il manifesto - 29 ottobre 2006
Morti a Oaxaca, arriva l'esercito
Messico, sicari del governatore sparano nella città in rivolta: uccisi tre militanti e un giornalista americano. Marcos: «Era uno di noi». Il governo chiude l'aeroporto e manda la polizia militare
Gianni Proiettis - Città del Messico

Quattro morti - uno, lo statunitense Bradley Roland Will, era un giornalista di Indymedia - decine di feriti, centinaia ndi arresti, accuse di desaparicion, bande scatenate di poliziotti e sicari, strade bloccate e negozi chiusi: dopo cinque mesi di occupazione la città di Oaxaca vive in queste ore il peso infernale del ritorno del governo. Forze federali inviate dal presidente Fox stanno convergendo verso la capitale dello stato per «ripristinare l'ordine». Un Hercules carico di agenti della Policia federal preventiva (un corpo di polizia con addestramento e caratteristiche militari) ha già scaricato un primo battaglione nell'aeroporto di Oaxaca, chiuso da ieri al trafico civile. Sono attesi 4.000 agenti, in sostanza un piccolo esercito. L'ultimo atto di una tragedia evitabile - e che, al contrario, la «nuova» classe politica messicana ha solo aggravato - si consuma nel sangue, con lo stato che manda a sparare nelle strade e l'impone lo stato di assedio. Il messaggio è chiaro: nessuno ha il diritto di alzare la testa, se lo fa è a suo rischio e pericolo.

Venerdì scorso è scaduto l'ultimatum di 72 ore che la Appo (Asamblea popular de los pueblos de Oaxaca) aveva dato al governatore Ulises Ruiz Ortiz, detto Uro, per presentare le dimissioni. Di fronte allo scontato rifiuto dell'odiatissimo Uro, che faceva trapelare i piani di una «riconquista pacifica» della città in mano alla popolazione, la Appo ha chiamato la sua base a rafforzare le barricate, bloccare le principali vie di comunicazione e boicottare le maggiori catene commerciali. Questo ha scatenato la reazione del governo statale che ha dato via libera alle bande armate, integrate da poliziotti in borghese e funzionari governativi.

Gli attacchi più feroci, quelli che hanno lasciato più vittime, sono stati inferti contro le barricate del centro, in cinque punti considerati strategici. In uno degli attacchi il media-attivista Bradley Will è stato freddato da due colpi nel petto sparati da un fucile da guerra R-15. I responsabili dell'omicidio sono stati fotografati da un fotoreporter del quotidiano El Universal e già identificati: si tratta di un poliziotto e di due funzionari statali. Erano in abiti civili.

Eletto nel 2004 come candidato del Pri - il Partido revolucionario institucional da sempre al potere a Oaxaca - Ulises Ruiz divenne governatore grazie all'appoggio del suo predecessore José Murat e a un'elezione in cui lo scrutinio fu interrotto da tre sospettissimi blackout. La vittoria fu la ricompensa per una lunga carriera di «operatore elettorale» di successo: Ruiz si era dedicato per anni a «organizzare» i trionfi elettorali del Pri in vari stati, meritandosi il soprannome di mapache mayor, furetto maggiore. «Un tipo ipocrita, senza carattere, un soldato che è sempre stato abituato a ricevere ordini più che a darli», dice chi lo conosce. E, di fatto, invece di governare Oaxaca il neoeletto governatore si è lanciato anima e corpo nella campagna elettorale di Roberto Madrazo, candidato presidenziale del Pri alle elezioni del 2 luglio (quelle «vinte» da Felipe Calderón e «perse» da Lopez Obrador).

Delegando il governo al suo braccio destro Jorge Franco Vargas, ex picchiatore dell'università statale Benito Juarez, il governatore - installato in un albergo di lusso di Città del Messico - si è dedicato soprattutto ad appaltare opere pubbliche a parenti e amici e a finanziare illegalmente la campagna del grande capo priista (poi grande trombato nelle elezioni presidenziali, in cui è arrivato miseramente terzo). E si è dedicato a togliersi qualche sasso dalla scarpa, come quel fastidioso piantone degli insegnanti iniziato nella città di Oaxaca in maggio come una semplice rivendicazione salariale. Il 14 giugno, un paio di settimane prima delle presidenziali, Ulises Ruiz ha ordinato alla polizia di sbombrare il centro della città dai maestri in lotta. L'operazione repressiva è stata talmente violenta e mal congegnata da ottenere l'effetto opposto.

Si alzano le barricate, l'occupazione della città diventa permanente.

I primi morti, sempre dal lato dei manifestanti, esacerbano gli animi, spingono la cittadinanza ad occupare permanentemente il centro della città e provocano la formazione della Appo, una sigla che oggi aggrega più di 350 organizzazioni di tutto lo stato. La principale richiesta del nuovo fronte diventa quella delle dimissioni del governatore.

L'inerzia del governo Fox, a cui resta poco più di un mese di vita, e gli accordi fra il Pan, il partito al governo, e il Pri, che fa della difesa del governatore un punto irrinunciabile, precipitano la situazione. Una commissione senatoriale, in cui il Pri e il Pan costituiscono la maggioranza, visita due settimane fa Oaxaca e torna con la sorprendente diagnosi che lo stato è ingovernabile ma i tre poteri ci sono e funzionano, pur non avendo accesso alle loro rispettive sedi di governo.

E' chiaro che, in vista del difficile passaggio di poteri che si verificherà il 1º dicembre fra Fox e Calderón - preceduto il 20 novembre dall'investitura parallela di Lopez Obrador che si proclamerà presidente legittimo - il Pan è disposto a pagare qualsiasi prezzo pur di avere l'appoggio del Pri. Anche il mantenimento, contro la volontà della maggioranza della popolazione, di un governatore inetto e assassino come Ulises Ruiz.

Con quelli di ieri, i morti della rivolta di Oaxaca sono già 15. In queste ore, in cui agli attacchi delle bande armate sta per seguire l'occupazione militare della città di Oaxaca da parte della policia, la Appo si dichiara in assemblea permanente, convoca la cittadinanza all'occupazione del centro e alla resistenza pacifica, invita a manifestare in tutte le città per evitare un bagno di sangue. Di tutte le radio commerciali che erano state occupate dal movimento, solo un paio continuano a trasmettere (una si può ascoltare in internet su www.asambleapopulardeoaxaca.com).

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