La Jornada – Venerdì 9 novembre de 2007
“Ritiro” di accampamenti ed aggressioni contro zapatisti
La “strategia” ufficiale che sfoció in un disastro
Il 22 settembre si verificò un fatto che sarebbe servito alla Procura Generale della Repubblica ed agli autori ufficiosi come spiegazione del massacro che sarebbe avvenuto tre mesi dopo ad Acteal: "Un conflitto intercomunitario" per la "disputa di un banco di sabbia" a Majomut, quartiere di Polhó
HERMANN BELLINGHAUSEN - Quinta Parte

Nell'agosto del 1997, inaspettatamente, l'Esercito federale fece cambiamenti significativi nei territori indigeni del Chiapas. Sembrò un ritiro. I media informarono di una "riduzione di truppe e smantellamento di accampamenti in tre regioni", e la sostituzione di "circa 5 mila militari da Ocosingo, Las Margaritas ed Altamirano" [La Jornada, 18 agosto]*. "Prima del terzo Rapporto di governo del presidente Ernesto Zedillo e con un'azione senza precedenti dal 1994, l'Esercito distrugge i suoi stessi insediamenti e ritira le truppe da sette accampamenti negli Altos, zona nord e la selva", prosegue l'informazione. Il governo federale aprì anche i fronti economici e diplomatici per mostrare che in Chiapas c'era pace, assistenza alle comunità e rispetto dei diritti umani.

Il presidente municipale autonomo di San Andrés, Juan López González, si disse sorpreso ed ottimista: "Il governo ci vuole dire che intende ritornare ai dialoghi di pace?". Prima di 24 ore, il generale Mario Renán Castillo Fernández, comandante della settima Regione Militare, mandò la risposta informando che l'Esercito aveva "messo in moto una riorganizzazione nel suo dispositivo militare, ma in nessun modo significa il ritiro di truppe" [19 agosto].

A San Andrés, le postazioni a San Cayetano, Jolnachoj e Santiago El Pinar, ritirate alla vigilia, "furono rimosse", secondo il generale, perché "erano di troppo". Questo, nonostante le prime due circondassero Oventic e la terza era vicina a Chenalhó, dove la violenza paramilitare ed il problema dei profughi si acutizzavano. 

Dalla settima Regione Militare, a Tuxtla Gutiérrez, il generale Castillo Fernández comandava decine di migliaia di soldati che occupavano gli Altos, la selva e la zona nord. Inoltre, sotto il suo comando c'erano 12 gruppi della Forza Speciale Arcoris, creati a seguito della sollevazione zapatista, "una squadra unica in tutto il paese" [11 agosto]. Come unico era considerato il concentramento di truppe in quella circoscrizione.

Rifiuto della militarizzazione

Il 22 agosto, l’EZLN ribadisce che, "a domanda del compimento degli accordi di San Andrés e contro la militarizzazione delle zone indigene, andrà a Città del Messico con 1.111 villaggi zapatisti". Il 23, in quello che sembra un cambiamento di piani, l'Esercito tenta di ristabilirsi a San Cayetano, dove aveva distrutto le sue installazioni. Il 24 si verifica uno scontro tra indigeni disarmati e circa 250 soldati. "Solo pochi centimetri dividono i soldati dell'Esercito - tra loro truppe d'elite trasportate in elicottero - e gli zapatisti disarmati che ripudiavano con urla la loro presenza; gli gridavano 'assassini, difensori del malgoverno', toccavano le armi e gli davano buffetti sulle guance chiamandoli: 'soldatino' " [25 agosto].

"La tensione aumentò quando arrivarono quattro elicotteri che trasportavano forze d'elite con fucili d'assalto R-15". Un tzotzil sfidava un soldato "visibilmente nervoso", dicendogli "e sparami". La protesta si estese fino alle basi militari di Puerto Caté e San Andrés. L'Esercito aveva deciso di "recuperare le tre posizioni strategiche contrainsurgentes - San Cayetano, Jolnachoj e Santiago El Pinar - che aveva bruciato ed abbandonato lo scorso 12 agosto", aggiunge la nota. L'Esercito si reinstallò lì e solo la base di Jolnachoj sarebbe stata ritirata tre anni dopo.

Il primo settembre 1997 il presidente Zedillo espone il suo terzo Rapporto con una tumultuosa danza di cifre e allegri conti che non gli lasciano lo spazio per citare il conflitto del Chiapas. Il suo silenzio fu considerato "preoccupante" dal deputato perredista Gilberto López y Rivas [2 settembre]. Il dirigente nazionale del PRD, Andrés Manuel López Obrador, segnalò che "è stata una deliberata omissione", perché era un tema che era "d'obbligo trattare davanti al Congresso dell'Unione". Perfino il Partito Verde Ecologista ne fu stupito: "E' una grave omissione che conferma il poco interesse che ha il Presidente per la soluzione del problema" [4 settembre].

Il 9 settembre, delegati dei 1.111 villaggi zapatisti partono da San Cristóbal de Las Casas verso Città del Messico, che inaugura come capo di Governo Cuauhtémoc Cárdenas, vincitore nelle elezioni di luglio. La conflittualità di Chenalhó entra in un relativo impasse. Nelle comunità dominate dai paramilitari aumenta la pressione contro zapatisti e simpatizzanti e perfino contro priisti che non accettano di aggredirli.

Al passaggio della marcia per Oaxaca, il "compagno Isaac" legge un messaggio dell'EZLN: "Da quando l'Esercito è dentro i nostri villaggi stiamo nell'insicurezza, perché loro addestrano e proteggono le guardias blancas che sono state la causa di scontri e stanno lasciando vedove, orfani, incarcerati e desaparecidos" [11 settembre].

Mentre gli zapatisti proseguono la loro marcia verso la capitale del paese, si succedono le dichiarazioni della classe politica. Il dirigente del Partito Azione Nazionale, Felipe Calderón Hinojosa, si dichiara "rispettoso del diritto di espressione" dei ribelli, ma "non possiamo dare loro il benvenuto finché non abbandonano le armi e la clandestinità" [12 settembre]. Il dirigente bianco-azzurro respinse "le autonomie indigene superiori (sic) ai municipi ed agli stati", e deplorò l'operato del governo zedillista di fronte al conflitto del Chiapas. L'inadempimento delle "legittime domande dei popoli indigeni" li ha tenuti "nell'arretratezza, emarginazione e miseria".

Il giorno 13, la marcia zapatista arriva nello Zócaolo capitalino dove viene accolta da una folla entusiasta. Il segretario della Difesa Nazionale "saluta" la marcia ed il presidente Zedillo si pronuncia per il dialogo "e non per la via delle armi" [14 settembre].

Aggressione a Los Chorros

Dopo 11 giorni di marcia, i 1.111 zapatisti ritornarono ed il 19 settembre furono festeggiati a San Cristóbal de Las Casas da migliaia di basi di appoggio dell'EZLN. Quello stesso giorno i priisti di Los Chorros bruciano 60 case e 150 persone si rifugiano a Naranjatic Alto. A Los Chorrosi restano "in arresto" sei membri di Las Abejas [20 settembre]

Il consiglio autonomo di Polhó denunciò che i priisti armati minacciava di attaccare Naranjatic e Yibeljoj "per farla finita con questi caproni" (i profughi). Con "armi di grosso calibro" spararono nelle vicinanze di Yibeljoj "per spaventare i nostri compagni". Così, improvvisamente, la violenza tornava a Chenalhó.

La disputa per il banco di sabbia

Il giorno 22 accade il fatto che dopo il massacro di Acteal sarebbe servito alla Procura Generale della Repubblica ed agli autori ufficiosi come "spiegazione" del massacro che sarebbe successo tre mesi dopo: un "conflitto intercomunitario", la "disputa per un banco di sabbia" a Majomut, quartiere di Polhó. Un gruppo di Los Chorros, comunità a circa 10 chilometri, si proclamava proprietario del banco di sabbia da due anni, quando il governo lo "comprò" e lo diede ai priisti [23 settembre]. La storia di questa disputa risale agli anni ottanta.

Gli zapatisti, considerando la cava dentro il municipio autonomo (infatti, sui terreni del capoluogo autonomo di Polhó), da aprile avevano cominciato ad estrarre ghiaia. Quel 22 settembre perdono la vita Joaquín Vázquez Pérez e Mariano Vázquez Hernández, di Los Chorros, parte di un gruppo di circa 30 priisti armati arrivati il giorno 21 a preparare l'arrivo di un distaccamento di polizia. Morirono anche due zapatisti: Agustín Luna Gómez (che aveva partecipato alla marcia dei 1.111) ed Antonio Pérez Castro. "Le rappresaglie contro i simpatizzanti dell'EZLN cominciarono quello stesso pomeriggio" quando la polizia fermò e picchiò Vicente Ruiz "perché non aveva la tessera del PRI".

Rappresentanti di 12 municipi zapatisti denunciarono che gli attacchi erano "la risposta del governo alla marcia". Mentre i priisti li accusavano "dell'assassinio dei loro compagni", in una situazione "molto tesa" gli sgomberi erano "all'ordine del giorno in diversi posti" [24 settembre]

Gli autonomi denunciavano che i paramilitari, "coordinati con la polizia e pagati dal governo, entrano nelle comunità per cacciare via la gente, bruciare le case, rubare, perseguitare ed uccidere i simpatizzanti dell'EZLN e del PRD che sono disarmati. Ma non lo permetteremo piú". 

* Tutte le date tra parentesi corrispondono ad articoli pubblicati su La Jornada

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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