La Jornada - Sabato 25 marzo 2006
Ad Ayotitlán si chiede il ritiro dell’accordo con la miniera “che ruba la nostra ricchezza
Il contadino si scava la tomba da solo se cade nella “trappola” del Procede

HERMANN BELLINGHAUSEN - Inviato

Ayotitlan, Jal. 24 marzo - "Che diano ad Ayotitlán quello che meritiamo, che ci rispettino e non chiederemo più nemmeno l'acqua al governo". Con queste parole, Gaudencio Mancilla riassume quello di cui hanno bisogno oggi migliaia di villaggi, quartieri e città. Milioni di persone. Ma egli si riferisce solo ad una comunità nahua della sierra di Manantlán, ubicata sulle montagne che separano le città di Colima ed Autlán.

Invaso e usurpato dalla compagnia mineraria Peña Colorada, l'ejido Ayotitlán chiede che si annulli un "accordo" di cui l'impresa "vuole approfittare illegalmente per sfruttare il minerale, ingannando l'ejido e rubando i loro diritti", come si legge in una lettera dei rappresentanti degli ejidatariosindirizzata "ai vicini e limitrofi di Ayotitlán, "con diritti pienamente riconosciuti".

Ricevendo oggi il subcomandante Marcos in un incontro di aderenti all'Altra Campagna, alla quale hanno assistito più di un centinaio di indigeni nel quartiere di Tiroma, all'ombra di una tettoia di frasche di palma nella periferia di Ayotitlán, municipio di Cuautitlán, i rappresentanti ejidali ed alcuni anziani descrivono la loro lotta contro Peña Colorada, per la restituzione delle loro terre ed il riconoscimento dei loro diritti come popolo indigeno.

"Siamo ricchi e siamo poveri", dice Nicolás Monroy. "Giorno dopo giorno la miniera sta rubando la nostra ricchezza. Ci hanno pagato una miseria per la proprietà della terra che sfruttano per diventare ricchi". L'impresa ha comperato alcuni lasciti, ne ha falsificati altri ed ha finito per imporsi ed impadronirsi dei giacimenti di ferro. Stanno già subendo tutte le conseguenze del nuovo furto. "Dicono che siamo i cattivi perché continuiamo a difendere quello che è nostro".

Nella recente elezione delle autorità ejidali, la società mineraria Peña Colorada "ha comprato" il comissariato con una lista finanziata a suon di milioni, e non riuscendo a raggiungere la maggioranza ha imbrogliato le elezioni portandosi gente prezzolata che non sono ejidatarios. Così ha stabilito "legalmente" la sua presenza in queste terre, dopo che aveva cercato senza successo di registrare la miniera in un altro ejido. La lista imposta, ed impugnata dagli ejidatari, era formata da Jesús Michel Prudencio, Martín Martínez e Pedro Ciprián.

Inganno e violenza

Gaudencio Mancilla lo dice chiaro: "La base principale dell'inganno e la violenza sta in alto". Esiste una risoluzione della Segreteria della Riforma Agraria favorevole all'ejido. "È la Peña Colorada che non ha permesso che venga eseguita. Ma non retrocediamo e non permetteremo che si portino via altre pietre. Quello che credo è che l'impresa sia la padrona del mondo: prima le nuvole arrivavano al picco, al polmone di questo monte, ma adesso non arrivano più come prima".

Non è un concetto magico, è puro occhio di contadino. Gaudencio avverte: "Non permetteremo più, non sopporteremo più le assurdità di quest'impresa, non è possibile, e vogliamo che si sappia. Abbiamo bisogno di unità per difenderci. Se ci sarà qualcuno arrestato o morto, la responsabile sarà dell'impresa. Glielo abbiamo già detto. Hanno voluto togliere il mais e spogliare il terreno. A questo siamo. Non lo dico a quelli che stanno qui. Li dico a quelli là in alto. Al governo. La nostra lotta è per difendere la nostra comunità".

Il sole del pomeriggio proietta ombre indistinte sui cappelli degli uomini e sulle teste delle donne provenienti da Ayotitlán, Telcruz, Cuzalapa, Los Robles e da altri villaggi indigeni e contadini di Manantlán. Si trova qui anche una delegazione di rappresentanti huicholes e circa 30 aderenti di altre parti di Jalisco alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona.

Rogelio Rojas dice: "Sappiamo che abbiamo un governo repressivo. Ogni giorno si approvano leggi per giustificare i soprusi. È il momento opportuno per prendere decisioni. Così come fanno gli zapatisti, i nostri nonni ci hanno insegnato a nominare i nostri rappresentanti, ma siamo caduti nella trappola dei partiti politici".

Il risultato sono state divisioni. Javier, un altro contadino, aggiunge che le prigioni di Cuautitlán e Chuatlán "sono piene di gente delle nostre comunità impegnata nella lotta sociale". Questo, benché "nessuno, nessuna comunità, si dedichi a distruggere la terra e la natura". Li perseguono, si proibisce loro di tagliare la legna, proibiscono il passaggio su territori che appartengono loro. Non nutre false illusioni: "Ogni volta che abbiamo avuto qualcosa di buono, l'abbiamo fatto noi, non il governo".

Un altro dice: "Si portano via la ricchezza e ci lasciano la spazzatura. Per questo siamo contro il capitalismo".

In quanti parti dal paese oggi è evidente questa situazione di "ora o mai più"? Tutto indica che sono molte. La gravità del pericolo fa rinascere identità, recuperare memorie collettive, diritti legali ed anche ancestrali. Proprio qui, in altri secoli, è esistita una "piccola repubblica di Ayotitlán" che arrivava fino al mare, dove oggi si trova il porto di Manzanillo.

Don Jesús Ocaranza dice che adesso, ad ogni incontro col governo, i loro programmi e le loro pressioni, "ci trovano più uniti". Il fantasma del Programma di Certificazione dei Diritti Ejidali e Titoli di Proprietà (Procede) e quello di Certificazione nelle Comunità (Procecom) stende le sue ali sui villaggi e questo si sente nella vita quotidiana e nella partecipazione. "Lottiamo per la proprietà della terra. Non ci rispettano. Hanno cominciato a strappare la terra dalle mani dei nostri nonni. I nonni ci hanno lasciato in eredità la domanda incompiuta di sete di giustizia. Il nonno ci ha lasciato tutti questi documenti", ed arringa: "Non demoralizziamoci. Continuiamo ad essere uniti, compagni".

Alla riunione sono arrivati alcuni degli ejidatari che avevano venduto i loro diritti finché finisse per avvantaggiarsene la mineraria Peña Colorada. A sorpresa sono arrivati alcuni cacique di Cuzalapa che hanno promosso l'estensione del Procede nelle loro comunità. Prendendo la parola per ultimo ormai già nel pomeriggio, il delegato Zero farà riferimento a loro come a "gente venuta a sbirciare", e sempre riferito a loro dirà che quelli che vendono la terra dei loro popoli li stanno tradendo.

Quelli venuti “a sbirciare

Il subcomandante Marcos incomincia a narrare ai nahuas di Ayotitlán ed alle comunità vicine degli indigeni che nel tempo formarono l'EZLN; "erano soli ed abbandonati nelle montagne del Chiapas e l'unico indigeno che esisteva era l'India Maria, o quelle che producevano artigianato, ma non tenevano in nessun conto la nostra cultura". Dice che qui molti sicuramente già conoscono la storia degli zapatisti, ma forse non la conoscono quelli "che sono venuti solo a sbirciare".

Stabilisce un parallelismo tra le tradizioni e le storie vere dei popoli del Chiapas e della sierra di Manantlán. "Un posto speciale ce l'hanno gli anziani". E racconta di quando dissero, "non vogliamo che il governo ci dia la mano, ma che ci tolga il piede di dosso". Descrive un quadro, in linguaggio molto diretto, molto campagnolo, dell'autonomia e del diritto alla terra, e delle prove che il governo ed i ricchi "vogliono solo fare del male alla terra". Là nel sudest come qua in Jalisco.

Parla a favore dell'unità tra i popoli e di questi con gli altri lavoratori e la gente che sta in basso, i giovani della città, i difensori dell'ambiente, i collettivi, i pescatori, gli insegnanti, eccetera.

Afferma che le pressioni "per vendere la terra per quello che sia, miniere o altro" sono comuni in tutto il paese. L'Altra Campagna ne ha avuto conferma nei 14 stati percorsi fino a qui, dove finisce la tappa in Jalisco, per iniziare domani in Nayarit.

Le penurie a causa di Procede e Procecom non sono un'esclusiva di Jalisco. Neanche in queste terre che sembrano povere. Alcuni villaggi sorgono dalle rocce, come certe milpas un po' miracolose.

Dopo un lungo tratto di strada sterrata, il delegato Zero e la sua carovana sono stati ricevuti questo giovedì con un rituale tradizionale. Dopo si sarebbe svolta la riunione, un'autentica assemblea, al termine della quale Marcos avrebbe parlato della "trappola" dei programmi di titolo di proprietà individuale promossi dallo Stato. "Ed allora, quelli che sono a favore del Procede, perché qui ce ne sono alcuni che stanno ascoltando, che pensano che sia buono, rendetevi conto che come contadino, come indigeno ti stai scavando da solo la tomba. Quello che aderisce a questi programmi non sta vendendo la sua anima al diavolo, sta comprando la sua morte".

Parlando delle comunità indigene, fa eco a quanto già espresso in precedenza dai rappresentanti di Ayotitlán: "Ogni volta che abbiamo avuto qualcosa di buono è perchè abbiamo lottato insieme. Nessuno è venuto a regalarcelo".

E senza alludere direttamente ad alcuni presenti, afferma: "La gente che ha venduto, che si è lasciata ingannare, è morta anche se è viva. Non può più mostrare la faccia, per la vergogna. È più fregato di colui che ha lottato". Ma rivolgendosi anche a loro, aggiunge subito dopo a coloro che ancora resistono: "Pensaci: vuoi unirti agli altri compagni della sierra? L'Altra Campagna è già grande. E se ti unisci con quelli della Huichola, è ancora più grande. E con gli sfruttati di Jalisco. Non è forse ancora di più?".

"Quello della miniera se ne deve andare", dice e propone agli ejidatari di non cedere e di recuperare qanto che appartiene loro.

L'hanno ascoltato con attenzione. L'hanno ricevuto con rispetto. All'inizio della sessione, Marcos è stato presentato come "il subcomandante, come gli dicono in Chiapas, e là sanno perché, ma per noi gli indigeni della sierra di Manantlán è il comandante Marcos".

Nel suo discorso finale, il delegato zapatista si rimette agli anziani di qui, a "quelli che più sanno", e cita una cosa detta da un uomo di Ayotitlán, che prima gli anziani generavano figli fino al fine della loro vita. "Qui vivevano fino ad età molto avanzata. E si riproducevano, come stavano dicendo", cosa che ha provocato ilarità.

Invita i contadini nahuas della sierra di Manantlán in generale a "continuare la vostra lotta, non fatela sparire, non mettetela da parte". E ad aderire all'Altra Campagna, affinché la loro voce sia più ascoltata e la loro forza sia più grande.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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