La Jornada – Martedì 16 ottobre 2007
Si chiude a Vícam l’incontro emisferico dei popoli indigeni
Esortano i popoli d'America a rafforzare alleanza contro il capitalismo "planetario"
CNI e EZLN ribadiscono la loro solidarietà ai popoli della tribù yaqui

HERMANN BELLINGHAUSEN

Vícam, Son., 15 ottobre - L'ospitalità offerta dalla popolazione di Vícam nei quattro giorni è stata apprezzata con un "pronunciamento speciale" del Congresso Nazionale Indigeno (CNI) e della Commissione Sesta dell'EZLN. Rivolto a tutti i popoli della tribù yaqui, è stato letto a chiusura dell'Incontro dei Popoli Indigeni d'America la notte di domenica da Yolanda Meza, dirigente kumiai della Bassa California. Ribadendo la solidarietà con le loro istanze storiche, si invitano i popoli del Messico e d'America "a rafforzare la loro alleanza" con la tribù "per affrontare il capitalismo planetario che ci distrugge tutti".

Ora che la strumentalizzazione politica e mediatica del governo di Sonora ha messo in evidenza le divisioni provocate nella tribù, il pronunciamento invita, "in maniera rispettosa" all'unità degli yaquis. "Nel rispetto" della loro autonomia, il CNI e la Commissione Sesta invitano gli otto popoli e le loro autorità tradizionali "a ricercare accordi che sfocino nel rafforzamento delle loro lotte, dei sogni e delle aspirazioni per un futuro migliore di fronte ad un presente di morte".

I popoli e le comunità del Messico riconoscono "le radici comuni che ci uniscono, così come la storia di dolore, resistenza e speranza che ci rende fratelli", la loro lunga storia di resistenza contro gli stermini perpetrati dal governo coloniale e dai governi nazionali. I nomi di Muni, Juan Ignacio Jusacamea e Juan Maldonado Tetabiate "sono conservati nei nostri cuori", così come la resistenza yaqui "contro lo sterminio, la deportazione forzata, la schiavitú e le feroci offensive militari scatenate da spagnoli, liberali, porfiristi e costituzionalisti".

Attualmente, la tribù yaqui lotta contro "un ingiusto decreto di esproprio che l'ha privata di una significativa frangia" del suo territorio ancestrale, già ridotto da una risoluzione presidenziale che esclude dal riconoscimento territoriale gli insediamenti originali dei popoli di Bácum e Cócorit. Il movimento indigeno indipendente riunito a Vícam ammette "che la tribù yaqui ottenne il riconoscimento di una parte sostanziale del suo territorio; tuttavia il suo fiume, lo Yaqui, gli è stato rubato per costruire le grandi dighe che irrigano i campi occupati dagli interessi capitalisti che sono cresciuti grazie alla distruzione, all'esproprio ed allo sfruttamento".

Questo territorio "è cruciale per gli interessi dello sviluppo capitalista sustenuto dai vari governi nazionali e dall'oligarchia sonorense". Essendo questi governi "esperti della storia ribelle della tribù", hanno ricercato la divisione e corruzione, "quando non eliminazione", delle sue autorità tradizionali. "In una certa misura" il governo è riuscito a dividere gli otto popoli della tribù yaqui e le loro strutture di governo. Di fronte a questa situazione "che è la maggiore preoccupazione per i nostri popoli", il CNI e l'EZLN ribadiscono la loro solidarietà.

Il bastone con cui si misura il potere

Da parte sua, in un manifesto sul bastone del comando, simbolo vivo nelle culture indigene, i mayos della base Bathue Cohuictipo, non lontano da questo territorio yaqui, hanno illustrato i contrasti nell’uso dell’autorità e del potere. La illegittimità governativa posta di fronte alle richieste legittime delle comunità: "L'ufficio pubblico è l'ultima risorsa dell'incompetenza, la mente disoccupata è l'ufficio dell'inferno. Le pratiche coprono il momento, i principi vanno alla lunga". (E questo lo dicono i contadini che hanno patito la burocrazia come solo tocca agli indios da lungo tempo).

Per voce di Alfredo Ozuna Valenzuela, figura di autorità dei "yoremia" mayos, i delegati all'incontro hanno ascoltato qualcosa che conoscono per esperienza propria: "L'implacabile censura dell'intervento dell'autorità governativa nella cosa pubblica o privata e gli organi che la esercitano" incorrono nello sfruttamento del territorio indigeno, "e si definiscono padroni della giustizia, che è distorsione, per condannare alla fame ed impedire al popolo messicano di avere la giustizia di un po' di pace".

Per i popoli il bastone del comando è invece difficile, scomodo: "Oggi non è necessariamente uno strumento che ci fa star bene. Chi dovrebbe usarlo, non ama usarlo: pur essendo utile tutti preferiscono evitarlo". Ci sono bastoni "illusori", e chi li usa lo fa per appoggiarvisi, ma "tutti i bastoni sono buoni fintanto che non prendono il posto dei nostri piedi, devono solo servire da aiuto, ma i passi devono sempre essere i nostri".

Da qui la domanda: "E noi, che bastone siamo: buoni, decisi, sicuri, retti e giusti, servizievoli e disponibili?". È uno strumento semplice e sincero, "anche se appeso al pomello della porta, a portata dello sguardo, o dimenticato dal suo utilizzatore in un angolo della sua mente" (è come il comandare obbedendo degli zapatisti chiapanechi, espresso in altri termini).

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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