Firma la petizione: http://www.mujeresdejuarez.org
Rete Nuestras Hijas Italia. Per informazioni: nchrc.italia@gmail.com

Per le donne di Ciudad Juarez
CARTA - 2 agosto 2007

Dal 1993 a Ciudad Juárez, città di frontiera tra Messico e Stati Uniti, sono stati ritrovati centinaia di corpi di giovani donne, torturate e violentate. Si parla di seicento, settecento, di migliaia di vittime del femminicidio. In città, in corrispondenza di una triste mappa che ne segna i ritrovamenti, sono state piantate croci rosa che l'amministrazione vuole buttar giù, perché rischiano di infangare il buon nome della città che conta infiniti night club per gringos.

Nonostante le promesse da parte del governo centrale e locale, e la legge General de Acceso a las Mujeres a una Vida Libre de Violencia, la maggior parte dei casi non sono stati chiariti, né identificati i colpevoli. Sono morti rese invisibili dall'impunità, mentre non sembra aver fine il ritrovamento di cadaveri: solo dall'inizio del 2007, la cifra ufficiosa - come se ne esistesse una ufficiale - sfiora il centinaio tra cadaveri e desaparecidas.

Complici tutti: la condizione di frontiera di Ciudad Juárez; gli investimenti imprenditoriali senza etica; l'illegalità e l'intimidazione del narcotraffico; la fallibilità e la corruzione di giudici, polizia, alti funzionari ed imprenditori. Un oltraggio che percuote la memoria delle donne uccise, e che colpisce anche le altre vittime di questi crimini: i figli, che rimangono a fare i conti con la foto sbattuta in prima pagina della propria madre con i pantaloni alle ginocchia e i capelli stopposi di sangue, sperma e deserto.

L'informazione rappresenta una grave minaccia per chi sguazza nell'impunità. Le madri, i familiari, i sostenitori che lottano per chiedere giustizia, pagano a suon di minacce di morte, la denuncia di corruzione dei funzionari pubblici e del coinvolgimento nei casi di femminicidio di gruppi di narcotraffico. È di pochi giorni fa la richiesta dell'associazione delle madri Nuestras Hijas de Regreso a Casa, che dopo gli interventi internazionali ha ricevuto nuove intimidazioni, di azioni urgenti a tutela della propria incolumità.

Marisela Ortiz Rivera, tra le fondatrici dell'associazione NHRC, ha portato lo scorso maggio la propria testimonianza, prima a Cagliari, poi a Torino e a Roma, e ha incontrato a Palazzo Montecitorio un gruppo di parlamentari, che hanno chiesto a Romano Prodi di esortare il presidente messicano Felipe Calderón, in visita in Italia ai primi di giugno, ad attivare azioni di contrasto nei confronti della criminalità organizzata. È di pochi giorni fa la presentazione di una risoluzione proposta dalle stesse parlamentari, tra le quali l'on. Amalia Schirru, alla Commissione Affari esteri e comunitari della Camera dei deputati, in cui si invita il Governo a rinnovare il suo impegno "affinché vengano messe in atto le misure possibili per porre fine a questa ininterrotta e tuttora impunita catena di omicidi".

La Ortiz ha spiegato durante la sua visita in Italia, come si ritiene che dietro queste assurde morti, vi sia forse un rito d'iniziazione riservato ai componenti delle bande del narcotraffico, che scrivono la loro missiva sul corpo di giovani donne attraverso mutilazioni, torture e violazioni, marcando il territorio con decibel di urla e dolore.

La verità è che non solo sono state uccise. Non solo sono state violentate ripetutamente con oscena brutalità. Ma torturate per settimane dai loro carnefici, in un'altalena di dolore al limite della sopportazione: 5 infarti prima di morire, la pelle strappata via a pezzetti, le labbra e i seni mutilati a morsi, per un trofeo che celebra la crudeltà e la sevizia. Quanto più il carnefice riesce a prolungare il martirio della sua giovane vittima (sono numerose le bambine) tanto più può vedersi riconosciuto il suo glorioso status di malavitoso. Una promozione, firmata su un cranio reso convesso a botte.

Eppure queste giovani donne sono arrivate a Ciudad Juárez per lavorare, per pochi dollari al giorno, nelle grandi fabbriche di assemblaggio che pullulano nel territorio urbano, las maquiladoras. Queste scatole industriali sono il risultato di un accordo economico per frenare l'immigrazione messicana verso gli Stati Uniti.

Un efficace muro di confine che, assieme al filo spinato, è capace di stroncare a forza di turni massacranti quel desiderio di benessere e riscatto, che sbatte il muso qui, proprio sull'orizzonte dell'American dream. Sono lavoratrici spesso irregolari, senza altre alternative che queste fabbriche, sfruttate da investimenti imprenditoriali che ributtano sui nostri mercati quei televisori in offerta sul volantino, così economici, chissà perché.

Allora basta. Non una di più. Si accolga l'appello di azioni urgenti e la petizione online contro il femminicidio e contro le intimidazioni che subisce chi lotta instancabilmente per chiedere giustizia.

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