Partecipazione della Commissione Sesta in casa Lamm - 1° ottobre2007

I VESTITI NUOVI DEI VECCHI CONQUISTATORI

"Tutti ed ognuno di noi paga puntualmente la sua quota di sacrificio, coscienti di ricevere il premio nella soddisfazione del dovere compiuto, coscienti di avanzare con tutti verso l'uomo nuovo che si scorge all'orizzonte".
Ernesto Che Guevara
Il socialismo e l'uomo nuovo in Cuba - marzo 1965

Quante volte hanno tentato di ammazzare quest'uomo che sintetizza, più che una persona, un ideale? Quante volte hanno tentato di relegare la figura del Che Guevara e ciò che rappresenta nella fugace vetrina delle mode che si vestono per l'occasione e non si svestono nella mediocrità?

Ogni anno, per 40 anni, in offensive mediatiche e riflessioni di penitenti, convertiti e "soggetti" d'analisi a "tutto spiano", si è rieditata l'imboscata della Quebrada del Yuro in Bolivia, per tentare di convincere il mondo, che in basso ed a sinistra ci si ostina a lottare per la sua liberazione, la morte dell'ostinata ribellione che porta il nome di Che Guevara.

E quante volte si è cercato di conquistare i popoli originari di questo continente, che potrebbe chiamarsi "Guevariano" e non "Americano"?

Popoli che continuano ad ostentare la loro ignoranza nel non coniugare la resistenza e la lotta per un mondo migliore col "io, mi, me, con me" e, invece, si vantano di reiterare quel "noi" tanto passato di moda, soprattutto all'ora degli impegni.

Ogni anno, durante 515 anni, in dichiarazioni di funzionari, di presunti storici che appena riescono goffamente ad imbastire giustificazioni per la storia dell'alto, e "obiettivi" analisti di una "modernità" prematura, si riedita la scoperta e la conquista di queste terre, per tentare di convincerci che non ci fu spoliazione e distruzione, ma si trattò della "civilizzazione" di culture che, in realtà, danno "uno a quattro" rispetto a quelle che ora pretendono di fare da modello per tutta l'umanità.

E quante volte non si è trattato di sistemare, nel comodo scaffale della moda, l'avvicinamento a coloro che sono il colore della terra?

Chiaro, sempre e quando non si dimentichi che le mode sono passeggere e, come tali, dipendono dai calendari in alto.

Dopo il 1994, "vestiva" bene l'accompagnare la lotta indigena, ma non c'è moda che resista più di 10 anni e, in questo caso, l'oggetto di studio, analisi, riflessione, elemosine e misericordia è ostinato, ribelle, disubbidiente.

E quando la moda cambiò e si decretò che la politica dall'alto era quella urgente ed importante, tutto ciò che non entrava in quel calendario si convertì in anacronistico, riprovevole e disprezzabile.

Una leggenda che si perde negli angoli che abbondano del battito bruno delle terre di questo continente, racconta che gli dei impiantarono qui il domani; che il mondo era giusto e non c'erano nè il Prepotente né comandi; che il sole si svegliava e riposava nelle montagne che ricamano i bordi della casa grande degli uomini e delle donne di mais; che la notte era il tempo per il brillare dell'altra luce che nasceva dalla pelle che, incontrandosi, partoriva mondi interi in tutti gli angoli; che l'alba era lo spazio per custodire le meraviglie che ora sono macchiate con la parola "impossibile"; che allora le ombre erano solo seminate, niente di più, a volte vestite da albero, o da pietra, nuvola, parola, aspettando che la luce regalasse loro vita e passo.

E raccontano che fu regalata la ricchezza fatta terra, acqua, aria, vita e che furono assegnati pure i Guardiani affinché la ricchezza fosse per tutti e per tutte, affinché non morisse.

Raccontano anche che, dopo che furono invase e conquistate queste terre dal denaro fatto dio ed esercito, quando l'europeo Américo Vespucio disegnò la mappa del continente che avrebbe portato il suo nome, stava pensando non alla cartografia di un mondo nuovo, ma alla mappa di un tesoro.

E sul tesoro si gettò la muta vestita di abiti talari e di armature. Si distrusse e si saccheggiò.

La terra, la Madre, addolorata, ordinò ai suoi Guardiani la resistenza ed il paziente sollievo, e pure la cura, la coperta della lingua, del vestito, del canto, del ballo, della cultura.

Sulle gonne e nelle trecce delle donne, nelle pieghe della pelle dei più anziani, nello stupore dei bambini, nella degna ribellione dei suoi uomini e delle sue donne, furono conservati i ricordi, ma non di quello che fu, bensì di ciò che sarà.

Sotto questi cieli ondeggiarono le bandiere usurpatrici delle monarchie spagnola, portoghese, olandese, britannica, francese... sempre quella del denaro; ed i saccheggiatori avevano lettere di governi che - dicevano - di preoccuparsi di "civilizzarci".

Non cessa di essere paradossale che alcune di quelle nazioni proseguano, più di 500 anni dopo, a mantenere delle famiglie reali senza altro merito che un albero genealogico coltivato con crimini, intrighi e guerre; e che si permettano di qualificarsi come "moderne" e "civilizzate", mentre i popoli indios sarebbero i "ritardati".

Nell'orologio in basso suonò poi l'ora della lotta ed il sangue indigeno corse per i 7 punti cardinali. E si chiamò indipendenza il cambio di vestiti che il denaro faceva per continuare ad opprimere terre e gente.

Arrivò poi dall'alto dell'alto il nuovo Imperatore, il capitale, e con lui la nuova alchimia che trasforma tutto in merce.

In alto si simulava indipendenza e sovranità, ma i vestiti dello straniero continuavano a vestire il Prepotente.

Il calendario in basso compì il ciclo ed il centenario illuminò una nuova insurrezione. Il sangue bruno si reiterò, generosamente, e su lui e per lui cadde il tiranno. Il finale fu fatto monumento e le cose pendenti rimasero talmente tante che il sollievo fu scarso e la cura nulla.

La terra, la Madre, offrì allora il suo alimento di dignità ribelle ad altri colori e, come frammenti di un specchio rotto, la lotta prese da allora i vestiti dell'operaio, del contadino, dell'impiegato, dell'altro amore, della gioventù, della donna, della saggezza che non si vende per comodità o per moda.

La resistenza fiorì, fiorisce.

Però la storia in alto torna ad offrirci, come via d'uscita, la menzogna che non cura né allevia… 100, 200 anni dopo.

L'Imperatore è cresciuto e sono cresciuti la sua ambizione ed il suo potere di distruzione. Se prima il tesoro era d'oro, d'argento, di metalli e pietre preziose, ora è fatto d'acqua, d'aria, di boschi, di animali, di conoscenze, di persone.

E se prima la divisa dei suoi ufficiali di conquista era la veste talare e l'armatura, e dopo si francesizzò la leva di "scienziati" e militari porfiristi, ora è la giacca a doppio petto dei partiti politici.

L'Imperatore, il capitale, arrivato alla sua età neoliberale e globalizzata, è riuscito a portare la sua logica mercantile fin negli angoli più appartati della natura. Oggi è merce ciò che prima non aveva altro valore che quello d'uso comune della gente.

Ma nel nuovo saccheggio, l'Imperatore ha incontrato lo stesso ostacolo contro il quale si è scontrato il suo padre-madre: la ribellione dei popoli indios.

Distrutto il campo e colui che lo lavora, smantellate le conquiste dei lavoratori e delle lavoratrici della città, ottenuta la benedizione di cardinali e vescovi antichi e moderni (cioè, dei mezzi di comunicazione di massa), comprati con pochi soldi i principi di partiti politici e delle organizzazioni sociali; l'Imperatore riscopre ora che i Guardiani sono una molestia ed un'opposizione reale.

Quando l'Imperatore comanda ed ordina, il politico si affretta nella sua servitù. Un esercito di autorità e funzionari governativi, appoggiati da un esercito e da una polizia con metodi da guardia di latifondo, sono alla testa della rapina delle ultime vestigia di Nazione, della sovranità e dell'indipendenza che esistono ancora sulle nostre terre.

In Messico questa guerra di conquista è solo nuova nelle sue forme legali e mediatiche, e nei ridicoli colori dei vestiti dei governanti: il verde, bianco e rosso; l'azzurro e bianco, il giallo e nero, il rosa, il rosso e giallo, il verde marcio, più quelli che si aggiungeranno al catalogo delle tinte nella prossima stagione pubblicitaria, cioè, alle prossime elezioni.

Per la riconquista del Messico, ora con l'obiettivo delle sue ricchezze naturali, l'Imperatore inviò allora uno dei suoi pupilli prediletti, preparato nei suoi campi di addestramento, pardon, nelle sue università private: Carlos Salinas de Gortari che, mediante una frode elettorale, potè conquistare la spiaggia, il governo federale, e, da lì e mediante l'alibi del liberalismo sociale, la compra di coscienze, la sconfitta di coraggi e l'eliminazione di coloro che gli resistevano, e impose, col ferro e il fuoco, le condizioni per la liquidazione della Nazione messicana a prezzi di parastatale, pardon, a prezzo di bancarella.

La mitologia capitalista trovò allora, con la complicità di criminali ed intellettuali, un esempio da seguire: Carlos Slim Heliú. Il vecchio racconto della ricchezza ottenuta con lavoro e sacrificio, occultò ed occulta la corruzione e l'esproprio con un biglietto prepagato.

In un testo scritto alla vigilia del proseguimento delle sue avventure ribelli, "Il Socialismo e l'Uomo Nuovo in Cuba" (Settimanale "Marcha" - marzo 1965), Ernesto Che Guevara scriveva: "Le leggi del capitalismo, invisibili per la gente comune e cieche, agiscono sull'individuo senza che questi se ne renda conto. Si vede solo l'ampiezza di un orizzonte che appare infinito. Così lo presenta la propaganda capitalista che pretende di estrarre dal caso Rockefeller - veridico o non - una lezione sulle possibilità di successo. La miseria che è necessario accumulare affinché sorga un esempio così e la somma di vigliaccate che implica una fortuna di quella grandezza, non appaiono nel quadro e non è sempre possibile alle forze popolari chiarire questi concetti".

Mettete "Carlos Slim Heliú" al posto di "Rockefeller" e vedrete che la storia in alto, stanca di camminare, si ripete.

Ma forse alcune cose, oltre ai vestiti, sono cambiate. Se in tutto il mondo gli "ufficiali" della neoconquista del pianeta sono i governi nazionali e le loro truppe sono formate da funzionari di ogni tipo e rango, il ruolo di buffoni della corte dell'Imperatore è molto disputato dai partiti politici… e non solo in tempi elettorali...

Ed abbondano gli aneddoti che sono ottimi esempi...

40 anni fa, l'8 settembre 1967, inseguito dall'esercito ed attaccato dalle sinistre ben accomodate del mondo, il Che scrisse:
"Un giornale di Budapest critica il Che Guevara, figura patetica e apparentemente irresponsabile e saluta l'attitudine marxista del Partito Cileno che assume un atteggiamento pratico nella pratica. Come mi piacerebbe arrivare al potere, anche solo per smascherare codardi e lacché di ogni specie e far loro strofinare il muso nelle loro porcherie".

Oggi, 40 anni dopo, attraverso la mia voce, le comunità indigene zapatiste rendono un umile omaggio a chi fu catalogato da coloro che dicevano stare dalla sua stessa parte, come "patetico" e "irresponsabile".

Di loro non c'è più nessuno che li ricordi con rispetto, ma il Che continua ad essere fonte d'ispirazione nel nostro bruno camminare.

Per gli altri, per noi, per gli zapatisti e le zapatiste, è chiaro: nel criminale calendario dell'alto, l'orologio della storia pretende di ripetere l'ora del crimine contro le nostre culture originarie.

Compete ai nostri popoli indios proseguire nella lotta che altri abbandonano per comodità.

Invece di paralizzarci per il silenzio e l'indifferenza con la quale ci "puniscono" per non seguirli nella loro avventura dove stanno gli stessi anche se con vestiti diversi, siamo impegnati in un doppio sforzo: vederci ed ascoltarci con i popoli originari di questo continente ed organizzarci con quelli e quelle che hanno scelto il luogo più scomodo per essere e lottare: quello in basso ed a sinistra.

Per alcuni giorni, le culture originarie di questo continente si riuniranno nel territorio della tribù Yaqui, in Vicam, in Sonora, in Messico.

Dato che non si discuterà di candidature, alleanze elettorali o di quanto è di moda nel calendario in alto, si dirà che non è immanente e non avrà ripercussioni (cioè spazio sui giornali).

Forse.

Ma noi sappiamo che la terra, la Madre, sa che lì è dove si saprà se qualcuno lotterà per darle il domani che custodisce in seno, se qualcuno confezionerà i vestiti che nessuno porterà quando affronterà il ciclope del Potere, se qualcuno coltiverà finalmente l'altro calendario in un'altra geografia, uno nel quale tutto sarà rinominato di nuovo, e la luce e l'ombra ricorderanno che ambedue sono la parte di verità che ogni leggenda custodisce.

Molte grazie.

Subcomandante Insurgente Marcos
Messico - ottobre 2007

(traduzione del Comitato Chiapas di Torino)

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