La Jornada - 2 febbraio 2007
Raúl Zibechi
TEMPO DI CONFLITTO

L'intensificazione dei conflitti che stanno attraversando il continente, nelle ultime settimane focalizzati in Ecuador e Bolivia, riflettono un clima di acuta opposizione tra le elite che cercano di conservare i propri privilegi e i settori popolari, appoggiati dai governi affini, che tentano di introdurre cambiamenti di lunga durata.

La storia recente del Venezuela sembra ripetersi su scala allargata. La morte sospetta del ministro della Difesa dell'Ecuador, Guadalupe Larriva, può rappresentare un salto qualitativo nella forma operativa delle elite in una delle aree più calde del continente. Infatti, nella nazione andina, si sta giocando il futuro della strategia di Washington stabilita nel Plan Colombia e la sua progressiva "esportazione" agli altri paesi della regione. L'Ecuador può essere la chiave principale per il contenimento del Plan Colombia, che in realtà è rivolto contro il Brasile e il Venezuela. Ma in questa nazione, dove si registra una forte opposizione tra il Brasile e gli Stati Uniti e un prolungato conflitto di classe tra i movimenti indigeni e popolari e le elite della costa, sembra installarsi uno scenario di intensa destabilizzazione.

I recenti avvenimenti indicano che i settori popolari non sono disposti a lasciar perdere l'opportunità, che il governo di Rafael Correa sta loro offrendo, di istituzionalizzare quei cambiamenti per cui stanno combattendo da quasi due decenni. In Ecuador, come in Venezuela, tutti i tentativi delle elite di indebolire i movimenti sociali, sono falliti. All'inizio c'è stata la repressione dura e pura. Poi sono arrivati i progetti, redatti e finanziati dalla Banca Mondiale, di cooptazione e di divisione dei movimenti tramite la "cooperazione allo sviluppo". Nonostante abbia vissuto momenti di acuta debolezza, la Conaie (Confederazione della Nazionalità Indigene dell'Ecuador) è riuscita a sopravvivere e a recuperare buona parte della vitalità che ebbe negli anni '90. Liberi dai legami impliciti nella partecipazione al governo, diversamente da quanto accaduto nel 2002 con il mandato di Lucio Gutiérrez, i movimenti si trovano ora nelle condizioni di prendere l'iniziativa e di poter spingere il presidente Correa oltre quanto sembrava disposto a fare all'inizio.

Lo scenario ecuadoriano ha una certa empatia con quello boliviano. Lì, le elite stanno cercando di frenare il programma di cambiamenti inalberando la bandiera dell'autonomia nelle regioni ricche dove si trovano i giacimenti di gas. In realtà, si tratta della stessa strategia: impedire il funzionamento dell'Assemblea Costituente, chiamata a rifondare lo Stato nazionale. È indubbio che il governo di Evo Morales ha fatto dei passi falsi quando, una volta convocata e messa in piedi la Costituente, si è comportato in maniera tale da rinforzare la vecchia cultura politica che invece dice di voler superare.

Forse in Ecuador succederà qualcosa di simile. O ancora peggio, perché in questo paese si è già registrato l'insuccesso della Costituente istituita a metà degli anni '90, che non solo non è stata capace di riconoscere lo Stato multi-nazionale che richiedeva la Conaie, ma che ha finito per riaffermare la cultura politico-coloniale e il vecchio sistema di partiti. Tuttavia, al di là di questi errori, è importante sottolineare come, sollecitato dalle elite e dall'impero, si stia delineando uno scenario di intensa polarizzazione.

Una delle lezioni più importanti degli ultimi anni nel continente è che non sarà possibile uscire dal modello neoliberista senza affrontare le inevitabili crisi sociali e politiche che esso presuppone. È, diciamo, la lezione venezuelana, che può essere riassunta così: qualsiasi governo che provi a spostarsi oltre il modello vigente, dovrà affrontare vere insurrezioni popolari scatenate e sostenute da quelli "di sopra", oltre ai tradizionali embarghi e alle destabilizzazioni generate dal sistema finanziario globale. È questo un aspetto relativamente nuovo e rappresenta una delle eredità più perverse di due decenni di neoliberismo: le classi dominanti possono oggi far affidamento su una base di masse, per così dire, che può essere mobilitata a difesa di interessi corporativi e contro i settori popolari.

Infatti, la distruzione del tessuto sociale provocata dal modello ispirato al Washington Consensus, ha portato all'emarginazione ampi settori della popolazione, ha avvicinato la situazione degli strati medi a quella dei poveri generando classi di nuovi poveri, però ha anche creato un settore sociale, per niente trascurabile dal punto di vista quantitativo e per la sua influenza sui media, che di questo modello si è servito. È un errore pensare che il neoliberismo ha avvantaggiato solo le elite. Abbiamo davanti i casi della Bolivia e del Venezuela, dove i settori dominanti sono stati capaci di mobilitare centinaia di migliaia di persone, compresa una parte dei settori popolari, a difesa degli interessi delle elite.

Uscire dal neoliberismo presuppone avere il coraggio politico di affrontare la destabilizzazione. La situazione dei tre paesi citati è in netto contrasto con quella del Brasile e dell'Uruguay, dove i governi di sinistra sono prigionieri della propria difesa di una "governabilità" che non può che essere funzionale allo stato di cose presente. La crisi che stanno attraversando la Bolivia e l'Ecuador, rappresenta il prezzo da pagare per una politica di cambiamenti reali e duraturi. Per questo, l'instabilità che stiamo vivendo in queste settimane non si risolverà in poco tempo, salvo che i governi di Evo Morales e Rafael Correa desistano dalle intenzioni che hanno dichiarato. In questo caso, potrebbero fare affidamento su un certo consenso delle elite, sempre limitato nel tempo e vincolato. Ma, allora, in questo caso dovrebbero scontrarsi con l'ostilità dei movimenti. La brusca virata di Lucio Gutiérrez verso Washington, nonostante fosse arrivato al governo con l'appoggio decisivo della Conaie, non gli ha permesso di sopravvivere per molto tempo e ha dovuto abbandonare il governo di fronte ad una società mobilitata che non si è mai arresa. Da qualsiasi parte guardiamo, le crisi sociali e politiche sembrano inevitabili. La cosa migliore da fare, allora, è prepararsi per tempi di intensi e speranzosi conflitti.

(traduzione a cura di radio silvanetti)

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