La Jornada - 2 novembre 2007
Pablo Romo Cedano*
Negare la guerra

Il giorno 27 dicembre 1997, ore prima dell'alba, con un'operazione a sorpresa, membri di organizzazioni di diritti umani e della Croce Rossa, accompagnati da elementi della Procura Generale della Repubblica, andammo a riscattare diverse famiglie rapite da paramilitari nelle comunità Los Chorros e Pechiquil a Chenalhó, Chiapas. Queste famiglie erano minacciate di morte se non cooperavano con le bande armate che avevano il controllo totale in varie comunità della regione.

Due padri di famiglia, di cui preferisco omettere i nomi, atterriti dalle notizie che arrivavano sul massacro in Acteal, ci mandarono un messaggio di aiuto, nonostante il rischio che questo avrebbe potuto comportare. Ci chiedevano di aiutarli a portare via le loro famiglie. L'operazione era difficile per il clima di tensione e violenza che si viveva in quei momenti in Chiapas e particolarmente in quel municipio. Per questo chiedemmo alla Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) e a Jorge Madrazo di aiutarci.

La mattina era molto fredda e pioveva con insistenza. Arrivando nella comunità di Los Chorros, gli abitanti notarono che due famiglie stavano scappando. Alcuni signori si avvicinarono al convoglio chiedendoci di aiutarli a portare via le loro famiglie e le loro cose. Impossibile prendere le cose, non c'era tempo: i documenti più importanti e la famiglia. Uno dietro l'altro venivano con la stessa preghiera. Avevamo pensato di partire prima dell'alba, ma fu impossibile. Quello si trasformò in una processione lenta e fradicia per la pioggia inclemente. Un contingente di militari delle vicinanze della comunità si unì a quello dei 400 rifugiati che uscivano da Los Chorros e Pechiquil quella mattina.

Dietro di noi ci lasciammo il villaggio ed almeno 70 case bruciate. Quelle case distrutte e saccheggiate appartenevano ad abitanti che si erano rifiutati di cooperare economicamente con i paramilitari, di coprirli e di collaborare nelle loro azioni. Quelle 70 famiglie erano fuggite nelle ultime settimane a cercare rifugio altrove. Accompagnammo le famiglie di rifugiati che nelle settimane e mesi precedenti erano venute negli uffici del Fray Bartolomé, a presentare le loro denunce alla Subprocura degli Affari Indigeni, dove, con invariabile gentilezza, ci riceveva David Gómez Hernández. Le denunce si sono accumulate una dopo l'altra, da morire dal ridere. Non si è mia mosso un dito per indagare sui fatti. Anche le denunce alla CNDH si accumulavano e le misure precauzionali richieste dall'organismo (3 dicembre 1997) al governo del Chiapas per proteggere gli abitanti di Chenalhó servirono ad ingrossare pratiche inutili.

Salvador Ruiz Hernández (allora aveva 17 anni) ci raccontò, quando uscimmo da Los Chorros, che la gente era obbligata a rubare e bruciare le case di quelli che fuggivano, altrimenti i paramilitari violentavano le loro mogli o madri. Quando Salvador si rifiutò di accompagnare gli armati nelle loro "ronde" con la polizia di pubblica sicurezza, fu legato ad un albero, picchiati e preso a calci per diversi giorni.

Arrivati sulla strada che univa Pantelhó con San Pedro Chenalhó un altro fiume di rifugiati camminava a passo lento, stanco. Questo enorme gruppo era partito da X'Cumumal a sette ore di distanza, sulla montagna. Erano più di 3mila, noi circa 400. Si unirono a questo triste esodo molte altre comunità. Quel giorno arrivarono a Polhó circa 6mila rifugiati. Erano di tutte le organizzazioni e di tutte le religioni. Arrivarono lì perché lì si diede loro rifugio. Altri andarono a Xoyep e meno a San Cristóbal.

Il 27 dicembre gli abitanti terrorizzati di Chenalhó diventarono visibili davanti alle telecamere di reporter nazionali e del mondo. Prima, quei profughi di guerra non erano visibili, erano negati, come la guerra stessa. Il governo del Chiapas spese migliaia di pesos in comunicati ed inserzioni a pagamento per negare il dolore ed il terrore che causavano i paramilitari e la guerra stessa. Per esempio, quando Ricardo Rocha presentò il suo impressionante reportage alla televisione nazionale, svelando la vita nell'accampamento di rifugiati di Xoyep, si beccò la contropropaganda pagata dai contribuenti, che lo accusava di falso, di aver fatto un montaggio. Non mancò l'editorialista che lo definì insidioso, nemico della pace e del Chiapas.

La distruzione del tessuto sociale, "distruggere con l'acqua il pesce", è uno dei fronti di guerra sempre coperto con nomi come "aiuto alla comunità" o "servizio comunitario". Negare la guerra è parte dell'arte della guerra. Per costruire la pace occorre la verità, anche se dolorosa.

* Ex direttore del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, attualmente coordinatore dell'Osservatorio sulla Conflittualità Sociale.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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