Il Messico nel momento del pericolo *

Claudio Albertani

Per ottenere ciò che vogliono, i lavoratori dovrebbero accendere un bel fuoco sotto la sedia dei leader. Non esistono leader indispensabili e quanto più ardente e frequente è il fuoco acceso sotto la sedia dei leader, tanto più vigoroso ed ampio sarà il movimento politico.
B. Traven

Il Messico è in subbuglio. A sei mesi dalle elezioni presidenziali del 2 luglio 2006, la campagna elettorale più conflittuale della storia recente è in pieno sviluppo ormai da tempo. Il favorito è l’ex sindaco di Città del Messico, Andrés Manuel López Obrador, detto AMLO, candidato del Partido de la Revolución Democrática, PRD, di centro-sinistra.

I sondaggi gli attribuiscono un 35 per cento delle preferenze elettorali, con un margine di circa sei punti sui più vicini concorrenti, Roberto Madrazo del Partido Revolucionario Institucional (PRI, di centro-destra, che ha governato il paese per 70 anni e conserva un buon numero di governatori e la maggioranza nel Parlamento) e Felipe Calderón, del Partido Acción Nacional (PAN, di destra, che nel 2000 ha conquistato la presidenza con Vicente Fox Quezada).(1)

AMLO ha superato gli attacchi della magistratura e dei poteri forti, però nei mesi scorsi ha subito pesanti critiche anche da sinistra. In un testo di sorprendente veemenza, il subcomandante Marcos, lo ha accusato di essere l’uovo del serpente, il cavallo di Troia dell’imperialismo, colui che, se eletto, non solo non ripudierà le politiche neoliberali che da oltre vent’anni stritolano il Messico, ma, al contrario, le approfondirà ancor più, “riordinandole ed intensificandone l’efficacia”.(2)

Da qui l’idea di costruire l’“altra campagna”, un movimento anti-partito che, senza prefiggersi di conquistare il potere statale, possa unificare la complessa galassia di gruppi e movimenti della sinistra non elettorale per costruire “una nuova forma di fare politica”.

Riassunta nella Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, la proposta è attraente.(3) Per valutarla a fondo è necessario tuttavia soppesare l’attuale congiuntura politica. Chi è AMLO? Cosa significa votare per lui? Ed inoltre: che prospettive ha l’altra campagna? Come intenderla nell’attuale contesto latinoamericano?

AMLO

López Obrador non è un rivoluzionario e neppure si presenta come tale. La destra lo definisce un populista radicale, ma l’etichetta è ingannevole giacché serve solo a squalificare chiunque si opponga, anche minimamente, alle direttive imperiali.(4)

Come tanti altri membri del PRD, AMLO non viene dalla sinistra, bensì dal PRI. È un riformista moderato, formatosi nella tradizione del nazionalismo messicano di Morelos, Juárez e Cárdenas, ma è soprattutto un pragmatico, cosciente delle ferree leggi della politica elettorale. Sa che senza fare concessioni e tessere alleanze non potrà mai essere presidente e ancor meno governare.

La sua pagina web informa che è nato nel 1953 a Macuspana, una cittadina del Tabasco, nel profondo sud-est messicano.(5) È d’origine umile, si è laureato in scienze politiche e ha rotto con il PRI nel 1988 per unirsi alla campagna elettorale di un altro ex priista, Cuauthémoc Cárdenas, fondatore e leader storico del PRD.

In seguito, è stato candidato al governo del Tabasco e presidente del PRD tra il 1996 ed il 1999. È allora che ha sfoderato le sue note capacità di organizzatore e agitatore popolare che tanto teme la destra. Infine, nel 2000, è stato eletto sindaco di Città del Messico per un periodo di sei anni, incarico a cui ha rinunciato nel luglio 2005 per dedicarsi alla campagna presidenziale.

Come governante della città più grande del mondo, AMLO si è distinto per un’intensa attività d’investimenti nel campo dell’edilizia, dell’educazione, della sanità e dell’assistenza agli anziani. I suoi programmi di ristrutturazione del Centro Storico e d’ampliamento della rete stradale urbana, sebbene molto criticabili dal punto di vista della gestione sociale dello spazio, hanno raggiunto alti indici di consenso.

Adesso vorrebbe estendere il modello al resto del Messico. Contenuta in 50 punti, la piattaforma di AMLO promette di aumentare il salario minimo, frenare la privatizzazione del settore energetico, riattivare l’economia, creare impiego, risanare le disastrate campagne e mettere in pratica gli Accordi di San Andrés con l’EZLN.(6)

Tace però su questioni importantissime come la problematica delle donne, il narcotraffico, la legislazione sulle biotecnologie che consente alle multinazionali di saccheggiare a volontà le risorse umane e naturali del paese.

Le sue intenzioni in politica estera non sono chiare. “Bisogna approfittare della globalizzazione e non solo soffrirla”, ripete affermando che, se eletto, rispetterà l’ordine macroeconomico internazionale, manterrà la disciplina finanziaria, il controllo del deficit pubblico, dell’inflazione e del debito estero.(7)

Il tema del Mercosur -il polo economico sudamericano che comprende Venezuela, Paraguay, Argentina, Brasile e Uruguay (e presto anche Bolivia)- non figura nel suo programma, dove neppure si esige di rinegoziare il NAFTA (North American Free Trade Agreement), il disastroso trattato di libero commercio tra Usa, Canada e Messico che nel 1994 accese la scintilla della ribellione zapatista.(8)

È abbastanza per vaticinare che, se eletto, continuerà il modello degli attuali governi neoliberisti? Non necessariamente.

Il pragmatismo di AMLO si può spiegare, almeno in parte, con la necessità di dividere o, perlomeno, neutralizzare il settore dei potenti e quello dell’esercito. In fase elettorale non è prudente fare sfoggio di radicalismo, soprattutto quando si è vicini degli Stati Uniti.

Comunque sia, la forza di AMLO -e della sua Alianza por el bien de todos che, oltre al PRD comprende anche due partiti minori, in precedenza legati al PRI, il Partido del Trabajo, PT, e Convergencia, presieduto dall’ex governatore di Veracruz e conosciuto antizapatista, Dante Delgado- risiede in schieramenti del tutto opposti.

Vi è, in primo luogo, una massa proletaria -o, per meglio dire, “plebea”-, soprattutto urbana, che ha il cuore a sinistra e chiare simpatie zapatiste. In gran parte incontrollabile, questa scorge in López Obrador un’alternativa al capitalismo selvaggio, senza per questo identificarsi necessariamente con il PRD, né appartenere alle sue strutture clientelari. È una massa scomoda che esercita una costante pressione a sinistra e dalla quale tuttavia AMLO sa di non poter prescindere.

Ciò preoccupa la tecno-burocrazia del PRIAN -così soprannominata per sottolineare la complicità tra i due principali partiti messicani, PRI e PAN- che nei mesi scorsi ha cercato di sbarrargli la strada con video scandali ed argomenti (falsamente) legali.(9) Fallito il tentativo, adesso potrebbe tentare la via dell’omicidio, il che getterebbe il paese nel caos.

Al tempo stesso, AMLO è sostenuto, o per lo meno non osteggiato, oltre che da ampi settori della classe media, anche da quella parte della classe dominante che è scontenta di Fox e della sua politica troppo proclive al capitale nordamericano.

Un esempio è Carlos Slim. Dopo aver sostenuto il PAN contro il PRI, questo magnate delle telecomunicazioni -al quarto posto della lista Forbes degli uomini più ricchi del mondo- ha manifestato una certa simpatia nei confronti di AMLO finanziando, fra l’altro, alcune delle sue opere a Città del Messico.

Nei mesi scorsi, Slim ha però preso le distanze anche da AMLO fissando, con il chiamato “Patto di Chapultepec”, le condizioni del gran capitale per il prossimo presidente della repubblica: pace sociale e crescita economica.(10) Aperta rivendicazione del “potere del denaro”, il patto è stato giustamente definito dal subcomandante Marcos come il manifesto della classe dominante, l’anti-Sesta per eccellenza.(11)

È vero che, a differenza degli altri candidati, AMLO non vi ha aderito, tuttavia ha altri peccati da farsi perdonare. Tra suoi più vicini collaboratori vi sono, infatti, alcuni intellettuali organici dell’antico regime -come quelli che fanno capo alla rivista Nexos, principale sostegno ideologico dell’odiato presidente Salinas (1988-1994)- ed altri ex salinisti come Manuel Camacho Solis, Socorro Díaz, e Ricardo Monreal, gli ultimi due nemici dichiarati degli zapatisti.(12) Sono altrettanti segnali di moderazione che il candidato della sinistra invia agli elettori conservatori ed ai mercati internazionali.

La svolta dell’EZLN

Tali ambiguità ed altre ancora –ad esempio, il tradimento del 2001 quando buona parte del PRD si unì al PRI ed al PAN per votare la legge-bidone sull’autonomia dei popoli indigeni- spiegano, almeno in parte, la violenta diatriba del subcomandante Marcos, il quale già nel mese di marzo aveva definito López Obrador “la mano sinistra della destra”.(13)

Gli attacchi s’intensificarono a partire dal 19 giugno, quando il portavoce dell’EZLN dichiarò lo stato d’allerta nei territori zapatisti, annunciando intempestivamente la chiusura dei Caracoles (i coordinamenti dei municipi autonomi che funzionano nelle regioni ribelli) l’interruzione delle trasmissioni di Radio insurgente e la sospensione della cooperazione internazionale.(14)

Il grave gesto sorprese le reti della solidarietà internazionale e gli stessi militanti del Fronte Zapatista. L’ultimo stato d’allerta risaliva ai tempi del massacro di Acteal (22 dicembre 1997), ragion per cui molti temevano una nuova offensiva contro le comunità indigene.

Delle sospette manovre militari e la “scoperta” da parte dell’esercito federale di 44 piantagioni di marijuana in territorio zapatista contribuirono ad aumentare la tensione dentro e fuori dal Chiapas.(15)

La direzione dell’EZLN precisò subito che si limitava a prendere misure difensive e che avrebbe rispettato il cessate il fuoco in vigore dal 12 gennaio 1994. Si dichiarava tuttavia “pronta a rispondere a qualsiasi attacco o azione del nemico”, informando, al tempo stesso, di un importante processo di ristrutturazione interna che stava per concretizzarsi in “una nuova tappa della lotta”.(16)

Negli stessi giorni, Marcos presentò l’analisi della situazione politica messicana citata più sopra, aprendo il fuoco contro i tre principali partiti politici, ed in particolare contro López Obrador, che accusava di allearsi con il narcotraffico a Città del Messico e con i paramilitari in Chiapas.(17)

Non era la prima volta che il subcomandante attaccava il PRD, però questa volta l’inusitata violenza verbale sconcertò non solo la sinistra benpensante, ma anche le basi pro-zapatiste del PRD che non potevano capire un tale accanimento contro il loro candidato.(18) Altri pensavano che AMLO meritasse quello stesso beneficio del dubbio che Marcos aveva concesso al conservatore Fox nel 2000.(19)

Poco dopo, arrivò la “Sesta dichiarazione della Selva Lacandona”, un testo di ampio respiro in cui la direzione dell’EZLN rivendicava la ribellione del 94, affermava il proprio carattere indigeno e ripercorreva le vicende alterne di quasi 12 anni di lotte.

Esaurito il dialogo con il governo, bruciato il rapporto con la sinistra parlamentare, bisognava adesso cercare altrove, unirsi ai lavoratori urbani e rurali, così come alla galassia di gruppi e movimenti marginali che lottano contro la globalizzazione neoliberista.

Seguiva un’appassionata rivendicazione del Che Guevara che recuperava le radici ultrasinistre dell’EZLN; un saluto ai popoli latinoamericani -particolarmente agli indigeni-, alla rivoluzione cubana, all’Europa sociale, ed ai “fratelli d’Asia, Africa e Oceania”.

Il testo non menzionava alcun tipo di socialismo, limitandosi a lanciare un vago appello per una nuova Costituzione che garantisse “le domande fondamentali del popolo messicano” e difendesse “il debole di fronte al potente”.(20)

A questo scopo, l’EZLN proponeva di lanciare l“altra campagna” insieme alle organizzazioni della sinistra non elettorale, ai popoli indigeni, alle organizzazioni sociali, alle Ong, e a tutti coloro che -donne, uomini, anziani e bambini- vi aderissero a titolo individuale.(21)

Tra gennaio e giugno 2006, una delegazione zapatista guidata dallo stesso Marcos –adesso soprannominato “delegato zero”- avrebbe intrapreso una tournée parallela a quella dei candidati presidenziali, proponendosi di tendere ponti dentro e fuori dal Messico per costruire “un’altra forma di fare politica”.

Si annunciava, infine, l’organizzazione di altri incontri intercontinentali per i quali non si fissava una data, ma che con tutta probabilità si terranno dopo le elezioni presidenziali.

Considerando –a torto- l’EZLN come un cadavere politico e AMLO come il loro vero nemico, molti politici del PRIAN, applaudirono l’iniziativa zapatista. Il governo Fox offrì addirittura la protezione delle forze dell’ordine.

L’orizzonte della Sesta

Come le altre Dichiarazioni della Selva Lacandona, anche la Sesta mostra il costante sforzo degli zapatisti di uscire dal Chiapas, andare oltre la questione indigena e proiettarsi sullo scenario nazionale ed internazionale.

Essi non sono riusciti a plasmare un polo antagonista paragonabile, ad esempio, ai sem tierra del Brasile, né un movimento indio della portata di quelli boliviano ed ecuadoriano.

Gli zapatisti rimangono quindi, in primo luogo, un potere locale. Oltre all’invenzione di un discorso che ha rinnovato il dibattito della sinistra radicale a livello mondiale, il loro merito principale risiede nella creazione dei Caracoles, il sistema di autogestione antistatale che regola la vita delle comunità indigene ribelli.

In questa nuova proposta, mi sembra particolarmente importante l’idea di costruire un “programma nazionale di lotta anticapitalista” lontano dai partiti e dalle fanfare elettorali.(22)

È salutare inoltre che il portavoce dell’organizzazione rivoluzionaria più prestigiosa del nostro tempo prenda le distanze dal candidato di un partito che rivoluzionario non è, e che rischia di perdere anche buona parte della sua iniziale vocazione riformista.

In Europa alcuni compagni dell’area antagonista hanno salutato con soddisfazione la virata di Marcos, il quale negli anni novanta aveva intessuto rapporti privilegiati con il PRD (all’intercontinentale del 96’ molti moderatori dei tavoli di discussione erano dirigenti di questo partito) e, addirittura, con la sinistra istituzionale italiana, francese e spagnola.(23)
Ricordando le nefaste esperienze di governi di sinistra che portarono avanti politiche reazionarie con maggiore successo della destra, questi compagni ritengono che con AMLO presidente gli zapatisti starebbero peggio che con il PRI o con il PAN.

Tali opinioni si sono viste rinforzate da alcune affermazioni di Marcos nel corso delle riunioni che hanno avuto luogo nella Selva Lacandona in agosto e settembre.(24)

L’ipotesi non è da escludere, però è remota; inoltre mi sembra che i paragoni con l’Europa siano sbagliati.

Il subcomandante ha perfettamente ragione quando segnala che le differenze tra destra, centro e sinistra contano sempre meno tra i potenti.(25) Ciò implica che la politica tradizionale è giunta al tramonto e che “la sua nuova forma” -che è urgente inventare prima che la frase degeneri in vuoto ritornello- deve muoversi su altri binari, lontano dalle scadenze elettorali e dall’abbraccio mortale dei mezzi di comunicazione.

Con la lunga serie di scritti che precedono e seguono la Sesta, il portavoce dell’EZLN ha però scatenato una campagna contro uno dei partiti, il PRD, emettendo allo stesso tempo giudizi non altrettanto severi nei confronti del PAN e del PRI. Di quest’ultimo ha scritto che ha nelle sue mani la possibilità di “provocare una nuova rivoluzione in tutto il paese”.(26)

Non mi pare che queste affermazioni trovino riscontro nella realtà. Inoltre, Marcos lancia insulti spesso ingiustificati che non corrispondono alla cortesia delle culture indigene che pure ha saputo interpretare con tanta acutezza. A ciò bisogna aggiungere una preoccupante vena autoritaria e la propensione a circondarsi non di interlocutori critici, ma di fans o di “compagni di viaggio” alla vecchia maniera dei comunisti sovietici.(27)

Infine, una delle proposte centrali della Sesta, “lottare per una costituzione che prenda in considerazione le esigenze del popolo messicano”, appare velleitaria.(28) Davvero il Messico ha bisogno di un’altra “vittoria di carta”?(29) E poi: chi elaborerebbe tale costituzione? In assenza di una rivoluzione -che non pare all’ordine del giorno-, quegli stessi politici giustamente stigmatizzati da Marcos.

Dove va il Messico?

Il vero problema è un altro. Ha senso votare? I governi di sinistra sono peggiori o migliori di quelli di destra? La risposta, mi pare, non bisogna cercarla solo nelle qualità di questo o quel candidato. Oggi i governi non governano ma amministrano.

Non sono però tutti uguali. Se assumiamo il punto di vista dei movimenti antagonisti, della lotta contro l’impero e della costruzione di alternative, bisogna ammettere che non esistono risposte definitive. Dipende dalle situazioni. L’universo dello stato-nazione -quello della sovranità- non si è ancora esaurito del tutto. Una, sia pur tenue, differenza tra un governo ed un altro può aprire degli spazi oppure chiuderli.

Vi è di più. Viviamo in società molto spoliticizzate, dove gli indici di astensione si aggirano sul 50 per cento e dove coloro che si astengono non si collocano necessariamente contro il sistema, come in parte accadeva nell’Europa degli anni 70.

In Bolivia, le elezioni hanno portato alla presidenza della repubblica Evo Morales, indigeno aymara, coltivatore della foglia di coca ed erede di uno dei movimenti sociali più combattivi del continente. È difficile negare che la sua vittoria sia stata “la migliore notizia del 2005” ed è un peccato che Marcos non si sia pronunciato al rispetto.(30)

Saprà Evo mettere in pratica il principio zapatista del “comandare obbedendo”, come ha promesso di fare? Difficile rispondere. È chiaro tuttavia che molto dipenderà dall’antagonismo che sapranno dispiegare i movimenti sociali boliviani oltre che dalla situazione internazionale.

In Messico l’astensione ha sempre favorito le forze più reazionarie. Nel 2000, il paese è uscito da un sistema semidittatoriale di partito unico durato più di 70 anni solo per cadere nelle mani di un governo di destra se possibile ancor più corrotto che ha portato a termine l’opera di devastazione neoliberista iniziata dal PRI.

È ovvio che AMLO non è Evo Morales, però se la presidenza dovesse ricadere sul PAN o tornasse al PRI, sarebbe un disastro ed i primi a pagarne le conseguenze sarebbero proprio gli zapatisti.

Infine, non bisogna dimenticare l’importanza geopolitica del Messico: un governo di sinistra, anche moderato, assesterebbe un duro colpo al dominio degli Stati Uniti nel subcontinente. Invece di guardare a nord, il paese potrebbe cominciare a volgere lo sguardo verso sud, recuperando così le proprie radici latinoamericane.

Marcos non la pensa così. “Il voto utile è una trappola”; “il male minore non è la soluzione”, ripete il subcomandante. D’accordo, però neppure lo è il male maggiore, la vecchia politica falsamente radicale del tanto peggio, tanto meglio.

Ciò detto, sarebbe un errore interpretare l’altra compagna unicamente in chiave anti-AMLO e bisogna dare atto a Marcos di aver abbassato il tiro.

Possiamo azzardare un’altra interpretazione? Sì, per fortuna. B. Traven raccontava di un vecchio sistema elettorale in uso nei villaggi del Chiapas che prescriveva ad ogni nuovo presidente municipale di sedersi sui carboni ardenti allo scopo di ricordare che il potere brucia.(31)

La metafora è sempre valida. Iniziata il primo gennaio a San Cristobal de Las Casas con una silenziosa invasione di uomini e donne di mais, l’altra campagna può essere interpretata come un avviso che gli indigeni ribelli inviano a tutti i poteri costituiti: le braci ardono.(32)

Quando gli esclusi protestano contro l’elite dominante, la posta in gioco non riguarda solamente le loro esplicite rivendicazioni, ma il diritto fondamentale di essere ascoltati e riconosciuti come uguali. È da sperare che la nuova avventura zapatista si converta in una gran cassa di risonanza per dare voce a coloro che non ce l’hanno.

S’intravede quello che Walter Benjamin chiamava il “momento del pericolo”, l’attimo sfuggente che oscilla tra la possibilità della liberazione e quella della barbarie. Ben venga l’altra campagna se, correggendo la rotta, aiuta a spostare il pendolo dalla parte giusta.

Dicembre 2005-gennaio 2006

* Alla memoria della comandante Ramona, piccola e invincibile guerriera, esperta nell'arte del ricamo e di partorire nuovi muondi.

Note:

  1. “AMLO arriba, pero la diferencia se reduce”, La Jornada 28 novembre 2005.
  2. Subcomandante Marcos, “La (imposible) ¿geometría? del poder en México”, 20 giugno 2005,http://palabra.ezln.org.mx/ .
  3. Subcomandante Marcos, “Sexta declaración de la Selva Lacandona”, 28 giugno 2005, http://palabra.ezln.org.mx/ .
  4. Tito Pulsinelli: “Populismo: etichetta ingannevole”,http://www.selvas.org/newsAN0304.htm .
  5. Vedi il sito: http://lopezobrador.org.mx/documentos/trayectoria.php
  6. “50 compromisos por la nación”: http://lopezobrador.org.mx/50compromisos/index.php
  7. Andrés Manuel López Obrador, dichiarazione al quotidiano Financial Times , 26 maggio 2005; intervista a Joaquín López Dóriga, 7 de julio de 2005. Vedi: http://lopezobrador.org.mx .
  8. Cfr. i punti 19 e 37 dei “50 compromisos por la nación”, op. cit.
  9. Claudio Albertani, “Il potere di veto dei movimenti sociali”, http://www.selvas.org/newsAN0405.htm
  10. La Jornada , 30 settembre 2005.
  11. La Jornada , 2 gennario 2006, cronaca di Hermann Bellinghausen.
  12. Sub comandante Marcos, “La (imposible) ¿geometría? del poder en México”, op. cit.
  13. Subcomandante Marcos, “Abajo, a la izquierda”, http://palabra.ezln.org.mx/ .
  14. EZLN, “Alerta Roja General”, Comunicato del 19 giugno 2005, http://palabra.ezln.org.mx/ .
  15. “Sedena destruye plantíos de mariguana en el área de influencia del EZLN”, La Jornada , 21 giugno 2005.
  16. Comunicati del 20 giugno 2005, http://palabra.ezln.org.mx/ .
  17. Subcomandante Marcos, “La (imposible) ¿geometría? del poder en México”, op. cit. e “Carta a la sociedad civil, 21 giugno 2005”, http://palabra.ezln.org.mx/ .
  18. Vedi le lettere al quotidiano La Jornada spedite da militanti del PRD e di organizzazioni sociali nei mesi di agosto e settembre 2005.
  19. Comunicato del 2 dicembre 2000, http://palabra.ezln.org.mx/ .
  20. “Sexta declaración de la Selva Lacandona”, op cit..
  21. Comunicato del 13 luglio 2005, http://palabra.ezln.org.mx/ .
  22. L'idea è stata salutata anche da gruppi armati che, come l'EPR, nel passato avevano mantenuto aspre polemiche con l'EZLN. Vedi il comunicato del 28 dicembre 2005, http://www.apiavirtual.com /modules.php?name=News&file =article&sid=9378 ed il sito www.pdpr-epr.org .
  23. Per un resoconto dell'esperienza neozapatista in Europa in quegli anni vedi: Alessandro Simoncini, Claudio Albertani e Paolo Ranieri, Percorsi di liberazione dalla Selva Lacandona all'Europa . Itinerai, documenti e testimonianze del Secondo Incontro Intercontinentale per l'Umanità e contro il neoliberalismo, Edizioni della Battaglia, Palermo, 1998.
  24. “AMLO nos va a partir la madre a todos” (“AMLO ci spaccherà la faccia a tutti”), 6 agosto 2005, Palabras de inicio de la reunión preparatoria, http://palabra.ezln.org.mx/ . Tali affermazioni dettero origine ad una serie di lettere a La Jornada , da parte di militanti del PRD che sono allo stesso tempo simpatizzanti zapatisti.
  25. Sub comandante Marcos, “La (imposible) ¿geometría? del poder en México”, op. cit.
  26. Idem.
  27. Vedi, ade esempio, il comunicato: “ Un pingüino en la selva Lacandona” (sito citato, luglio 2005) dove Marcos lancia i suoi strali contro l'ecologista Victor Manuel Toledo, accusato di disonestà intellettuale per aver osato criticare (moderatamente) la Sesta.
  28. Subcomandante Marcos, “Sexta declaración de la Selva Lacandona”, op. cit.
  29. Così James Cockcroft definisce la costituzione del 1917, al termine del suo classico studio , Precursores intelectuales de la revolución mexicana , Siglo XXI Editores, Messico, 1971.
  30. Raúl Zibechi, “Bolivia y el nuevo escenario regional”, La Jornada , 29 dicembre 2005.
  31. B. Traven, Gobierno , Seix Barral, Biblioteca Breve, Messico, 2003, pp. 167-172.
  32. L'emozione della serata fu però rovinata da un ritratto di Stalin inalberato da una setta marxista-leninista tra l'indifferenza di Marcos e dei comandanti zapatisti. La stesso incidente si era verificato durante gli incontri di agosto e settembre nella Selva Lacandona.

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