La Jornada – Lunedì 12 novembre 2007
REPORTAGE /A DIECI ANNI DA ACTEAL
Paramilitari in scena; falsità del Libro bianco, l'altra storia
Hermann Bellinghausen / Parte Ottava

Il 23 settembre 1997, un gruppo di reporter arriviamo a Polhó, capoluogo municipale degli autonomi zapatisti. Una comunità di un migliaio di abitanti a chi si aggiungevano centinaia di profughi di tutte le località dove la legge paramilitare bruciava case, imboscava ed assassinava allo stesso modo simpatizzanti dell'EZLN e priisti. I secondi erano puniti se non appoggiavano l'avventura armata dei già allora chiamati paramilitari.

Il panorama era desolante. Non c'era nessuno. Nemmeno un cane. Solo galline. Le case erano chiuse; le strade e gli edifici comunitari, deserti. Dopo l'attacco a Majomut da parte di priisti e frontecardenisti di Los Chorros, il giorno 21, nemmeno Polhó era più un luogo sicuro. All'alba del 21, comunità come Yibeljoj erano state evacuato; erano rimasti solo pochi uomini. Donne e bambini, perfino priisti, avevano cercato rifugio nelle montagne. Sapevano dell'attacco paramilitare.

Il 26 settembre, La Jornada riportò il primo ritorno di profughi zapatisti e perredisti di Chenalhó, una marcia di 5 mila indigeni e 70 camion con destinazione Polhó. L'episodio fu raccontato con falsità ed inesattezze lampanti nella relazione della Procura Generale della Repubblica chiamato Libro bianco di Acteal (1998), e quella versione è stata ripetuta d'ufficio da diversi autori che hanno voluto raccontarci "un'altra storia" su quegli avvenimenti. Il lettore interessato può paragonare la versione ufficiale, o le sue trascrizioni successive, da Gustavo Hirales (1998) a Héctor Aguilar Camín (2007), col racconto oculare che riportiamo di seguito.

Il cecchino della cisterna: il cacciatore cacciato

La mobilitazione delle basi di appoggio dell'EZLN, il giorno 25, fu pacifica. Era durata quasi tutta la giornata. Prima delle 17 arrivò da Yabteclum. Un oratore incappucciato sopra un camioncino, indicando i pendii circostanti, disse:

- Sappiamo che ci stanno puntando. Forza, sparate, siamo qui, senza armi.

Incominciava il meeting di migliaia di zapatisti di 15 municipi nella spianata e piazza centrale del "villaggio vecchio" di Chenalhó, la cui maggioranza priista aveva espulso mesi prima i simpatizzanti dell'EZLN. Un'ora dopo, quando l'incontro si stava concludendo, una ventina di zapatisti si arrampicarono improvvisamente sulla terrazza della scuola. Corsero alla cisterna, la scalarono e vi si ficcarono dentro precipitosamente. Qualche secondo dopo spuntò una carabina Mauser, che passò di mano in mano. La folla si agitò, e ancor di più quando tirarono fuori dalla cisterna un uomo che, di mano in mano, saltò a terra, cadde come gatto e cominciò a correre. Dietro di lui uscirono diversi zapatisti. Dalla cisterna uscì, infine, una scatola piena di pallottole Remington 410.

Non c'è niente di più impressionante di una folla adirata. L'ira si impadronì di tutti nello scoprire che tutto quel tempo li aveva spiati un cecchino. Molti dicevano di aver visto gente armata nelle case in alto, sui pendii. Le basi di appoggio dell'EZLN provenivano da Pantelhó, Mitontic, San Juan Chamula, San Andrés Sakamchén, Zinacantán, San Juan de la Libertad, Bochil, Simojovel, Sitalá, Ixtapa, Tenejapa, San Juan Cancuc e Chenalhó. Erano partiti da Tzabaló verso il capoluogo ufficiale. In avanscoperta, la guida della manifestazione diceva al megafono:

- Siamo della stessa carne, stesso sangue, stesso popolo. Non veniamo a far del male a nessuno. Non vogliamo ammazzarci tra fratelli. I fratelli priisti hanno bruciato la casa dei nostri compagni. I fratelli priisti non capiscono quello che succede. Veniamo a spiegare.

In tzotzil, un altro oratore invita la gente ad unirsi alla marcia che alle 12 raggiunge la piazza e si forma una chiocciola, lasciando al centro i profughi di Yabteclum, Los Chorros e di altri villaggi.

- Veniamo a dimostrarvi che i compagni zapatisti nel municipio non sono soli. Non vogliamo vendetta. Veniamo a dirvi in buona maniera di capire. Non abbiamo armi. Andiamo a consegnare alle loro comunità i compagni perredisti e zapatisti che avete cacciato - dice l'oratore davanti agli uffici del municipio ufficiale.

Gli slogan insistono nel dire ai priisti: "Il nostro nemico non siete voi, ma il governo". Non mancano insulti ed improperi contro il sindaco Jacinto Arias Cruz, i cacicchi, le guardias blancas e la polizia; contro Zedillo, Ruiz Perro (i tzotziles pronuncia la lettera F come la P, perché nella loro lingua non esiste questo suono) e contro il funzionario priista Antonio Pérez Hernández, che accusano di armare le nuove guardias blancas.

I municipi ribelli avvertivano in un comunicato: "I compagni sgomberati ritorneranno nelle loro comunità. Nessuno lo impedirà". Il meeting si concluse pacificamente. La radio statale, nel notiziario delle 14:30, informava dell'evento tale e quale. Alcuni annunci commerciali. E poi la voce di un annunciatore, diverso da quello che dava le notizie, raccontò una versione contraria a quella appena trasmessa, e completamente falsa, secondo la quale "gruppi di zapatisti sono andati minacciosi nel capoluogo municipale armati di bastoni", "guidati da Alianza Cívica (sic).

Ore dopo, durante il processo popolare che si fece all'uomo della cisterna, questo avrebbe confessato che a Yabteclum si erano riuniti per sperare agli zapatisti e gli avevano detto di mettersi dove l'avevano trovato "perché pensavano che gli zapatisti erano armati ed arrabbiati".

Alle 18, i giornalisti visitano le case distrutte e saccheggiate dei profughi. Quell'orrore di mobili rotti, abiti distrutti, furti, bambole decapitate, documenti bruciati, pannocchie bagnate. Il meeting sta per concludersi quando scoprono l'uomo del Máuser, José Pérez Gómez, che soprannominano El Morral, ed altri due che apparentemente tentano di difendere. Pérez Gómez viene duramente picchiato. I suoi catturatori lo trascinano tra la folla che sembra sul punto di linciarlo. Lo portano sul camioncino che presiede il meeting. E l'uomo colpito, senza camicia, è oggetto di una specie di processo popolare.

La gente di Yabteclum lo identifica con un gruppo di cinque persone che introducono armi nella comunità. Microfono in mano, tra il tzotzil ed il castigliano, si svolge un interrogatorio urgente. L'uomo della carabina, con voce dolente, continua a dire: 

- È stato un accordo di tutta la comunità. Lo stiamo organizzando tutti. 

- Per ammazzare gli zapatisti? 

- No, pensiamo che siete voi che venite ad ammazzarci. Eravamo preparati. 

- Quante armi ci sono? 

- Non so. Non ci sono armi. Solo calibro .22 a un colpo.

Sorprende vederlo così deciso, nella situazione in cui è. Pérez Gómez, soffocato, reprimendo i singhiozzi, quasi in ginocchio, dice che "l'arma è di Chamula" e che non sa altro. 

- Di "muoiano gli assassini". 

- Non ci sono assassini. 

Lo interrogano su chi ha ucciso gli zapatisti, chi ha bruciato le case, chi ha derubato i profughi. "Non lo so, non lo so".

La folla circonda il camioncino. Si avvicinano i responsabili delle regioni per decidere che cosa fare del detenuto. Gruppi irrequieti di uomini osservano la scena. Alla fine, gli zapatisti lasciano andare Pérez Gómez "perché informi i suoi compagni". Come per incanto, la folla si disinteressa a lui, che scende dal rimorchio del camioncino e si trascina verso le case più vicine. Si siede su uno scalino. Gli duole il corpo. Nessuno gli si avvicina. La folla si disperde vero i camion che porteranno il corteo a Polhó. L'uomo è diventato invisibile.

Giorni di pallottole a Chenalhó

Il 27 settembre, La Jornada descrive "le acque agitate di Chenalhó", dove "è lampante l'esistenza di gruppi paramilitari spinti da polizia ed Esercito federale". Quando appaiono le armi a Santa Martha, Puebla si trasforma in un poligono di tiro, si espellono famiglie intere perché appoggiano il municipio autonomo o non danno denaro per le opere dei priisti e l'acquisto di pallottole. Ogni giorno, la vita delle comunità si decompone sempre più.

Santa Martha è praticamente isolato dal capoluogo di Chenalhó, la sua uscita naturale è San Andrés. Lì, l'ago della bilancia è il governatore tradizionale. E su di lui si fa pressione. Un giorno arriva un tenente dell'Esercito federale, oriundo di Zacatecas. Si presenta al governatore ed al maestro della scuola. Li convince che gli zapatisti, numerosi nella comunità, rappresentano un pericolo e bisogna combatterli.

Quindi, il governatore si pente. Gli viene mal di testa e l'angosciano dubbi di coscienza. Comunque, le armi sono già arrivate e di notte "brillano come argento" quando gli uomini si addestrano. "In primo luogo, istruzioni sull'uso delle armi. Poi film pornografici. Per finire, balli con donne in bikini. Finiscono con esercizi militari. Gli uomini tornano a casa molto tardi", rivelano allarmate le donne del villaggio.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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