli in maniera molto chiara", per cui bisogna fermare la violenza "prima che sia troppo tardi". Nello stesso senso si pronuncia la Missione Civile Nazionale ed Internazionale per la Pace in Chiapas dopo aver visitato le comunità (4 dicembre) e constatato la "connivenza e complicità aperta della Pubblica Sicurezza ed i paramilitari", così come la presenza di persone in divisa e con carabine a Pechiquil.

Il 2 dicembre, il consiglio autonomo rivela l'esistenza di "un enorme gruppo di sfollati in montagna, non lontano da Xcumumal, insieme a numerosi profughi di Chimix, Joveltik, Canolal e Tzanembolom. Questi non ricevono alcun aiuto e non possono uscire a cercare cibo". Secondo le testimonianze, si tratta di quasi 2 mila persone nelle peggiori condizioni.  

Nel mondo si moltiplicano le mobilitazioni e le proteste contro il governo messicano. I profughi di Chenalhó appaiono nei notiziari della CNN e sulle principali televisioni di Spagna, Italia, Francia, Portogallo, Regno Unito e Svezia (4 dicembre). Il giorno 7 Ricardo Rocha inizia la sua memorabile trasmissione sui profughi a Detras de la Noticia su Televisa. Nello stesso tempo, aumentano le denunce contro gli agenti dell'immigrazione. La cosa nuova è perseguire gli osservatori internazionali, scacciarli da Chenalhó. Questo garantirà che due settimane dopo, quando succederà il massacro, non ci sia nessun testimone straniero nell'area (salvo un paio di campamentisti europei a Polhó).

Il giorno 5 si riuniscono finalmente gli autonomi ed il municipio priista all'incrocio di Las Limas, a Chenalhó. I priisti denunciano la morte di Lucio Gómez Guillén a Tzanembolom il giorno precedente. Gli autonomi dicono che non hanno potuto essere gli zapatisti gli autori perché in quella comunità ormai non c'è più nessuno. Due ore dopo la riunione arriva la notizia di un altro morto priista a Chimix. Il sindaco ufficiale aveva dichiarato che i profughi del suo partito ricevevano gli aiuti dal governo statale a Pechiquil, Aurora Chica, Chimix e Puebla (6 dicembre), comunità in mano ai paramilitari.  

La violenza non si ferma. Il giorno 10, il consiglio di Polhó accusa il sindaco priista di non rispettare gli accordi di massima di Las Limas. Il giorno 12 le parti tornano a riunirsi nello stesso luogo. La Jornada riferisce:

Ci sono voluti quattro tavoli di legno, 70 sedie (ed una trentina di morti, quasi 6.000 profughi, innumerevoli case bruciate) per la prima negoziazione effettiva tra le diverse autorità municipali di Chenalhó. Faccia a faccia, il municipio costituzionale ed il consiglio municipale autonomo. Jacinto Arias Cruz guida la rappresentanza priista, con agenti municipali e consiglio comunale, e solo ogni tanto rivolge sguardo a Domingo Pérez Paciencia, presidente del consiglio autonomo che non smette di guardarlo con un sorriso sulle labbra.  

Buona parte degli interventi sono in tzotzil. Partecipano come testimoni rappresentanti del governo statale, la Commissione Nazionale di Intermediazione, la Commissione Nazionale dei Diritti Umani e la sua agenzia statale ed il CDHFBC. Ci sono 11 punti da discutere secondo gli autonomi, otto secondo i costituzionali, sul campo di pallacanestro della primaria, sul crocevia di Chalchihuitán, punto intermedio tra Chenalhó e Polhó.  

"Dobbiamo pensare quale punto urge per una pace giusta", dice un agente del consiglio autonomo. Su questo sono tutti d'accordo. Bisogna fermare la violenza. Partecipano anche ex presidenti municipali Chenalhó e rappresentanti delle organizzazioni Majomut e Las Abejas. Della gravità di quanto in gioco dipende la pace.

Dialogo e spari

Durante la riunione che si protrae per tutto il giorno, passano per la strada grandi camion della polizia, convogli militari ed un vistoso Volkswagen rosso che, come commenta uno di Las Abejas, "è l'automobile con la quale i paramilitari pattugliano la zona".

Quella mattina ci furono diversi spari a Tzajalucum, un villaggio abbandonato dai suoi abitanti, mentre vi si stavano recando rappresentanti di organismi civili e del governo chiapaneco. Gustavo Moscoso, magistrato del Tribunale Superiore di Giustizia dello Stato ha appena finito di dire che l'incontro "riempie di gioia il governo dello stato", quando il priista Arias Cruz informa che in quel momento si stanno bruciano le case e ci sono spari a Chimix.

"Le facce si vedono, il cuore no", aveva detto poco prima lo stesso Arias facendo brillare la sua dentatura d'oro. Suggerisce che questo impedisce la negoziazione. I colloqui precedenti erano stati sospesi per incidenti durante l'incontro. Oggi non è così. Si decide che le parti continuino a negoziare mentre una commissione va a verificare cosa succede a Chimix. La commissione raggiunge il villaggio citato dove le case dei perredisti e zapatisti distrutte e colpite dalle pallottole sono la testimonianza di quello che è successo nelle settimane precedenti. La notizia risulta essere falsa. La guarnigione di polizia di Chimix, per voce del secondo ufficiale Vicente González Castellanos, spiega che "è tutto tranquillo. Non abbiamo ricevuto notizie".  

La negoziazione a Las Limas giunge ad una firma congiunta. Curiosamente, una volta che la commissione inviata a Chimix è tornata, nessuno del consiglio comunale priista si preoccupa che si diano informazione della sua denuncia. Domingo Pérez Paciencia, presidente autonomo, commenta: "la faccia si vede, il cuore no".  

* Tutte le date tra parentesi corrispondono a notizie pubblicate da La Jornada.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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