La Jornada – Martedì 13 marzo 2007
In questa zona del Chiapas hanno vissuto tra semischiavitù, espulsione, insurrezione e persecuzione
Gli abitanti di 24 de Diciembre hanno impiegato più di 100 anni per ottenere la terra
I tojolabales zapatisti denunciano agli osservatori che la UES vuole sgomberarli
HERMANN BELLINGHAUSEN - Inviato / Parte I

Nuevo Poblado 24 de diciembre, chis., 12 marzo - Hanno avuto bisogno di due rivoluzioni e più di un secolo gli attuali fondatori di 24 de Deciembre per ottenere la terra. "Siamo nati qui l'alba del 25 dicembre passato", raccontano. Sono presenti anziani, figli, nipoti e pronipoti, contadini indigeni, tutti di qui, e che in poche generazioni sono passati dalla semischiavitù all'espulsione, da qui all'insurrezione, la persecuzione dell'Esercito federale, e poi un decennio di esilio che finisce solo ora. Questa loro terra non è mai stata loro.

Con un acahual appena abbattuto, 31 famiglie zapatiste costruiscono modeste capanne di legno su questa estensione, recuperata nel 1994, ma non del tutto, perché dal 1995 vi si è stabilita, in questo che fu il rancho El Momón, una base dell'Esercito federale. Fino alla fine del 2006, questi indigeni sono sopravvissuti "su terreni in affitto" a San Antonio Monterrey, la comunità Altamirano, Montecristo e Matías Castellanos, in condizione di sfollati e con l'aiuto dei loro "fratelli zapatisti", il consiglio municipale autonomo di San Pedro de Michoacán, e più recentemente la giunta di buon governo (JBG) di La Realidad.

Secondo la più anziana, queste terre appartenevano a Belisario Domínguez, che nonostante l'eminenza restava il latifondista. E gli indios, erano indios. "Qui sono nati il mio defunto marito ed i miei suoceri", dice. Mentre nel paese correvano il secolo XX e la ripartizione agraria, qui le valli e le montagne passavano di mano agli eredi del padrone. Così il padrone fu suo genero Matías Castellanos, che i suoi peones ricordano come un uomo temibile, e poi Absalón Castellanos Domínguez, che li avrebbe espulsi da El Momón, dove essi avevano chiesto la terra, mettendo insieme i soldi per comprarla; la famiglia Castelanos non gliela diede mai.

Passarono al vicino ejido Nuevo Momón, dove divennero ejidatarios e produttori di caffè. Verso il 1990 entrarono nell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e si prepararono per la guerra contro il governo. Durante tutto il 1994, qui cominciava il territorio controllato dall'esercito ribelle. Il 9 febbraio 1995 il presidente Zedillo ordinò all'Esercito federale di avanzare sulle comunità e perseguire gli zapatisti. Il giorno dopo, in queste vicinanze cadde abbattuto il generale Hugo Manterola che era a capo delle truppe federali per occupare la Selva Lacandona.

"Siamo stati i primi che l'Esercito ha attaccato". Gli zapatisti di Nuevo Momón hanno dovuto rifugiarsi in montagna, come quelli di Guadalupe Tepeyac. A differenza di questi, hanno perso le loro case, terre e diritti, perché gli altri ejidatarios, tutti membri dell'Unione di Ejidos della Selva (UES), li hanno spogliati delle abitazioni, beni, coltivazioni ed animali. "Hanno approfittato del fatto che non c'eravamo", dice un altro uomo.

Non sono ancora tre mesi che è terminato il loro peregrinare e continuano ad essere minacciati, ora da alcuni dirigenti dell'UES a Nuevo Momón, Cruz del Rosario e El Edén, pronti a sgomberarli perché, dicono, questo ex rancho è un "ejido" ed appartiene loro. "Sappiamo che è bugia", aggiunge l'indigeno davanti alla brigata internazionale di osservazione che percorre da 10 giorni le comunità zapatiste sotto minacce di aggressioni ed esproprio in diverse vallate della selva.

Fino al 1994, El Momón era un podere di 525 ettari di proprietà dell'ex governatore Absalón Castellanos Domínguez. È stato recuperato dall'EZLN ma, prima che le basi zapatiste potessero abitarlo, è arrivato l'Esercito federale che ha installato una grande base su 44 ettari del podere. Con un tale vicino, il resto è rimasto in stato di semiabbandono. Fino a che gli zapatisti hanno deciso di riunirsi in un nuovo villaggio che, secondo la JBG, alla fine sono venuti a "recuperare".

"I padroni erano solo accaparratori. I veri padroni siamo noi. Come disse il generale Emiliano Zapata, la terra è di chi la lavora", aggiunge un altro uomo, relativamente giovane, durante l'esposizione quasi corale dei coloni. In maggioranza donne e bambini, perché gli uomini sono a Montecristo in attesa del Chómpiras, il camion di La Realidad, per portare qua le loro cose dall'esilio.

"Le terre sono riposate e libere", prosegue, smentendo quelli dell'UES che assicuravano di avere qui coltivazioni di canna, caffè, mais e fagioli. Una ragazza interviene: "Non c'è seminato niente. È solo per ingrandire quello che hanno, solo pezzi di milpa". Ed un'anziana donna dice: "I sopravvissuti che siamo qui, rispettiamo questa milpa, lasciamo che la mietano", ed indica alcune piante di caffè abbandonate da tempo.

Mentre li accusano di distruggere il bosco, quelli di UES hanno saccheggiato il legname e l'hanno venduto. Ora sono aggressivi. Distruggono a colpi di machete i cartelli che indicano la strada verso 24 d Diciembre. La polizia settoriale realizza pattugliamenti giornalieri. "Non sappiamo perchè, si mettono solo lì, all'entrata. Forse ci vengono a sgomberare", dicono i tojolabales zapatisti esposti all'intemperie quasi totale, decisi a non lasciare più queste terre.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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