La Jornada – Lunedì 5 novembre 2007
REPORTAGE – ACTEAL: 10 ANNI DOPO
Nessuno degli arrestati è stato giudicato come paramilitare
L’origine: molteplici episodi di un piano contrainsurgente

 HERMANN BELLINGHAUSEN - Prima Parte

Acteal ha segnato in maniera indelebile la storia e l'immagine del Messico davanti al mondo. Il massacro non fu un fatto isolato. Prima e dopo quel 22 dicembre, nel Chiapas indigeno si sono succeduti attacchi diretti di paramilitari, truppe regolari o poliziotti contro comunità e famiglie basi di appoggio zapatiste e di altre organizzazioni fuori dallo spettro governativo. Morti, incendio di case, usurpazioni di coltivazioni e terre, sgomberi, aggressioni fratricide.

Come fece dal 1º gennaio 1994 al verificarsi della sollevazione zapatista, La Jornada coprì puntualmente i fatti violenti che si andarono via sommando in diverse regioni e municipi: Sabanilla, Tila, El Bosque, Ocosingo, Chilón, Pantelhó, Chenalhó. Corrispondenti, inviati, fotografi, analisti dal luogo dei fatti furono spesso testimoni di decine di episodi isolati che tracciavano la rotta di una strategia di contrainsurgencia e potenziale guerra civile.

Nello stesso tempo, decine di reporter ed articolisti documentavano l’andirivieni dal centro politico. Le dichiarazioni e le azioni del governo federale, del Congresso, degli industriali, della Chiesa cattolica. Ed anche della società civile, degli organismi per i diritti umani, dell'accademia. Per il resto, La Jornada continuava a seguire il movimento zapatista.

Insurrezione indigena

Nelle pagine di questo quotidiano si registrò un processo sociale, politico e culturale che col massacro di Acteal avrebbe visto un terribile bagno di sangue. E tanto più doloroso: tra fratelli di popolo. Quella che nel 1994 era stato una dichiarazione di guerra ed un'insurrezione indigena contro il governo del paese si trasformava in una "guerra civile" permessa, propiziata, costruita, forzata perfino da istanze governative. Prima di questa, le comunità ribelli ed i filogovernativi convivevano in pace. La ribellione di alcuni non era contro gli altri.

Ci furono luoghi in cui lo scontro indotto "attecchì". Con programmi sociali, educativi e produttivi, con indottrinamento e controllo della "popolazione leale" al governo ed all'Esercito Messicano. Prima nel territorio chol della zona nord, dove l'organizzazione priista Paz y Justicia dal 1995 intensificò un'offensiva contro la popolazione zapatista e la "società civile" di variabile filiazione perredista, costata decine di morti, innumerevoli imboscate, saccheggi, violazioni, migliaia di profughi. Prima Sabanilla, Tila e Tumbalá. Poi Chilón. A partire dal 1997 si estese a Chenalhó.

Duole ancora dirlo, ma il massacro di Acteal poteva essere evitato. I segnali erano abbondanti e diventarono pubblici in molte forme. Come scrisse qui Fernando Benítez il 27 dicembre 1997: "Che altro dire, se sono stati inutili i numerosi articoli che ho scritto a difesa degli indios, così come quelli dei miei colleghi di La Jornada e di molti altri giornali? Le parole sembrano inutili".

Bisogna ricordare che nei giorni successivi al massacro ci furono proteste e manifestazioni in più di 100 paesi, la più grande manifestazione globale fino ad allora, prima delle grandi mobilitazioni internazionali contro la globalizzazione e la guerra imperiale. Al governo messicano si chiedeva giustizia e lo stop alla guerra di bassa intensità che ufficialmente non esisteva. In realtà, "non è mai esistita". Come non sono mai esistiti ufficialmente i gruppi paramilitari. Né allora né ora. Ciò nonostante, hanno varcato la prigione, con alterna fortuna, membri e dirigenti di Paz y Justicia, i Chinchulines, il "gruppo di autodifesa" di Chenalhó, e più recentemente l'Organizzazione per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic).

Tutti hanno in comune l'essere priisti o di partiti affini e vincolati in situ con l'Esercito, ma nessuno è stato condannato come paramilitare. Solo i processati per i fatti di Acteal scontano la prigione per partecipazione ad azioni armate contro altri indigeni. E questo, perché furono catturati quasi con le mani nel sacco. Lo scandalo mondiale fu immenso, qualcuno doveva pagare. Come ogni volta che le cose si complicavano per il governo, qualcuno doveva essere sacrificato. Acteal "costò" molto: un segretario di Governo, un delegato per la pace del governo federale, un governatore ed i suoi collaboratori; furono processati un generale in pensione (direttore della polizia ausiliaria e coordinatore dei consulenti della Pubblica Sicurezza dello stato), alcuni comandanti di polizia e decine di indigeni "autoarmati". Si tagliava la cinghia di trasmissione. Prima di andarsene, il Segretario di Governo, Emilio Chuayffet, riuscì a ribadire: "Non si può incolpare il governo, neanche per omissione". L'Esecutivo ed il PRI si dissociarono, condannarono energicamente la violenza, aprirono (e chiusero) le indagini e proseguirono soddisfatti.

Andiamo un po' dietro. Dal 1995 il governo di Ernesto Zedillo estese all'allora chiamata "zona di conflitto" il fenomeno della paramilitarizzazione di comunità, simmetrica alla massiccia occupazione militare decretata l'8 febbraio di quell'anno, quando il governo uscì alla caccia della comandancia zapatista, lanciò un'offensiva di truppe nella selva Lacandona, lo zona nord e gli Altos, e praticamente occupò le comunità.

Con ciò, l'Esecutivo rompeva la sua parola, un'offerta di dialogo fatta all'EZLN poco prima dell'offensiva, attraverso il segretario di Governo, Esteban Moctezuma e la sottosegretaria Beatriz Paredes. Quell'incontro fallito voleva essere l'esca per catturare la comandancia ribelle. Da allora, gli zapatisti chiamano questo fatto "il tradimento di Zedillo". Non sarebbe stato l'unico. Molti altri avrebbero cancellato i negoziati di pace (che non si sono concretizzati) con l'inadempimento degli accordi di San Andrés, firmati nel febbraio del 1996 da rappresentanti del governo federale e direttamente approvati dal segretario Chuayffet. Il suo predecessore Moctezuma aveva lasciato l'incarico un anno prima, a causa della sua "negoziazione" affossata dallo stesso presidente.

Si susseguirono diversi episodi, alcuni rilevanti. I governatori priisti del Chiapas cadevano uno dopo l'altro, prima e dopo le elezioni del 1995, ufficialmente "vinte" dal candidato del PRI, Eduardo Robledo Rincón, in un clima di frode ed imposizione. Il presunto perdente, Amado Avendaño, dopo essere sopravvissuto ad un attentato che lo costrinse sulla sedia a rotelle per molti mesi, diventò il "governatore ribelle" sostenuto dal PRD, dalle organizzazioni indipendenti, dalla società civile e dall'EZLN. Robledo avrebbe lasciato l'incarico in poche settimane e sostituito da Julio César Ruiz Ferro, ex funzionario federale che ignorava completamente l'entità. Il suo mandato che culminò bruscamente col massacro di Acteal, fu passivo ed ubbidiente ad una politica tracciata dall'alto.

Il vero "governo" del Chiapas lo esercitava l'Esercito; l'amministrazione di Ruiz Ferro collaborava o lasciava fare. A capo militare nella zona di conflitto c'era dal 1995 il generale Mario Renán Castillo Fernández, che così arrivò ad essere un "capo d'esercito", cosa che fino ad allora poteva essere solo il segretario della Difesa Nazionale, il generale Enrique Cervantes Aguirre. Sostituito dal generale José Gómez Salazar, Renán Castillo avrebbe lasciato l'incarico il 16 novembre 1997, solo cinque settimane da Acteal. Durante il suo mandato si incubò e favorì una strategia deliberata, basata sui manuali di contrainsurgencia del Pentagono e dello stesso Esercito, per "togliere l'acqua" al "pesce rivoluzionario", adattando procedure sperimentate in Vietnam e Guatemala.

Un mese e mezzo prima della tragedia, il ricercatore Andrés Aubry ed Angélica Inda così riassumevano: "La collaborazione dei politici con la 'guerra irregolare', messicanizzazione semantica del conflitto di bassa intensità, fa sorgere ai nostri occhi un nuovo attore, il paramilitare" (….)

Verso l’abisso

Quando incomincia la "strada" sfociata nell'abisso di Acteal? Potrebbe essere quell'8 febbraio 1995. O il 19 agosto 1996, con l'assassinio di sei giovani di Chenalhó nelle scarpate di Chixiltón, "fatto isolato" che la stampa locale attribuì a "stregoneria" e che avrebbe segnato il debutto della violenza antizapatista nel municipio tzotzil. Oppure il 22 maggio 1997, quando membri del PRI bruciarono nove case di famiglie zapatiste a Las Limas Chitamucum, Pantelhó, molto vicino a Chenalhó. Come informava La Jornada ( 23 maggio), "85 indigeni dovettero fuggire". O fissiamo il principio al giorno dopo, 24 maggio, quando il professor Cristóbal Pérez Medio, rappresentante del municipio autonomo, fu assassinato da priisti armati ad Unión Yaxjemel mentre si dirigeva a negoziare con loro la liberazione dei primi ostaggi zapatisti? Il classico "ammazzate il messaggero". Il governo non indagò mai. La testa ed il corpo del professore apparvero separatamente quattro mesi dopo, quando la sorte di Chenalhó era segnata.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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