La Jornada – Mercoledì 14 novembre 2007
REPORTAGE ACTEAL - A dieci anni da Acteal
Il paramilitare: un giovane deluso dalle autorità agrarie
Uno studio dei ricercatori Andrés Aubry ed Angélica Inda, diffuso il giorno seguente il massacro, descriveva il profilo “dell’elemento protagonista della violenza”
HERMANN BELLINGHAUSEN / Parte Dieci

Nei mesi precedenti il massacro di Acteal, i ricercatori Andrés Aubry ed Angélica Inda, buoni conoscitori degli Altos e particolarmente di Chenalhó, si diedero il compito di indagare il fenomeno della violenza che scuoteva la regione. Per una strana coincidenza, avrebbero pubblicato le loro conclusioni iniziali il giorno che si diffusero le prime notizie del massacro. Il loro documento era stato redatto prima, ma ebbe un'opportunità molto importante. Si intitolava "Chi sono i 'paramilitari'?" (La Jornada, 23 dicembre). Vale la pena anticipare un po' il calendario ed ascoltare le loro scoperte fatte negli ultimi mesi del 1997 che questo reportage riassume:

"Il conflitto del Chiapas è costato agli antropologi un compito supplementare: quello di identificare un nuovo soggetto sociale, l'agente protagonista della violenza", scrivono nell'introduzione. Gli autori fanno un'indagine metodica dell'informazione fornita dagli indigeni e precisano: "Solo a Chenalhó, 17 località ne sono colpite: la terza parte dei suoi insediamenti e la metà della sua popolazione".

Per routine storica, Aubry ed Inda spiegano, "prima lo chiamavano pistolero o guardia bianca, per le ferite che questi hanno plasmato nella memoria collettiva del Chiapas. I media cominciarono a dargli l'identità di paramilitare per distinguerlo dai precedenti (agenti esterni alle comunità, mentre il nuovo germoglia dalla comunità), perché agisce in rapporto ambiguo ed inconfessato con le forze dell'ordine ed interviene con armi proprie di queste forze. 

"Con ripetute smentite, lo Stato ha negato l'esistenza di paramilitari fornendo argomenti a cui parti del Congresso locale e dell'opinione pubblica faticano a credere. Per carenza semantica e per rispetto alle autorità, continueremo a chiamarlo come i media, ma tra virgolette".

Né terra né lavoro

"Chi sono?", si domandano. "Appaiono quasi esclusivamente tra giovani frustrati dalle autorità agrarie. Nelle 17 località di Chenalhó in cui siamo riusciti a documentare l'esistenza di circa 246 di loro, l'inerzia agraria combinata alla crescita demografica non dà né terra né lavoro, nemmeno agricolo, ai giovani in età di avere di diritto l'ejido. Quelli già sposati e capofamiglia, come i loro genitori, hanno vagato senza successo alla ricerca di lavoro, sopravvivendo per miracolo o con i furti di appezzamenti e raccolti. Obbligati a vivere come delinquenti, non solo non avevano mezzi di sussistenza ma, inoltre, non avevano nulla da dire nelle assemblee e, pertanto, erano esclusi dalle decisioni dell'ejido. Prima conclusione, questi criminali sono prodotti dal sistema e dalle sue opzioni economiche, agrarie e lavorative".

Improvvisamente, la "paramilitarizzazione" offre a questi contadini soluzione e prestigio. "Soluzione perché l'imposta di guerra che riscuotono (25 pesos ogni quindici giorni per adulto se è permanente, 375 pesos tutti insieme per chi si rifiuta) fornisce loro entrate, e perché il bottino di animali, raccolti ed utensili (compresi automezzi) legittima i furti umilianti di elotes, caffè ed animali da cortile. Prestigio perché le armi - che non sono semplici fucili - conferiscono loro un potere ed uno status che non hanno mai avuto, né loro né i loro genitori senza terre".

Qui, Aubry e Inda segnalano: "Per aver condotto una vita itinerante alla ricerca di lavoro, o non essere ejidatarios, non hanno mai avuto un'educazione civica impartita dalle assemblee periodiche nelle quali si decide il destino collettivo della propria località, colonia o municipio, e sono esonerati da qualsiasi responsabilità comunitaria. I 'paramilitari' non hanno alcun progetto sociale o politico. Non propongono nulla, si impongono solamente. Gli unici maestri che hanno avuto sono gli incaricati del loro addestramento militare al quale è condizionata l'acquisizione delle armi che esibiscono.

"I loro mentori, sia nei loro accampamenti o nei pattugliamenti, hanno una condotta molto simile a quella dei kaibiles del Guatemala. A che cosa mirano? Perché operano solo nello stretto perimetro della zona di influenza nella quale godono di perfetta impunità? La ragione è strategica, e probabilmente la ignorano". I ricercatori sottolineano che le località dove alla fine hanno "attecchito" questi gruppi armati formano un cuneo tra i municipi che confinano con Chenalhó, Pantelhó, Cancuc e Tenajapa.

Fanno paragoni con l'ubicazione di altri gruppi paramilitari: "Lo stato maggiore di Paz y Justicia, intorno a El Limar (Tila), controlla più i cinque municipi choles e l'accesso ad altri. Fanno le veci delle politiche pubbliche nella quasi totalità dei municipi amministrati dalla segreteria statale di Assistenza ai Popoli Indigeni. L'obiettivo di tutti è lo smantellamento di qualche bastione delle basi - disarmate - di appoggio zapatiste".

Dopo il "colpo militare" contro le comunità ribelli il 9 febbraio 1995, una delle tattiche militari denunciate dalle Missioni di Osservazione era la distruzione di installazioni produttive, raccolti ed attrezzi agricoli "per togliere il futuro" ai dissidenti, sottolineano. "La tattica 'paramilitare' di Chenalhó è la stessa: gli operativi incominciarono con l'inizio dell'essiccazione del caffè, in un anno in cui il prezzo era favorevole. Si sgomberano in massa i produttori. Agli indigeni del Chiapas viene tolto il futuro".

Spirale inarrestabile

Tra settembre e dicembre, le comunità del nord e dell'est di Chenalhó sono intrappolate in un processo che sembra inarrestabile. I fatti criminali ad Acteal il 22 dicembre confermano che almeno lo Stato messicano non riuscì, o piuttosto non volle, fermare quella spirale. In realtà, fu opera sua. Annunci, denunce ed allarmi non mancarono. Quello che mancò fu altro.

Degli addestramenti della Pubblica Sicurezza nella comunità di Puebla non ci sono testimonianze dirette, a parte gli spari che tutte le notti si sentivano nella valle. Ci sono invece per quanto accadeva a Los Chorros. Da luglio, il sindaco Arias Cruz aveva incaricato i suoi agenti municipali di redigere delle liste di quanti erano del PRI e quanti no, in ogni località. Si fa un'assemblea. L'agente prende nota. Quasi nessuno si iscrive. Quelli della "società civile" fanno un dibattito e mandano a dire ad Arias Cruz che l'agente non ha nessun diritto di dividere le comunità. La stessa cosa dicono molti priisti che nemmeno loro si iscrivono (La Jornada, 27 settembre).

A settembre, gli agenti esigono denaro dagli abitanti di Puebla, Los Chorros ed altre località per comprare armi ed approvvigionamenti. Si puniscono quelli che non collaborano. In alcuni posti, come a Los Chorros, vengono espulsi. Il consiglio autonomo di Polhó assicura che il promotore della manovra per dividere le comunità è l'ex deputato priista Antonio Pérez Hernández (significativamente, oriundo di Polhó), ora segretario statale dell'Assistenza ai Popoli Indigeni, in sostituzione dello scrittore Jacinto Arias Pérez.

Il 23 ottobre, La Jornada informa dal capoluogo municipale di San Andrés che gruppi di tzotziles dei municipi di Chenalhó, San Andrés e Simojovel "ricevono addestramento militare per opporsi alla permanenza dei simpatizzanti dell'EZLN ed impedire la formazione di municipi autonomi negli Altos", secondo autorità civili ribelli e rappresentanti di organizzazioni indipendenti. 

Le comunità di Puebla e Santa Martha, in Chenalhó; Santiago El Pinar, in San Andrés, e vicino a Chitamulkum, in Simojovel, sono considerate dai consigli autonomi "centri di addestramento di persone che poi faranno parte di gruppi paramilitari". In tutti questi luoghi si susseguono aggressioni violente contro le comunità in resistenza.

Crescente introduzione di armi

Da parte sua, Las Abejas denunciano che "aumenta l'introduzione di armi nei municipi indigeni ed i gruppi armati appaiono continuamente nelle strade del municipio di Chenalhó" (La Jornada, 24 ottobre). 

I giorni successivi avvengono in cascata fatti molto gravi sulla strada per Los Chorros e le comunità di Chimix, La Esperanza, Aurora Chica, Puebla, Canolal, Tzanembolom ed Acteal. Gli attacchi armati dei paramilitari contro la popolazione civile, con l'intenzione di espellerli dalle comunità, producono un morto ed oltre una decina di feriti; i primi casi noti, registrati dalla Procura Generale di Giustizia dello Stato e dai rappresentanti priisti di Los Chorros, furono 13 priisti feriti, e queste fonti insistono che tutti furono "imboscati" da "presunti simpatizzanti dell'EZLN" (La Jornada, 26 e 28 ottobre). Nei giorni seguenti si sarebbe visto che le cose non erano così semplici.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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