il manifesto - 14 febbraio 2007
Apocalypto, visto dai contadini maya
Fulvio Gioanetto

Cosa pensa la popolazione messicana di discendenza maya del film Apocalypto?

L'opera diretta da Mel Gibson ha creato polemiche in Messico e forti proteste in Guatemala. Parlato in un dialetto maya dello Yucatán, filmato l'anno scorso nelle forestedi Catemaco e Los Tuxtlas (Veracruz, in Messico), con un azzeccato titolo che richiama la profezia maya della fine del mondo e del quinto sole (profetizzato per il solstizio d'inverno del 2012), il film che descrive aspetti dell'antica cultura maya preispanica non è piaciuto a tutti.

A tre settimane dall'uscita nei cinema del Messico, il film ha suscitato una gran polemica tra intellettuali e letterati di lingua maya, archeologi e antropologi sulla veridicità di alcune scene e i contenuti di fondo del film (www.amren.com/mtnews/archives).

Molti lo tacciano di discriminatorio e razzista, accusandolo di descrivere l'antica civilizzazione come una cultura solo guerriera, assetata di sangue e di sacrifici, dimenticando i contributi culturali e storici di questa civiltà americana.

Il film in effetti narra la decadenza dell'impero maya con una storia di lotte intestine, tradimenti, vendette e sacrifici umani fra diversi gruppi di questa civilizzazione precolombiana, interpretata da attori sconosciuti che parlano un'antica lingua della regione.

Parlando a una radio locale dello Yucatán, i maestri Hilario Chi Canal e Miriam Maria Tun Hau, che hanno aiutato nella traduzione e insegnato la pronuncia maya agli attori, dichiarano: «Non è stato distorto nulla dal punto di vista linguistico. Certo, alcune parole non sono ben pronunciate, perché l'attore non puó pronunciarle come noi nativi maya, ma tutto il resto é corretto».

Altri vedono Apocalypto come un film d'evasione in tipico stile hollywodiano: «ha creato il primo rambo ed eroe pre-ispanico, Artiglio di Giaguaro», commentava il giornale messicano Cronica de Hoy. In ogni caso, il film è già un successo commerciale.

Tutto questo però ha lasciato al margine i maya messicani. Intanto, bisogna dire che la gran parte della popolazione, cittadina e rurale, qui non ha soldi per andare al cinema, anche se parecchi hanno visto il film già da mesi attraverso i dvd pirata che circolano liberamente in tutti i mercati.

Ma la popolazione negli stati dove si concentrano le 8 etnie maya in Messico non é stata per niente toccata né interessata alla trasposizione cinematografica della sua antica storia. Qui le preoccupazioni restano sopravvivere e campare. Come le 162 famiglie di maya tzeltales e choles del municipio di Palenque (Chiapas), evacuate e ridislocate dal governo l'anno scorso perché occupavano terre all'interno della riserva Montes Azules: ora sono ritornati a occupare la selva perché scontenti dell'appoggio ricevuto dal governo messicano, che peraltro è stato di 45 milioni di dollari tra tutti i programmi produttivi di «ridislocazione ecologica».

«E' stato un inganno», dicono: «Dove ci avevano mandato non avevamo lo spazio sufficiente a seminare mais e fagioli, non potevamo tenere le mucche perché il terreno era troppo piccolo, le case sono di lamiera. Dove ci avevano mandati non c'era nessuna posibilitá di lavoro. La terra non era fertile, meglio ritornare nella riserva e nella selva».

La terra resta il problema di fondo dei discendenti dei maya: ne parlavano nella recente riunione nazionale indigena, tenuta a S.Felipe Ecatepec (in Chiapas), dove rappresentanti di decine di comunità maya (www.frayba.org.mx) hanno espresso proteste per la divisione territoriale promossa dal governo attraverso alcuni programmi statali di delimitazione territoriale fra comunitá (Procede e Procecom).

Il perché è spiegato nel comunicato finale di quella riunione: «Non vogliamo perdere la terra, stiamo lavorarando per la ricostituzione culturale dei nostri popoli, per proteggere le risorse naturali, per evitare che le nostre terre e territori siano oggetto di sperimentazioni; per promuovere l'uso di tecniche ecologiche, per evitare le monocolture, perché non seminino varietà transgeniche e per promuovere forme di commercializzazione dei nostri prodotti che evitino l'intermediarismo e valorizzino l'interscambio».

Come nelle antiche culture maya preispaniche.

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