La Jornada – Mercoledì 7 novembre de 2007
REPORTAGE – ACTEAL: 10 ANNI DOPO
 Chenalhó, laboratorio di una diffusa strategia di contrainsurgencia
In due anni nella zona chol si organizzò una “guerra” dentro la guerra

HERMANN BELLINGHAUSEN - Terza Parte

Per la relazione dei fatti che scossero Chenalhó nella seconda metà del 1997 è necessario ricordarne il contesto. Chenalhó era diventato un ulteriore laboratorio di una diffusa strategia di contrainsurgencia, in un territorio in guerra che comprende la terza parte del Chiapas ed include quasi tutti gli indigeni dell'entità. La militarizzazione era (e continua ad essere) opprimente.

Iniziata nel 1995, durante i due anni seguenti si organizzò ed attivò nella zona chol del Chiapas una "guerra" dentro la guerra, con l'espansione paramilitare dell'organizzazione priista Paz y Justicia. Nel 1997, mentre Chenalhó entrava nella spirale contrainsurgente, gli omicidi, sgomberi ed abusi proseguivano nella zona nord. Entrambi i casi, in territori circondati dall'Esercito Messicano e da un importante spiegamento poliziesco.

Esodo e saccheggi

Il 14 marzo 1997, la comunità San Pedro Nixtalucum, municipio di El Bosque, attiguo a Chenalhó, fu attaccata dalla polizia e dall'Esercito che ammazzarono quattro indigeni zapatisti e causarono l'esodo di più di 80 famiglie. La polizia aveva sparato a El Vergel, da terra e da un elicottero (matricola XC-BGC) sulla popolazione civile. Poi aveva saccheggiato Nixtalucum. Per due mesi, i tzotziles zapatisti furono profughi, mentre i poliziotti federali e statali e l'Esercito, posizionati dentro ed intorno a questa comunità, "convivevano" con i priisti del posto che smisero di lavorare i campi, si impadronirono del villaggio, seminarono marijuana (come fu dimostrato in seguito) e ricevettero indottrinamento ed addestramento militare.

La stessa cosa succedeva a Sabanilla e Tila e sarebbe successa presto, in maniera brutale, a Chenalhó. Un giorno bisognerà spiegare perché in alcune parti funzionò la formazione di gruppi paramilitari ed in altri no, come a El Bosque. Per questo, quando il governo decise di attaccare il municipio autonomo di San Juan de La Libertad nel 1998, sarebbero state direttamente le truppe federali ed i poliziotti a farlo.

Il 17 maggio 1997, una marcia di 4 mila civili zapatisti accompagnarono il ritorno dei profughi a Nixtalucum e sembrò chiudersi questo capitolo (La Jornada, 18 maggio). Il giorno dopo avvenne l'aggressione contro gli zapatisti a Yaxjemel. Nelle settimane seguenti si rivelerà un altro gruppo paramilitare in Ocosingo ed Oxchuc, il Movimento Rivoluzionario Indigeno Antizapatista (MIRA), la cui esistenza non fu mai ammessa dalle autorità ed in buona misura fu un fallimento.

In qualche momento impossibile da datare, durante la primavera del 1997, le comunità identificate come "priiste" o "cardeniste" (con riferimento al Partito del Fronte Cardenista che allora esisteva, senza relazione col cardenismo storico e tanto meno con quello di Cuahutémoc Cárdenas, che quello stesso anno avrebbe vinto le elezioni per governare la capitale del paese), cominciarono a chiamare "contrari" le famiglie e comunità che si erano unite al municipio autonomo di Polhó, come basi di appoggio dell'EZLN o membri di organizzazioni civili più o meno perrediste, quando il suo partito era all'opposizione in uno stato controllato fino al 1994 da numerosi cacicchi, indigeni o meticci, secondo la regione, ma sempre priisti.

Il "contrario" in molti villaggi del paese è il "demonio". L'espressione idiomatica, inusuale a Chenalhó, apparentemente fu introdotta da coloro che applicarono la strategia contrainsurgente, e rappresenta uno dei primi adattamenti locali ai precetti della guerra di bassa intensità: approfondire le differenze, demonizzare l'altro, disumanizzarlo. Così è più facile fargli del male.

Le informazioni dell'epoca, perfino nei media filogovernativi, non sostennero mai in maniera convincente che i conflitti a Chenalhó, che si andavano sommando e complicando, nascevano da aggressioni dei "contrari" (zapatisti) contro i filogovernativi. Le "imboscate" dei primi non furono mai dimostrate; i veri scontri, che non erano la regola, erano dovuti ad attacchi di paramilitari e risposta difensiva degli zapatisti; gli spostamenti di famiglie del PRI e cardeniste obbedivano al timore di essere aggrediti, mentre gli zapatisti, perredisti ed Abejas erano perseguitati e sparati, le loro case bruciate e le proprietà rubate o distrutte.

L'argomento che gli zapatisti "spogliavano" i filogovernativi delle loro terre non regge davanti all'evidenza, allora e fino ad aggi, che loro furono i veri spogliati nelle comunità da dove scappavano. I profughi priisti e cardenisti sarebbero ritornati entro poco tempo, scortati e protetti dalla polizia, e non hanno più dovuto spostarsi. La versione che questi si organizzarono per "autodifendersi", diffusa, tra altri, dalla Procura Generale della Repubblica (PGR) nel suo libro bianco (1998), fu una ricostruzione successiva, che cercava di "spiegare" il massacro di Acteal ed i molteplici episodi precedenti, fornendo versioni che nessuno si prese il disturbo di dimostrare durante il 1997. La tattica dei gruppi armati, e dei governi municipale, statale e federale, era "negare tutto", senza insistere nel dimostrare le proprie versioni. A loro bastava screditare, accusare e diffamare "i contrari", i difensori dei diritti umani ed i giornalisti indipendenti. La loro "verità" cominciò a preoccuparli dopo la terribile conclusione che li mise davanti alle responsabilità penali.

Violenza amministrata

L'estate del 1997 si annuncia con le dichiarazioni del governatore Ruiz Ferro che minimizza la questione chol come "conflitto tra due gruppi di sette ejidos (La Jornada, 2 giugno), mentre il vescovo di San Cristóbal de Las Casas, Samuel Ruiz García, accusava: "Tutto mira a concludere che la violenza nella zona nord è 'amministrata' dalle forze di pubblica sicurezza". Le autorità ritenevano il conflitto di tipo "religioso" ed accusavano la diocesi cattolica. Ruiz García insisteva nel carattere "politico" di quella violenza. Anche per Chenalhó si sarebbero tentate spiegazioni "religiose", soprattutto dopo Acteal; oggi solo gli avvocati dei paramilitari in carcere agiscono su questa base.

Il 2 giugno per la seconda volta il dialogo tra i municipi autonomi di Polhó e quello ufficiale di Chenalhó fu sospeso perché i rappresentanti del secondo non si presentarono a Yabteclum, dov'era l'appuntamento. Inaspettatamente, il giorno 3 finalmente le parti si incontrarono in quella comunità. Ci fu un "avvicinamento" e mentre si conveniva sul mutuo rispetto e libertà di transito, irruppe su un elicottero il sottosegretario di Governo Uriel Jarquín; la sua presenza non era stata concordata e la riunione fallì (La Jornada, 4 giugno).

Il giorno 5, le autorità autonome del vicino municipio di San Andrés denunciarono: "La pressione militare negli Altos è aumentata. Fanno pattugliamenti quotidiani da 10 giorni" (La Jornada, 6 luglio) e voli radenti. Raccontavano: "Entrano nei villaggi, si addestrano dentro i villaggi" ed assicuravano che le truppe addestravano i priisti. "Sappiamo da informazioni che ci sono guardias blancas negli Altos. Hanno radio per comunicare tra loro".

Poco dopo ci fu un incidente a 400 metri da Acteal, che non aveva ancora campi profughi. Il giorno 9, la Viceprocura di Giustizia dello stato informò di una "imboscata" ad un camion della Pubblica Sicurezza, "attaccato da zapatisti". Secondo gli abitanti di Pechiquil, ci fu una detonazione e circa 70-100 colpi. Il municipio autonomo di Polhó disse che i poliziotti sparavano bombe e colpi "senza alcun motivo" (La Jornada, 10 giugno). Dieci indigeni furono picchiati, due furono fermati dalla polizia e poi gettati dal camion in corsa. Quel giorno, circa 200 profughi di Yaxjemel, membri di Las Abejas e rifugiati a Yibeljoj, si preparavano a tornare nelle loro case. "L'imboscata" li dissuase dal farlo.

Provocazione per la militarizzazione

Il giorno dopo, gli abitanti di Acteal negarono "l'imboscata" ed affermarono che l'azione "fu premeditata per provocare conflitti e giustificare la militarizzazione dei nostri paraggi" (La Jornada, 11 giugno). Gli abitanti e profughi di Polhó, a pochi chilometri, "volevano unirsi per la paura", disse Javier Ruiz Hernández, segretario del consiglio autonomo. In un bollettino, il Coordinamento della Comunicazione Sociale del governo del Chiapas ribadì che i poliziotti erano stati "aggrediti da sconosciuti", con un saldo di due agenti feriti. "Gli sconosciuti lanciavano molotov", diceva il bollettino, contraddicendo la viceprocura di Giustizia che la vigilia aveva affermato che i presunti aggressori avevano sparato. Secondo la gente di Acteal, la versione ufficiale era "falsa", perché "i poliziotti stessi lanciavano le bombe e sparavano per spaventarci".

Il giorno dopo, la giunta ufficiale di Chenalhó si riunì a Pantelhó con il governatore Ruiz Ferro ed il segretario dello Sviluppo Sociale, Carlos Rojas Gutiérrez (La Jornada, 12 giugno). Il giudice Antonio Pérez Arias, portavoce del municipio ufficiale, insisteva che il governo mandasse più poliziotti nelle comunità e chiese l’intervento delle commissioni Nazionale di Intermediazione (Conai) e di Concordia e Pacificazione (Cocopa). Nel frattempo, il municipio autonomo denunciava che a Yabteclum, circa 50 priisti armati avevano attaccato la casa di Rosa Gutiérrez “portando uno dei suoi figli nel capoluogo municipale”.

Nelle settimane seguenti, la prima petizione del municipio ufficiale sarebbe stata soddisfatta: nelle comunità e sulle strade di Chenalhó, centinaia di poliziotti installarono accampamenti che sarebbero diventati permanenti, avrebbero difeso il ritorno dei priisti e frentecardenisti profughi e l'immediata usurpazione delle case e delle piantagioni di caffè degli zapatisti, perredisti ed Abejas assenti. Appare così un nuovo attore visibile nelle comunità di Chenalhó in mano ai priisti: la polizia.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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