Il Manifesto - 30 agosto 2006
Lopez Obrador: «È un colpo di Stato»
In Messico il Tribunale elettorale ha prevedibilmente confermato la vittoria fraudolenta del conservatore Felipe Calderon. Il candidato di centro-sinistra rifiuta di riconoscere il risultato.
Gianni Proiettis - Città del Messico

Il conservatore Felipe Calderon è stato praticamente impalmato presidente del Messico. La decisione, che spettava il 2 luglio scorso a più di 70 milioni di votanti, è finita, dopo un'elezione sotto il segno della frode, in mano a sette giudici che hanno deciso in quattro e quattr'otto che il parzialissimo riconteggio dei voti chiesto da Lopez Obrador (meno del 10% del totale) non ha mostrato le prove di frodi e errori tali da inficiare il risultato ufficiale delle urne che aveva visto la vittoria di Calderon per lo 0.58% dei voti.

Lopez Obrador si è rifiutato di accettare il risultato e la sentenza dei 7 giudici nonché di riconoscere la vittoria di Calderon. In un discorso di fronte alla massa dei suoi sostenitori nello Zocalo, la grande piazza di Città del Messico, ha annunciato che la sua sfida contro le frodi andrà avanti. «Nonostante l'evidenza della frode, il Tribunale elettorale si è opposto a ripulire le elezioni e rifare il conteggio voto per voto, nonostante che questa fosse la richiesta di milioni di messicani e avesse il potere di farlo», ha detto. E ora ha emesso una sentenza che «per milioni di messicani è offensiva e inaccettabile», «non solo una vergogna per la storia del nostro paese ma anche una violazione dell'ordine costituzionale e un vero colpo di stato».

Il Tribunal Electoral del Poder Judicial de la Federación, denominato Trife per brevità, ha deliberato lunedì sui 375 ricorsi presentati dai due maggiori partiti: il Prd, Partido de la Revolución Democrática, di centro-sinistra, del candidato Andrés Manuel Lopez Obrador, ex-sindaco della capitale, ne aveva presentati 240; il Pan, Partido de Acción Nacional, espressione della destra cattolica e imprenditoriale che sostiene Calderón, 133. Gli altri due ricorsi provenivano da semplici elettori.

La decisione del tribunale non altera nella sostanza i risultati già noti, che attribuivano la vittoria a Felipe Calderón con un vantaggio di 240mila voti - lo 0,58% del totale - e apporta solo alcune modificazioni, apparentemente salomoniche, sottraendo 77 mila voti al Prd e 81 mila al Pan. La distanza fra i due partiti si riduce così di 4 mila voti ma la sentenza non capovolge il risultato, come sperava il Prd, e apre la porta all'instabilità e a una lunga stagione di conflitti.

Non ha torto Lopez Obrador parlando di «colpo di Stato» (del resto non è il primo nella lunga storia del Messico) e, sostenuto da un forte movimento di resistenza civile che occupa da un mese il centro della capitale, rifiuta l'imposizione di un presidente spurio. Il popolarissimo Amlo conta non solo sull'appoggio di milioni di elettori che si sentono defraudati e decisi a non permettere un'usurpazione come quella che diede la presidenza a Carlos Salinas nel 1988, ma anche su solidi argomenti.

Ricostruito a posteriori pezzo per pezzo, il puzzle delle elezioni del 2 luglio proietta l'ombra di una frode gigantesca, ormai a nudo dopo il riconteggio dei voti nel 9% dei seggi: migliaia di sezioni in cui le schede non corrispondevano al numero di votanti registrati, verbali riassuntivi con dati palesemente falsi, schede che non presentano le piegature indispensabili per essere introdotte nelle urne, pacchi aperti e manomessi, sezioni in cui una parte degli scrutatori designati sono stati sostituiti all'ultimo minuto. Per non parlare della presentazione di più di venti video che mostrano aperte manomissioni dei plichi elettorali da parte degli scrutatori.

A poco serve, a questo punto, che il Pan invochi la presenza di una legione di osservatori il giorno delle votazioni, fra cui un gruppo di euro-parlamentari, guidati dallo spagnolo José Salafranca (membro del Pp di Aznar, partito di destra affine al Pan). Nei giorni scorsi, il rapporto di Salafranca, che aveva dichiarato di non aver avvertito alcuna irregolarità il giorno delle elezioni, è stato duramente messo in discussione da Tobias Pfluger, membro della commissione esteri dell'Unione Europea, che ha denunciato il «persistente silenzio» degli osservatori di fronte all'evidenza dei brogli.

Tra l'altro, la giornata elettorale, costellata da una miriade di irregolarità, e gli scrutini fraudolenti, permessi e incentivati dall'Instituto Federal Electoral responsabile delle elezioni (e sotto diretto controllo del presidente uscente Vicente Fox, anche lui del Pan), sono solo l'ultimo atto di un'operazione iniziata quasi tre anni fa, alla fine del 2003. È stato lo stesso Amlo a ricordarlo, nel discorso di fronte ai suoi sostenitori nello Zocalo, subito dopo la sentenza del Trife.

Il complotto per escluderlo dalla presidenza, ordito dall'ex-presidente Salinas, da Fox e dal senatore panista Fernandez de Cevallos, è cominciato con una serie di «rivelazioni» attraverso dei video che mostravano alcuni collaboratori di Lopez Obrador, all'epoca sindaco di Città del Messico, mentre ricevevano mazzette da Carlos Ahumada, un faccendiere argentino attualmente in carcere. Lo scandalo, divulgato con colorito sensazionalismo dalle servizievoli Televisa e TvAzteca, non riuscì a scalfire l'enorme popolarità di Amlo, in testa a tutti sondaggi.

La mossa successiva fu quella del desafuero, un tentativo di escludere l'ex-sindaco con una montatura giudiziaria chiaramente pretestuosa, dalla corsa alla presidenza. Ma la nuova macchinazione, oltre ad essere mal architettata si scontrò con un movimento di protesta che portò in piazza più di un milione di persone nell'aprile 2005. I tre poteri, uniti nella conventio ad excludendum, furono costretti a fare marcia indietro.

Poi venne la campagna elettorale, dove la destra giocò sporco: le intromissioni illegali di Fox, la propaganda del Pan orchestrata da consiglieri spagnoli e statunitensi basata sull'odio e la paura, il martellamento di spot tv pagati dagli imprenditori che presentavano Amlo come «un pericolo per il Messico», i programmi di assistenza sociale usati per promuovere il voto a destra.

Non solo. Nella formazione dell'Instituto Federal Electoral, attualmente soggetto a una denuncia penale per aver manipolato l'intero processo elettorale, nessuno spazio ai rappresentanti del Prd. E, dulcis in fundo, il software per il conteggio preliminare dei voti affidato a una ditta di proprietà dell'industriale Diego Zavala, cognato di Calderón.

L'arrogante tentativo del governo Fox di deviare la storia nazionale a favore di una destra rapace e rissosa si scontra oggi con una reazione popolare di dimensioni inedite. Hanno un bel dire Fox che la protesta si limita «al blocco di una strada», riferendosi all'immensa tendopoli che occupa il centro della capitale, e il suo portavoce ad affermare che la volontà popolare non può piegarsi «ai capricci e all'arbitrarietà di una sola persona». Lopez Obrador disconosce il verdetto del tribunale elettorale, viziato dalla parzialità e dal sospetto di corruzione, ed è disposto, costituzione alla mano, ad andare fino in fondo con il suo movimento di resistenza civile e pacifica, ispirato a Gandhi e Luther King. Di fronte alla prossima proclamazione della vittoria fraudolenta di Calderón, entro il 6 settembre, la Convención Nacional Democrática, il 16 settembre, deciderà se costituire un governo alternativo o un coordinamento della resistenza.

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