La Jornada - 9 aprile 2007
Carlos Fazio
Felipe Calderón dà ossigeno al PPP

Oggi lunedì e domani martedì, il presidente Felipe Calderón sarà anfitrione di una nuova ronda del Meccanismo di Dialogo ed Accordo di Tuxtla che riunirà a Campeche vari mandatari centroamericani ed il colombiano Álvaro Uribe.

L'obiettivo è "rilanciare" e "rafforzare" il Piano Puebla-Panama (PPP), la cui paternità è della Banca Interamericana di Sviluppo (BID), con sede a Washington che risponde agli interessi del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti e cerca di favorire corporazioni private transnazionali.

Lanciato con la grancassa nel giugno 2001, il Piano includeva Belize, Guatemala, Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua, Panama e la regione sud-sudorientale del Messico (gli stati di Puebla, Guerrero, Oaxaca, Campeche, Chiapas, Quintana Roo, Tabasco, Veracruz e Yucatan).

Fin dall'inizio, i mandatari dei paesi membri adottarono il piano come "politica di Stato", per cui si considera vigente. Cioè, nonostante il suo ritmo semilento che portò un funzionario del BID a dire che era una "entelechia" o "qualcosa di irreale", ed a dispetto dei cambi di presidenti nei paesi dell'area, l'avanzamento del PPP è stato sostenuto, soprattutto, nella costruzione dell'infrastruttura fisico-multimodale e nell'integrazione energetica subregionale.

Nell'ottobre scorso, durante il suo primo giro centroamericano il presidente eletto, Calderón annunciò la sua decisione di far "resuscitare" il PPP. Allora disse che lo sviluppo regionale richiede un "piano coerente ed a lungo termine" che dà vita a "progetti vitali" in materia di energia ed infrastrutture.

In realtà, il Piano non è un'entelechia e neanche qualcosa di irreale, per cui Calderón non ha bisogno di far rivivere niente.

Ciò che succede è che di fronte alle mobilitazioni ed alle organizzazioni cittadine contrarie, dalla fine del 2003, su raccomandazione del BID, i governi hanno deciso di renderlo invisibile. Cioè, hanno occultato o mascherato il suo sviluppo. A tal punto è funzionata questa strategia invisibilizzatrice che molti centri accademici e mezzi di comunicazione l'hanno dato per morto. Invece il PPP ha continuato ad avanzare silenziosamente.

Manifestazione genuina del capitalismo predatore dei nostri giorni, il Piano è un ingranaggio in più fra gli altri progetti neoliberali, come il Trattato di Libero Commercio dell'America del Nord, l'Iniziativa per l'Integrazione dell'Infrastruttura Regionale Sudamericana e la sgraziata Area di Libero Commercio delle Americhe.

Fa parte di un progetto di portata geostrategica continentale degli Stati Uniti, per la concorrenza interimperialista col Giappone e con le potenze industrializzate dell'Europa. È un progetto al quale partecipano settori del grande capitale finanziario, consorzi multinazionali e le oligarchie locali.

Dato che la zona del PPP è ricca di petrolio, gas naturale, acqua, boschi, minerali e biodiversità, ed è propizia per la generazione di energia elettrica, il piano opera come un meccanismo neocoloniale che persegue l'estrazione o il saccheggio delle ricchezze naturali ed il supersfruttamento dell'abbondante manodopera a buon prezzo.

Uno degli obiettivi centrali dei propugnatori del Piano è la costruzione di corridoi di transito interoceanico che mettano in comunicazione la parte atlantica degli Stati Uniti, dove si concentra la produzione industriale e cereo-agricola di quel paese, col bacino dell'Asia-Pacifico, centro dell'economia mondiale.

Insieme alla propaganda sullo sviluppo e sulla creazione di posti di lavoro, nei documenti ufficiali del PPP appaiono cinque parole chiave: commercio, investimento, settore privato e competitività.

Tutti i piani in esecuzione, in particolare quelli che hanno a che vedere con la creazione di corridoi di integrazione viaria (autostrade, porti, aeroporti, ferrovie, canali secchi interoceanici), di megaprogetti idroelettrici e agro-industriali e per il settore turistico nella riserva della biosfera maya, oltre alla costruzione di raffinerie e gasdotti, cioè tutti progetti che hanno fini imprenditoriali e propiziano l'intervento del grande capitale privato.

Nella porzione messicana del PPP, il proposito degli Stati Uniti continua ad essere lo stesso: imporre e favorire le industrie petrolifere, molto legate da sempre all'amministrazione Bush; facilitare la privatizzazione delle strade e dei terminal aerei e portuali, dell'industria elettrica, dell'acqua e della parastatale Petroli Messicani (Pemex).

Inoltre, cerca di proteggere i proprietari terrieri impegnati nello sviluppo agro-industriale e gli allevatori estensivo, oltre a volersi impadronire senza restrizioni delle enormi ricchezze relative alla biodiversità della selva Lacandona, in Chiapas, e degli Chimalapas, a Oaxaca, che fanno parte del Corridoio Biologico Mesoamericano che arriva fino al Panama.

Altra cosa principale, il Piano risponde agli interessi di "sicurezza nazionale" degli Stati Uniti e fa parte di un riposizionamento militare geostrategico del Pentagono in America Latina, di fronte allo scontento popolare crescente, prodotto dalle politiche neoliberali. A quest'ultimo si risponde con la militarizzazione del paese e la paramilitarizzazione di vari stati come il Chiapas, Oaxaca e Guerrero, dove c'è presenza di gruppi armati ed una ribellione sociale di tipo nuovo. In questo senso, la componente repressiva del PPP è di tipo contrainsurgente.

Il miliardario bottino incarnato dal Piano è un'altra ragione per cui è stato imposto Calderón come presidente, mediante una frode di Stato che ha potuto contare sull'appoggio della Casa Bianca e delle grandi compagnie transnazionali.

Secondo funzionari del BID, il PPP non aveva avuto l'impulso che si richiedeva nella sua tappa anteriore per "la mancanza di leadership di Vicente Fox".

Si vedrà ora, se lo spurio Calderón, con l'appoggio del fascista Álvaro Uribe, altro socio vicino a Bush, ha maggior fortuna e riesce a riattivare la silenziosa annessione in corso.

(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)

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