La Jornada - Giovedì 29 giugno 2006
Adolfo Gilly * - I^ parte
Detenuti, campagne ed elezioni

Compagni della Scuola Nazionale di Antropologia e Storia, oggi voglio parlare con voi di vari argomenti: il carcere, la difesa dei detenuti di Atenco, la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona e l'altra campagna, la UNAM e le imminenti elezioni nazionali.

1. Il carcere

I compagni arrestati stanno conducendo un'ardua lotta per i loro diritti, per le loro idee e per la loro libertà. Ogni appoggio esterno a questa lotta è significativo e benvenuto, tanto per quelli che sono dentro quanto per quelli che sono fuori, le due dimensioni che il mondo acquisisce quando uno è detenuto. Come detenuto politico del governo di Gustavo Díaz Ordaz sono stato sei anni nella vecchia prigione di Lecumberri, tra il 1966 e 1972, insieme a molti altri compagni di organizzazioni di sinistra e del movimento del 1968. Parlo, dunque, per esperienza vissuta e per conoscenza diretta, dalla mia prima ed immutata adesione al socialismo rivoluzionario, intorno al 1944, il giorno in cui il popolo di Parigi riconquistò, armi in pugno, la sua città sugli invasori nazisti.

Ecco cinque punti, non che non siano noti, ma è utile ribadirli in questi giorni:

a) Il primo territorio da difendere da parte dei detenuti è l'organizzazione della loro vita in prigione. È necessario ordinare la routine della vita quotidiana contro il mondo assurdo del carcere: lo svegliarsi, il dormire, l'esercizio, la conversazione e la discussione, la cucina o il semplice abbellimento del cibo che si riceve, la convivenza, le notizie, la lettura e lo studio tra compagni.

b) È necessaria una relazione più stabile possibile con i detenuti comuni. Non può essere una relazione di intimità, ma neanche di distacco. La maggioranza di loro rispetta i detenuti politici, molti li aiutano e sono solidali. È necessario stabilire, da questa parte, una relazione di distacco e rispetto con i secondini: evitare di entrare in conflitto, evitare di entrare in confidenza. Alcuni di loro possono essere, senza mostrarlo apertamente, umani e perfino solidali. Si tratta di imparare a distinguerli.

c) Bisogna stabilirsi in carcere come in un proprio territorio, superare l'ansia di aspettare ogni giorno di uscire, vivere a fondo ognuno di quei giorni, molti o pochi, come tutti i giorni della vita. È necessario studiare, imparare quello che altri sanno ed insegnare quello che si può. È necessario l'ordine e perfino il più piccolo abbellimento dentro ogni cella o spazio occupato. Nell'anno 2000, le compagne detenute del movimento studentesco dell'UNAM avevano fatto tutto questo ed avevano allestito alcune celle impeccabili, nonostante la direzione carceraria preferisca il disordine, la trascuratezza, la depressione. È necessario ricorrere a quest'esperienza, così come a quella dei compagni del '68 e a quella di tanti altri compagni e compagne che sono passati per le prigioni messicane o latinoamericane, a cominciare dai detenuti zapatisti.

d) L'appoggio esterno di famiglie e compagni è indispensabile e inestimabile in qualsiasi forma: visite, libri, cibi, canzoni, messaggi. La prigione è una prova di amicizia, fratellanza e solidarietà. Insieme alla lotta per la libertà, è necessaria una lotta tenace e quotidiana per le condizioni dentro la prigione, i permessi e l'estensione delle visite, il diritto di avere libri, televisori, radio, computer, utensili da cucina, tutto quello di cui si compone la vita quotidiana e che in prigione viene condiviso. Tutto questo era stato conquistato nella prigione di Lecumberri già ai tempi di Díaz Ordaz. Non è possibile accettare che oggi non ci sia più.

e) Né la vita in carcere, né la rivoluzione, né il movimento sociale hanno bisogno di eroi. L'eroismo proclamato suole essere un meccanismo di colpevolizzazione degli altri, di chi non è eroe, ma solo una persona normale. Gli eroi veri non sanno di esserlo e, pertanto, non se ne vanno in giro a proclamarlo. Tra gli eroismi inutili ci sono gli scioperi della fame non necessari. Non serve, appena arrestato o arrestata, iniziare uno sciopero della fame per la libertà. Prima esistono altre strade ed altri metodi. Lo sciopero della fame è un metodo di lotta estremo, quando non resta altra strada da percorrere, come i rivoluzionari russi nelle infami prigioni di Stalin, i ribelli irlandesi nelle crudeli prigioni di Margaret Thatcher o i prigionieri di Bush nello spazio senza legge di Guantanamo. Come succede in qualsiasi altro metodo di lotta, lo sciopero della fame non necessaria usura il compagno ed il movimento e non intacca il nemico.

Non sono qui a dire a nessuno quello che deve fare. Dico solo che è necessario ricorrere all'esperienza vissuta, che la nostra gente messicana sia coinvolta, per dimostrare che ha fatto tesoro delle lotte delle sue precedenti generazioni.

2. La difesa

Voglio segnalare qui due cose:

a) La difesa dei detenuti politici è un dovere democratico. Come tale, è un compito ampio, nel quale bisogna coinvolgere il maggior numero possibile di volontari, qualunque siano le loro idee, credo o posizioni su altri argomenti. Escludere da questa difesa compagne o compagni perché hanno posizioni divergenti o contrarie, o per il sospetto che vogliano trarre vantaggio dalla loro partecipazione, o per una differenza politica, è settarismo della peggior specie. È fare dei detenuti la proprietà privata di ogni gruppo o cappella.

Non sto parlando della situazione attuale, che non conosco. Parlo di una lunga esperienza nazionale ed internazionale che ricompare sempre, come le sette, i posseduti e gli illuminati. La difesa dei detenuti non è proprietà di nessuno. Diamo il benvenuto a quanti vogliono organizzarla nei loro tempi e modi. Le porte della campagna per la libertà dei prigioneri di Atenco sono aperte a chiunque voglia unirsi, come vuole e come può.

b) I processi contro i prigionieri di Atenco non hanno nessun sostegno giuridico. Qualunque giudice onesto li avrebbe già rimessi tutti in libertà. Il compito degli avvocati è dimostrarlo, e lo stanno facendo. Non ha sostegno giuridico nemmeno la separazione degli arrestati e la reclusione di tre di loro in una prigione di massima sicurezza. La difesa giuridica non sostituisce né pregiudica la difesa politica. Una difesa legale con avvocati capaci, coordinati e democratici è indispensabile per distruggere sul terreno giuridico la montatura dei pubblici ministeri e dei giudici. La mano che apre le porte delle prigioni è la mobilitazione e la difesa politica, ma la chiave necessaria affinché questa mano lo faccia è la difesa giuridica. Non trascuriamola né sottovalutiamola. Rispettiamo gli avvocati che ci difendono. Anche qui in Messico c'è una lunga esperienza. Tra i miei ricordi ho quello della solidarietà, del coraggio e delle capacità professionali di due avvocati che 40 anni fa se la giocarono per noi: Carlos Fernández del Real e Guillermo Andrade.

* Messaggio letto in occasione della presentazione della rivista Contrahistorias, alla Scuola Nazionale di Antropologia e Storia. Cuicuilco, 26 giugno 2006.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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