La Jornada 9 marzo 2007
Oaxaca: repressa, ma non vinta
Gilberto López y Rivas

Il governatore di Oaxaca, Ulises Ruiz Ortiz, crede, sbagliandosi, che con la repressione poliziesca, militare e paramilitare, con la persecuzione giudiziaria, con la protezione che gli concedono il presidente illegittimo, Felipe Calderón, il Partito Rivoluzionario Istituzionale, Azione Nazionale -i suoi governatori, deputati e senatori-, e la connivenza dei mezzi di comunicazioni corrotti ed al servizio del potere, potrà sconfiggere il popolo di Oaxaca e che alla fine avrà la meglio, cioè resterà al potere a sangue e fuoco, demagogia e impunità, fino all'anno 2010.

La società oaxaqueña -e quella del paese- è lontana dal soffrire di amnesia rispetto a quanto accaduto e dal non prestare attenzione a quanto sta avvenendo. Non è possibile dimenticare i morti, i desaparecidos, i feriti, i detenuti e gli esiliati. La forza dello Stato, la violenza dei potenti e il peso della quotidianità sono riusciti ad imporsi per il momento, ma l'esperienza di autogoverno del popolo, la ribellione e la dignità dei cittadini, conquistate con immaginazione, coraggio, sforzo unitario e capacità di organizzazione, cresceranno e la Comune di Oaxaca vincerà prima di quanto si pensi.

Le voci della memoria, dell'indignazione e della solidarietà arrivano anche da fuori. Dobbiamo ringraziare, noi messicani, l'eccellente lavoro svolto dalla Commissione Civile Internazionale di Osservazione dei Diritti Umani (CCIODH), che recentemente ha presentato il suo dossier sui fatti di Oaxaca. Non solo per il livello di professionalità investito, non esente da un'obiettività che ha impedito al governo illegittimo di Calderón di screditarlo, ma per la prontezza, l'efficienza e la tempestività con cui hanno smentito una vicenda di singolare importanza nella storia del nostro paese.

Spiccano le conclusioni e le raccomandazioni del documento della CCIODH tra la routine che accompagna gli analoghi dossier delle commissioni dei diritti umani che, nonostante godano di autonomia, ufficiosamente rispondono a congiunture di crisi estrema, basate su equilibri di potere e interessi politici dei loro titolari. Questo è il caso del comportamento delle commissioni nazionale e statale dei Diritti Umani a Oaxaca, che secondo il dossier hanno avuto "un intervento tiepido e insufficiente", in particolare quella statale, sulla quale "alcuni testimoni riferiscono che al momento degli arresti, dove si sono verificate gravi situazioni di tortura, quando è stata richiesta la sua presenza, la suddetta commissione non è intervenuta".

La composizione della stessa CCIODH spiega la singolarità delle sue motivazioni: persone serie e impegnate nelle cause profonde della società civile, come lo stesso Iñaki García, portavoce della commissione e fra i suoi principali promotori, che a Barcellona viene stimato per il valore del suo lavoro e la coerenza etica.

Con efficacia vengono individuate le intenzioni di fondo nell'agire dello Stato messicano quando si afferma: "La Commissione considera i fatti avvenuti a Oaxaca l'anello di una strategia giuridica, poliziesca e militare, con componenti psicosociali e comunitarie, il cui obiettivo ultimo è quello di raggiungere il controllo e intimidire la popolazione civile nelle zone dove vengono sviluppati processi di organizzazione cittadina o movimenti a carattere sociale e non partitici".

Quest'ultima caratteristica spiega in parte le titubanze e gli equivoci della sinistra istituzionalizzata e di Andrés Manuel López Obrador nell'appoggio alla causa dell'Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca (APPO) e la conveniente delimitazione interna al Partito della Rivoluzione Democratica delle correnti apertamente collaborazioniste, che più che il cambiamento della società cercano una sistemazione e l'arrivismo, e non vogliono farsi coinvolgere da processi al di fuori del controllo della burocrazia.

Inutilemente, Felipe Calderón pretende -per mezzo del martellare mediatico e di inchieste truccate- di insediarsi in una Presidenza usurpata, quando la CCIODH raccomanda la presenza in Messico dell'Ufficio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e conclude: "I poteri pubblici non hanno garantito il pieno esercizio della libertà di espressione, pensiero, associazione, riunione, partecipazione politica, libera circolazione e manifestazione. È stato impedito attraverso l'uso della forza fisica e della coercizione l'esercizio di questi diritti fondamentali, sgomberando violentemente presidi e marce pacifiche, impedendo il pieno esercizio della funzione dei rappresentanti comunali legalmente eletti, aggredendo giornalisti e perseguitando i mezzi di comunicazione".

Con tutta pertinenza, la commissione fa notare gli effetti psicosociali sulla popolazione oaxaqueña, che spiegano in parte il ritorno alla "normalità" tanto sbandierata da Ulises Ruiz come prova di capacità governativa: "Le violazioni dei diritti umani -si evidenzia- hanno provocato profondi traumi fisici, emotivi e psicologici con uno strascico di gravi danni su persone, famiglie e comunità. Gli effetti psicologici derivati dal conflitto non sono scomparsi totalmente e si ripercuotono nella vita quotidiana delle persone, delle famiglie e della popolazione".

Tuttavia, la stessa commissione ha riscontrato che "collettivamente e individualmente esiste, nonostante la strategia messa in atto, un alto livello di solidarietà, che permette di avere una forte e significativa capacità di recupero e di rafforzamento. Esistono, sia nelle persone che militano nel sociale sia nell'insieme cittadino, elementi di dignità, in situazioni che devono essere considerate estreme per la loro virulenza e gravità". Questa è la chiave, precisamente, che sta alla base del nostro ottimismo rispetto al futuro prossimo del movimento popolare a Oaxaca e in tutto il paese.

(traduzione a cura di radio silvanetti)

logo

Indice delle Notizie dal Messico


home