Il manifesto – 2 giugno 2007
La sinistra dopo il grande scippo del 2006. Divisa e depressa
Gli scontri fra le «tribù» del Prd, fra Lopez Obrador e Cardenas, e la posizione di Marcos hanno portato al riflusso
GI. PRO. - Città del Messico

Dopo la rabbia e l'indignazione provocate dalla frode elettorale del luglio 2006, con cui il Pan, coadiuvato dall'oligarchia economica e dalla destra internazionale (leggi Bush e Aznar), scippò spudoratamente la presidenza, la sinistra messicana attraversa una fase di depressione acuta.

Rappresentata maggioritariamente, a livello istituzionale, dal Prd, il Partido de la Revolución Democrática fondato nel 1989 da Cuauhtémoc Cárdenas con fuoriusciti della Corriente Democrática del Pri e spezzoni della sinistra, la izquierda comprende anche due partiti minori, il Partido del Trabajo e Convergencia. Dopo le elezioni dell'anno scorso, in cui sostennero la candidatura di Andrés Manuel López Obrador, i tre partiti fondarono il Frente Amplio Progresista, di centro-sinistra, allo scopo di coordinare la loro azione parlamentare. Sebbene la presenza del Fap nel Congresso sia di tutto rispetto - 156 deputati su 500, di cui 125 del solo Prd - la sinistra non riesce a beneficiare della sua avanzata storica di fronte ai 206 parlamentari del Pan e ai 105 del Pri, in aperta collusione sui più importanti temi politici. Questa diarchia de facto, designata già da anni come il Prian, è in grado di imporre la sua volontà all'opposizione di sinistra e si divide solo a volte su questioni minori.

Il Prd, per parte sua, è tutt'altro che monolitico e la sua divisione in correnti, chiamate «tribù», rivela aspre lotte per l'egemonia interna e toglie efficacia alle sue iniziative. Lo si è visto con chiarezza l'anno scorso, quando si rivelò che, per mancanza di coordinamento fra il partito e i comitati cittadini d'appoggio alla candidatura di AMLO, in circa un quarto delle sezioni elettorali non si presentarono osservatori del Prd, facilitando così i brogli della destra.

Un altro fattore che contribuì alla sconfitta fu la diserzione di Cuauhtémoc Cárdenas, il vero vincitore delle elezioni presidenziali del 1988 (scippate da Salinas de Gortari), che, stizzito per non aver ottenuto la candidatura per la quarta volta, decise di boicottare la campagna di López Obrador.

Last but not least, l'avversione dichiarata del subcomandante Marcos per il popolarissimo AMLO, ribadita in tutto il Messico durante la Otra Campaña, non servì certamente la causa dell'unità della sinistra. Perché se è vero che la lista delle malefatte del Prd è lunghissima - dall'approvazione di una ley indígena apertamente razzista alla complicità con la ley Monsanto e la ley Televisa, che favoriscono rispettivamente il dominio delle multinazionali e uno schiacciante duopolio televisivo - il ripudio a López Obrador ha favorito il disorientamento del popolo della sinistra e la vittoria del Pan, espressione dell'ultradestra cattolica e della svendita neo-liberista del paese.

L'attuale emarginazione di cui è vittima il movimento zapatista e lo scarso interesse per le iniziative del subcomandante sono i frutti velenosi di una posizione sbagliata, imputabile soprattutto a Marcos, che ha confuso purismo e settarismo. Per fortuna le comunità zapatiste, lontane dalla politica istituzionale, continuano a camminare con creatività e decisione sulla strada dell'autonomia.

Oggi, quando il movimento di sostegno a López Obrador e al suo governo parallelo è entrato in una fase di riflusso dopo l'esaltante esperienza della tendopoli nel centro della capitale, la vera risposta al golpe della destra è affidata ai movimenti sociali, alle organizzazioni locali e di base, a una popolazione impoverita e repressa, arrivata al limite della sopportazione per i soprusi di un governo che, appoggiandosi all'esercito e all'alto clero, rivendica aggressivamente gli ideali del franchismo.

Dice il politologo Luis Javier Garrido: «Quello che si sta dando in Messico è una fascistizzazione dello Stato, le cui politiche configurano sempre più una vera e propria guerra contro la maggioranza depauperata della popolazione».


Fuera Calderon

Per lunedì prossimo l'associazione Ya Basta ha indetto un presidio «mobile, colorato, rumoroso e indignato» contro il presidente fraudolento del Messico, Felipe Calderon, in occasione della tappa romana del suo viaggio europeo.

L'appuntamento è per le ore 11 in piazza San Marco (a fianco di piazza Venezia). Ya Basta afferma che i rapporti bilaterali fra l'Italia e il Messico di Calderon sono troppo «forti e normali» a fronte di una situazione che vede nel paese meso-americano «fra i 500 e gli 800 prigionieri politici», di cui «esigiamo la liberazione immediata».

Paradossalmente, come a sottolineare la distanza sempre più siderale fra l'establishment politico e la società civile, Calderon presiede attualmente la Commissione per i diritti umani dell'Onu e in Italia è stato premiato per l'abolizione della pena di morte...

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