La Jornada – Giovedì 4 gennaio 2007
Dobbiamo ribellarci contro tutte le ingiustizie, affermano
Le donne zapatiste segnano una pietra miliare nella difesa mondiale della dignità

HERMANN BELLINGHAUSEN, ANGELES MARISCAL - Inviato e Corrispondente

Oventic, Chis. 3 gennaio - "Il mio nome è Ilse, sono agente municipale del mio villaggio e vengo in rappresentanza delle mie compagne donne". Questa semplice affermazione era impensabile alcuni anni fa in qualunque villaggio indigeno del Messico. Ilse viene dal caracol di La Realidad. "Noi abbiamo imparato come dobbiamo organizzarci per ottenere una buona comunicazione ed un buon coordinamento. Siamo riuscite a risolvere i problemi che si presentavano ed ottenere risultati perché valiamo come donne".

Secondo partecipanti ed osservatori all'Incontro dei Popoli Zapatisti con i Popoli del Mondo conclusosi questo martedì ad Oventic, la partecipazione delle donne zapatiste ha segnato una pietra miliare, per loro e per coloro che le hanno ascoltate ai diversi tavoli di lavoro, veri e propri forum di espressione delle basi ribelli. La sessione specifica delle donne alla quale hanno partecipato circa 30 indigene, alcune accudendo nello stesso tempo ai propri figlioletti, e tutte parlando con notevole sicurezza, è stata una manifestazione di affermazione femminile.

Magdalena ed Elena, tzotziles degli Altos, hanno condiviso una testimonianza: "prima era molto difficile, perché non eravamo tenute in considerazione, senza diritto di pensare e tanto meno di prendere una decisione sulla nostra stessa vita. Molte erano obbligate a sposarsi con chi non desideravano. Già sposate ricevono botte, maltrattamenti ed umiliazioni dai mariti, e di più quando si ubriacavano. Non c'era modo di difenderci né protestare; inoltre l'opinione dei genitori, nonni e mariti è quella che dobbiamo sopportare e restare in silenzio".

Come donne, aggiungono, "non abbiamo diritto alla terra, non possiamo occupare incarichi né risolvere problemi, tanto meno governare. Ma quando abbiamo incontrato la nostra organizzazione, da prima del 1994 ci siamo accorte che abbiamo diritti e che dobbiamo lottare insieme agli uomini per distruggere la nostra sofferenza". Ammettono che l'organizzazione ha permesso loro di sapere "che non è bene restare in silenzio, che non è normale".

Aumentando la loro partecipazione come miliziane, insurgentas, operatrici radio, promotrici di salute e dirigenti politiche, insieme a tutte le basi di appoggio si sono preparate alla guerra: "Abbiamo dimostrato il nostro valore e coraggio contro il malgoverno, le ingiustizie e l'oblio. E che noi donne possiamo prendere le armi e combattere contro le forze repressive".

Ricordano che il 19 dicembre 1994 molte insurgentas e miliziane parteciparono alla presa di 38 municipi per dichiararli autonomi. Nell'offensiva di Ernesto Zedillo il 9 febbraio 1995, migliaia di donne, insieme ai loro figli e mariti, uscirono dalle case per respingere l'occupazione militare delle loro comunità. Nonostante le minacce e la persecuzione, quello stesso anno furono designate più rappresentanti donne in ogni comunità, e molte di loro furono nominate come membri del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno dell'EZLN.

La testimonianza aggiunge: "le compagne dirigenti organizzarono azioni collettive per rafforzare la resistenza e l'economia autonoma delle donne. Ci sono gruppi che partecipano alle riunioni della loro comunità, assemblee municipali, marce, manifestazioni, presidi e blocchi, che sono parte delle lotte del popolo". Riconoscono tuttavia che nelle giunte di buon governo e tra le autorità autonome degli Altos è ancora poca la partecipazione delle donne.

"Per noi tutto è nuovo, prima non avevamo mai fatto così. Abbiamo incontrato problemi ed ostacoli. Il lavoro a casa molte volte non ci permette di uscire, dobbiamo prenderci cura dei bambini, degli animali e di altre cose, e gli uomini quasi non ci aiutano, o anche loro devono svolgere i loro compiti nella lotta. Inoltre non possiamo andare da sole a compiere il lavoro, perché c'è il pericolo che per strada ci violentino, soprattutto di notte".

Segnalano altri inconvenienti: "Quando una donna partecipa a qualche attività o integra qualche autorità, ci sono compagni e compagne che si burlano di loro. Ed il malgoverno ha tentato di dividerci con programmi vergognosi come Progresa ed Oportunidades. Le compagne hanno resistito e continuano a partecipare, molte volte senza chiedere permesso al marito, ai fratelli ed ai genitori, e tanto meno al malgoverno. Noi donne dobbiamo ribellarci a tutti". Ammettono che non è sufficiente. "Per vincere in una lotta rivoluzionaria si ha bisogno della partecipazione di tutti e di tutte, perché le donne del Messico e del mondo sono la maggioranza".

Gabriela e Jacinta, della giunta di buon governo di Morelia, e molte altre, choles e tzeltales del nord e delle cañadas, aggiungono testimonianze e considerazioni di forza simile. "Quando i compagni cominciarono ad organizzarsi, come donne non sapevamo cosa stavano facendo perché pensavano che noi non sapessimo stare in silenzio e la nostra organizzazione era clandestina", ricordano le giovani del caracol di Roberto Barrios.

Concludendo i loro racconti, le zapatiste hanno ricevuto un riconoscimento inaspettato. Mehmet Dogan, del Kurdistan, "paese occupato da Iran, Siria, Iraq, Turchia ed ora Stati Uniti", ha trasmesso un messaggio dell'organizzazione delle donne del suo paese, nel quale la donna è vittima di una tripla oppressione e neppure le è permesso di parlare la propria lingua. Le kurde sono onnipresenti nella lotta, e dentro il TKK, esercito di liberazione kurdo, esiste una brigata di donne Comandanta Ramona.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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