La Jornada – Giovedì 30 novembre 2006
Un abitante della zona quantifica a 40 anni l’arretratezza della Huasteca
Nella Huasteca potosina l’alcool è un veleno per abbruttire gli indigeni
Denunciano al delegato Zero che poco a poco hanno smantellato le cooperative
HERMANN BELLINGHAUSEN - Inviato

Xilitla, SLP. 29 novembre - A dispetto della sua eccentrica fama magica come dimora dell'aristocratico surrealista Edward James, Xilitla è, insieme ad Aquismón, uno dei municipi più emarginati della Huasteca e della Repubblica. I suoi cacicchi sono tanto inetti che nemmeno il palazzo municipale ha una sua struttura. Nella piazza centrale, il governo assume la forma di una buca delle lettere affinché "la cittadinanza si esprima". Il capoluogo è una piccola città commerciale controllata dalle famiglie meticce che amministrano (e questo lo fanno) anche "quel veleno, quell'epidemia" che le donne nahuas deplorano qui come in tutta la Huasteca: l'alcool.

"Non abbiamo governo. Non abbiamo autorità", dice un indigeno al delegato Zero. Qui, è evidente, comanda la corruzione galoppante del PAN e del PRI. La simulazione. Nessuna comunità ha strade asfaltate. Un medico che partecipa alla riunione attribuisce all'educazione "un ritardo di 40 anni". Un ejidatario di El Sabino dice: "Il governo è una bugia. Le leggi non esistono".

La realtà è catastrofica: criminali che evadono tranquillamente la giustizia, programmi di "aiuti" governativi che esistono solo negli annunci televisivi o sono elemosine condizionate, tassi di emigrazione giovanile vicini all'80 per cento. Un posto dove l'alcool è utilizzato letteralmente come un'arma per sottomettere ed abbrutire gli uomini, i servizi sanitari sono poco meno che spazzatura e la violenza contro donne e bambini costituisce un "sistema" dei potenti. Umiliazione, disumanità, virtuale schiavitú: benvenuti nel Messico del secolo XXI, a San Luis Potosí di Azione Nazionale.

In un incontro indigeno colmo di intense testimonianze e dichiarazioni di rabbia per gli abusi del governo e dei cacicchi, il subcomandante Marcos ha concluso a Xilitla la prima tappa del processo della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona; l'ha fatto in un territorio indigeno ancora più abbandonato delle montagne chiapaneche da dove 11 anni fa è partito il viaggio per tutto il paese. Questa mattina ha intrapreso il suo viaggio di ritorno a Città del Messico.

"Noi indios vogliamo un governo che pensi ai messicani che non si impadronisca né approfitti di quello che c'è e che è di tutti. Noi indios dobbiamo sperare che presto avremo un nuovo Zapata, un nuovo Villa, e che ci rialzeremo dalla caduta. Con le imposte il governo si è appropriato delle terre per il profitto degli stranieri, e gestisce milioni di dollari", dice don Javier, chi chiede un nuovo tipo di governo federale, statale e municipale. "La povertà deriva tutta da loro".

Un altro contadino dice: "Noi qui sulla serra, gli indios. Ed i grandi allevatori là dove si sta bene". Don José, di Rincón de Zacatapa, esprime la sua delusione: "Siamo rimasti impantanati qui tutti questi anni. Ci sentiamo emarginati perché abbiamo attenzione solo quando hanno bisogno di noi per scalare le loro carriere di dirigenti". Un anziano la mette così: "Siamo la scala che loro usano".

Un uomo dell'ejido Tierra Blanca dichiara: "Non c'è giustizia, né libertà, né trasparenza. Vogliamo unirci a voi dell'altra campagna per guadagnare la libertà". Aarón, commissario ejidale di Petatillo, dice che al governo "manca credibilità, ci prende solo in giro", e della Segreteria dell'Agricoltura dice: "Non si chiama Sagarpa, è 'Sag-arpia'".

Una donna di Poxtla confessa: "Ho molto da dire, ma ho paura". Come quelle di El Sabino, corre il rischio di non ricevere i suoi 300 pesos del programma Oportunidades per essere venuta alla riunione dall'altra campagna. "Ci hanno fatto molte minacce. Per questo non sono venute tutte le donne che avrebbero voluto esserci" (anche il pochissimo che arriva ai più piccoli, i dimenticati della Huasteca, lo comprano i torturatori istituzionali).

Le condizioni di vita, e di lotta, si sono deteriorate. Negli anni '80 c'erano più di 20 cooperative; le politiche ufficiali le hanno smantellate. E sebbene nella Huasteca ci siano attualmente circa 40 organizzazioni, tutte sono controllate dai partiti politici e servono per esercitare "paura, oppressione e sfruttamento", dice un altro indigeno. A Xilitla meno del 20 per cento della popolazione non è indigena, ma domina su tutto.

L'alcool, che una donna dopo l'altra denunciano come una piaga che "distrugge le famiglie, cattura i nostri papà, fratelli, mariti, figli", è cosa dei meticci (inoltre il governo appoggia e protegge quelli che vendono i liquori, come se fossero parte del sistema politico. Ed in un certo modo lo sono). Ed una ragazza denuncia: "nemmeno più birra, pura acquavite della peggiore". Una donna di Plan de Flores racconta che è lo stesso giudice del villaggio a vendere l'alcool ed organizzare nella sua casa "riunioni" di gioco per prendersi il denaro degli indigeni. Un'altra denuncia che se le donne del municipio cercano di organizzarsi per qualunque cosa, le controllano, le minacciano e le aggrediscono.

Tra tanta sofferenza e malcontento sopravvivono certezze. "Noi indigeni siamo i padroni del paese", dice un uomo che si definisce "di terza età". Un altro che si definisce di sinistra, afferma: "Il sub ha ascoltato le lamentele per la nostra debolezza, ma abbiamo anche ottime idee, e soprattutto, abbiamo una forza che sembrerebbe che non conosciamo".

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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