il manifesto – 2 febbraio 2007
Il prezzo dell'alimento-base dei messicani cresce del 40% in pochi mesi. E le piazze si riempiono contro il governo
Il Messico si rivolta per il caro-tortilla
Dietro ai rincari anche la scelta Usa di usare etanolo (estratto dal mais) al posto della benzina. Chavez: «Alimentare un'auto conta più che alimentare un uomo»
Gianni Proiettis - Città del Messico

Una folla oceanica ha riempito mercoledì lo Zocalo, la grande piazza nel centro della capitale che è il cuore politico del paese. Manifestava contro il rincaro dei generi di prima necessità - la tortilla, base dell'alimentazione dei messicani, è aumentata da un giorno all'altro del 40% - contro la disoccupazione rampante, la repressione del dissenso e le politiche antipopolari del governo. A soli due mesi dal suo contestato insediamento, il successore di Vicente Fox, Felipe Calderón, paladino dell'estrema destra cattolica e imprenditoriale che è riuscita a mantenersi al potere con una torbida elezione, si trova di fronte alla prima, grande, manifestazione di ripudio.

La novità della manifestazione, a cui hanno partecipato più di 150 organizzazioni sindacali, civiche e contadine, è stata l'adesione di forze che non appartengono all'opposizione di sinistra, rappresentata dal Partido de la Revolución Democrática e dai suoi alleati, il Partido del Trabajo e Convergencia, coalizzati recentemente nel Fap, il Frente Amplio Progresista.

I sindacati legati al Pri, il Partido Revolucionario Institucional spodestato nel 2000 dopo oltre settant'anni di egemonia assoluta, volevano impedire che Andrés Manuel Lopez Obrador, «presidente legittimo» per almeno 15 milioni di elettori, prendesse la parola nello Zocalo, con il pretesto di evitare una manifestazione partitica. Si è arrivati così al compromesso di dividere i tempi e, dopo la lettura della Declaración del Zocalo - un documento in difesa della sovranità nazionale, energetica e alimentare, dell'impiego e del salario - è stata la volta, alle 7 di sera, del popolarissimo Amlo.

Il leader dell'opposizione di sinistra, che passa ormai metà del suo tempo visitando il Messico profondo, ha denunciato il ristretto comitato di affari che si è impadronito del governo e sta attuando politiche ancora più aggressive e antipopolari del suo predecessore. Ha anche invocato misure d'emergenza, come aumenti salariali - il salario minimo attuale è di circa 100 dollari al mese -, prezzi calmierati e sussidi ai generi alimentari di prima necessità, in particolare la tortilla, vittima della speculazione di accaparratori multinazionali come Monsanto e Cargill, che spingono anche sul fronte del mais ogm.

Un'altra parte di responsabilità nell'impennata del prezzo del mais è la recente scelta di Bush di incentivare l'uso dell'etanolo (prodotto dal mais) al posto della benzina, col risultato che il mais aumenta di prezzo e chi lo produce nemmeno potrà mangiarlo. E da Caracas è arrivata puntuale la frecciata di Hugo Chavez: «Nella società capitalista - ha detto il presidente del Venezuela - alimentare un'auto è più importante che alimentare un uomo».

Questa manifestazione di ripudio al «nuovo» governo dell'ultradestra è certamente la maggiore, ma non la prima, che si trova di fronte Felipe Calderón, di ritorno in questi giorni dal suo primo tour europeo, che ha toccato Germania, Gran Bretagna e Spagna, con l'intermezzo di Davos. Se gli obiettivi principali del viaggio erano quelli di legittimare il neopresidente sulla scena internazionale e attrarre maggiori investimenti europei in Messico, non si può dire che gli sia andata molto bene. Le sue dichiarazioni a Davos, nell'ambito del Foro Economico Mondiale, hanno ricalcato una caparbia adesione al modello economico neoliberista e una crescente subordinazione agli interessi statunitensi. Inoltre, hanno approfondito il solco fra il Messico e gli altri paesi latinoamericani, aggiungendo nuove frizioni diplomatiche a quelle già esistenti.

Calderón non si è limitato a presentare il Messico attuale come «una democrazia stabile e vitale» - proprio lui, vincitore di un processo elettorale fraudolento - ignorando le lacerazioni sociali che ha provocato, l'impoverimento e le proteste che agitano il paese, ma si è anche scagliato contro i governi che espropriano le multinazionali, contro «le dittature vitalizie» e chi cerca l'integrazione latinoamericana lontano da Washington. L'allusione a Morales, Castro e Chavez non poteva essere più chiara. La distanza diplomatica fra Messico e Venezuela, che già dal 2005 avevano ritirato i rispettivi ambasciatori, è così aumentata, isolando ancor più il governo messicano nel contesto regionale.

Il fatto di presentare il Messico come «una polizza contro le nazionalizzazioni» - nel senso che è disposto ad ospitare tutte le multinazionali che hanno o avranno problemi in America latina - non ha guadagnato molte simpatie al presidente de facto Felipe Calderón. Una parte della stampa messicana lo sta già tacciando di «crumiraggio» e il quotidiano La Jornada paragona la sua proposta a «un annuncio da massaggiatrice».

Sia a Berlino che a Madrid, Calderón è stato accolto da manifestazioni di protesta in cui gli si rinfacciava la violazione dei diritti umani e la repressione di Oaxaca. E in Germania, in una conferenza stampa dove si questionava la sua legittimità, il presidente ha ricordato di aver vinto le elezioni con un margine superiore a quello di Angela Merkel.

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