La Jornada – Martedì 13 novembre 2007
REPORTAGE ACTEAL - A dieci anni da Acteal
Il cecchino di Yabteclum ed i morti di Los Chorros, le loro ragioni
I priisti di Chenalhó chiesero a Zedillo il permesso di armarsi

Il mandatario avrebbe detto ai sindaci del tricolore che le ragioni dell’insurrezione zapatista non erano “legittime”, cosa che fu interpretata da alcuni come “semaforo verde” per combattere i popoli autonomi
HERMANN BELLINGHAUSEN - Parte Nona

Il 2 ottobre 1997, in un incontro col presidente Ernesto Zedillo a San Cristóbal de Las Casas, il sindaco ufficiale di Chenalhó, Jacinto Arias Cruz, consegnò al mandatario una lettera in cui il municipio chiedeva il "permesso" affinché i suoi seguaci potessero avere delle armi nelle proprie case, per "difendersi", invocando l'articolo 10 della Costituzione. Dopo l'episodio del cecchino a Yabteclum, il 25 settembre, le autorità priiste accordarono quanto sopra e chiesero un'indagine sulla morte dei loro compagni di Los Chorros, il 22 settembre, "dopo che questi avevano bruciato 14 case - secondo le cifre ufficiali - degli zapatisti" (La Jornada, 3 ottobre).

Secondo testimonianze raccolte dal Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (CDHFBC), in quella stessa riunione il presidente della Repubblica avrebbe detto ai sindaci priisti degli Altos che le ragioni dell'insurrezione zapatista non erano "legittime", cosa che fu interpretata da alcuni come "semaforo verde" per combattere i popoli autonomi. 

Col presidente Zedillo di ritorno dal suo viaggio in Chiapas, il 3 ottobre il segretario di Governo, Emilio Chuayffet, si espresse per "riannodare il dialogo" e dichiarò con ottimismo che "il governo ha lanciato azioni importanti" nell'entità, "per cui la situazione è molto diversa da quella che imperava nel 1994" (La Jornada, 4 luglio), una frase che a quel punto si prestava già diverse interpretazioni.

Le vittime di Las Limas

Nello stesso tempo, quattro membri di una famiglia venivano assassinati a Las Limas Chitanucum, municipio di Pantelhó, vicino a Chenalhó. Tra le vittime c'era una bambina di sei anni. Ci furono anche sei feriti. Tutti priisti. Gli aggressori erano circa 25 uomini incappucciati che "arrivarono tirando pietre e sparando contro le porte delle case" e saccheggiarono il negozio di uno dei feriti, Francisco Gutiérrez Maldonado, che assicurò di aver riconosciuto "dalla voce" alcuni degli aggressori, ma non fece i nomi (La Jornada, 4 ottobre) né li vincolò con qualche gruppo. Curiosamente, nemmeno i priisti dissero allora che gli aggressori, che riconobbero, fossero zapatisti.

In quello stesso villaggio erano state bruciate molte case di zapatisti (e questi cacciati) il 23 maggio, "anche se poi sono state riparate perché le parti ed il municipio priista giunsero ad un accordo per risolvere le loro divergenze", aggiunge la nota di La Jornada, che registra anche il ritorno nelle proprie case di cento militanti priisti di Polhó, "da dove se n'erano andati più di una settimana prima, dopo che due dei loro compagni di Los Chorros erano stati assassinati".

Ad ottobre e novembre aumenta il numero di morti, feriti e profughi. Il 4 ottobre, Sebastián López López viene ferito in una "imboscata" mentre si recava nella milpa dell'ejido La Esperanza, al bordo di Los Chorros. Le autorità priiste dissero di temere "nuovi attacchi dei contrari (La Jornada, 5 ottobre)". Tuttavia, sono loro ad attaccare: lo stesso giorno 4, il consiglio autonomo di Polhó denuncia che la comunità La Esperanza è stata aggredita da un gruppo armato proveniente da Los Chorros, con un saldo di diverse case bruciate e la cacciata di 52 famiglie.

Quello stesso giorno, 2 mila membri di Las Abejas sfilarono "per la pace e la riconciliazione" nel capoluogo municipale di Chenalhó, con bandiere bianche e striscioni che chiedevano la "fine della violenza tra fratelli". I manifestanti esprimevano "dolore per questa grande disgrazia degli scontri tra fratelli, con armi di grosso calibro usate da paramilitari e militanti del partito ufficiale". Las Abejas affermavano che le autorità municipali statali e federali "non hanno la volontà di risolvere le uccisioni successe nel nostro municipio: sembra che vogliano distruggere la nostra razza (La Jornada, 5 ottobre)".

Il giorno 8, la comunità di Yibeljoj decise di non partecipare in nessun modo a fatti violenti. L'accordo fu sottoscritto da 329 abitanti, come informò il CDHFBC. 

Il 10 ottobre il consiglio autonomo dichiarò: "Noi zapatisti non vogliamo macchiarci le mani di sangue indigeno, perché sono nostri fratelli, sono la nostra stessa gente, il nostro stesso sangue". In un comunicato, gli autonomi ratificavano la loro volontà per il dialogo, affermavano che le minacce provenivano dagli ejidos Los Chorros e Puebla e chiedevano: "In primo luogo che i priisti creino le condizioni necessarie per il dialogo, cioè, il ritiro della polizia di Sicurezza Pubblica. Sono le autorità priiste quelle che devono impegnarsi nella ricostruzione delle case bruciate. Vogliamo che tutti i profughi ritornino, ma dove andranno quelli che hanno avuto le loro case bruciate?"

Il banco di sabbia, insistevano gli autonomi, "è un pretesto". Il municipio di Polhó "possiede i disegni dei confini della proprietà che occupa il banco di ghiaia" e lo sfrutta "a beneficio del municipio".

A La Realidad, il subcomandante Marcos si riunisce l'11 di ottobre con i poeti chiapanechi Óscar Oliva e Juan Bañuelos, membri della Commissione Nazionale di Intermediazione, e risponde alle pressioni del governo per la ripresa del dialogo. Secondo Marcos, la "confusione" al riguardo "la sta creando il governo". I poeti riferiscono: "Gli zapatisti hanno chiesto il compimento delle cinque condizioni minime espresse il 7 settembre 1996, quando l'EZLN si ritirò dai negoziati (La Jornada, 12 ottobre)".

Oliva manifestò la sua preoccupazione perché l'inadempimento di dette condizioni "sta generando problemi ogni giorno più gravi", perché "tutti i giorni ci sono sgomberi, repressione ed ingiustizia verso le comunità zapatiste". Bañuelos, a sua volta, ritiene che questa è "una politica ben ponderata del caos".

Nella zona nord, dove gli elementi della contrainsurgencia non sono gli stessi di Chenalhó, la situazione è grave. La presenza dell'Esercito federale è diretta ed i conflitti comunitari istigati per lo scontro possiedono una componente religiosa. La Commissione Episcopale per la Riconciliazione e la Pacificazione in Chiapas denuncia attacchi e minacce contro catechisti e sacerdoti. I paramilitari hanno bruciato eremi e chiese. Il parroco di Tila, Heriberto Cruz Vera, "ha dovuto nascondersi perché lo vogliono ammazzare, apparentemente quelli di Paz y Justicia". La situazione si ripete a Tumbalá e Salto de Agua (La Jornada,14 ottobre). In quel momento ci sono nella zona 4 mila 112 indigeni sfollati; dal 1995 sono morte circa 40 persone della "società civile perredista" e basi zapatiste, e "varie decine" di priisti di Paz y Justicia (La Jornada, 17 ottobre).

Appello al dialogo

Il giorno 14, il consiglio autonomo di Polhó invita al dialogo il municipio ufficiale a condizione che la polizia di Sicurezza Pubblica e l'Esercito federale si ritirino (La Jornada, 17 ottobre). Il 16, la Procura Generale di Giustizia dello Stato (PGJE) informa della morte di Gabriel Gómez Guillén e Romeo Hernández Gómez, priisti, a Tzanembolom. Ci sono inoltre tre feriti. La Jornada fornisce solo la versione della PGJE e dei priisti che assicurano che tutto è cominciato per una discussione "per divergenze politiche" due giorni prima, quando gli zapatisti "fermarono" per diverse ore cinque priisti. Ore dopo "un gruppo di circa 20 perredisti-zapatisti… crivellò" i priisti (La Jornada, 17 ottobre).

In suoi rapporti successivi, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolemé de las Casas documentò anche la versione delle basi di appoggio zapatiste, secondo la quale "un gruppo di priisti è arrivato nella comunità, minacciando e sparando contro la popolazione, e per questo 475 persone sono fuggite sulle montagne per proteggersi. Il gruppo di invasori ha saccheggiato le proprietà ed ammazzato molti degli animali".

Per allora, il 20% della popolazione di Chenalhó era sfollata, in particolare dalle località di Yaxjemel, Los Chorros, Takiukum, Acteal, Canolal, Puebla, Tzanembolom e Cruztón. Antonio Gutiérrez Pérez, rappresentante di Las Abejas, assicura che negli ultimi giorni si è incrementato il traffico di armi ed i gruppi armati controllano l'accesso alle comunità dove abitano simpatizzanti dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (La Jornada, 21 ottobre). Questi gruppi "entrano nelle comunità, rubano animali e le milpas delle persone che sono fuggite e minacciano quelli che si rifiutano di prendere le armi".

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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