La Jornada - Mercoledì 24 maggio 2006
INTERVISTA / AMERICA DEL VALLE, DIRIGENTE DEL FRONTE DEI POPOLI IN DIFESA DELLA TERRA
Se mi arresteranno, non starò zitta

L'organizzazione e la pressione sociale, sono l'unica cosa che ci resta - Clandestina, con tre mandati di cattura a suo carico, questa giovane di 25 anni dice che la sordità e prepotenza governative hanno catalizzato la ribellione in Atenco, dove è nato un movimento sociale, sottolinea, alieno da gruppi radicali come EPR o ERPI
BLANCHE PETRICH

América del Valle non somiglia all'immagine della giovane estremista che i media elettronici vogliono mostrare, né lancia scintille dagli occhi quando ammette: "Vedo l'accanimento col quale hanno trattato la mia gente, soprattutto le donne, ed ovviamente ho molta paura che mi arrestino. Sono una donna".

Latitante, con tre ordini di cattura e con la promessa del procuratore mexiquense, Humberto Benítez Treviño, che "quella signora" sarà presto arrestata, América ammette che, nel contesto attuale, le strade politiche per ottenere la liberazione dei 12 arrestati di Atenco che ancora rimangono in prigione sono chiuse. Ma diffida anche dell'equità delle vie giudiziali. "Per questo è molto importante proseguire per la strada dell'organizzazione e della pressione sociali. È l'unica che ci resta".

Questa studentessa di 25 anni è accusata di "sequestro di persona", come suo padre, Ignacio del Valle, leader del Fronte dei Popoli in Difesa della Terra, rinchiuso nella prigione di massima sicurezza di La Palma, ad Almoloya, suo fratello minore, César, rinchiuso a Santiaguito, suo fratello maggiore, Ulises, e sua madre, Trinidad.

Indurita da quattro anni di mobilitazioni, confessa che a volte dimentica la regola d'oro di quelli che lottano per qualche causa: cuore caldo, testa fredda. "È che ci fanno scoppiare la testa con tante bugie e tanta umiliazione. Ci costringono ad uscire per le strade, a bloccare le strade". Ma quello che sente - insiste - "non è odio. Nacho - così chiama suo padre - mi ha sempre detto di non odiare. Quella che sento è rabbia…".

Non pensa di consegnarsi alla giustizia: "No, perché non sono una delinquente, non sono uno dei figli di Marta Sahagún che ruba e delinque tutto il giorno e nessuno osa applicare la legge. Se mi arresteranno non starò zitta, perché non sono d'accordo con queste leggi né con questo sistema. Sono molto lontano dall'essere una rivoluzionaria, ma non ho ragioni per non ribellarmi. Ne ho tutti i motivi".

Chiede che la società si prenda la briga di conoscere il contesto nel quale sono avvenuti i presunti sequestri, a febbraio di questo anno; che sia capace di discernere la verità dalle "versioni bugiarde di TV Azteca e Televisa" che hanno criminalizzato tutto un movimento.

- È accaduto in aprile. Fummo convocati ad un tavolo di dialogo che si teneva ogni 15 giorni. Ci aveva convocati il sottosegretario all'istruzione, Cultura e Benessere dello stato del Messico per discutere su una scuola speciale. Lui non arriva e manda degli impiegati di basso livello che dicono di essere venuti solo a sentire. La nostra gente non è di quelle che si può prende in giro; chiediamo che si presenti il sottosegretario che non rispondeva mai alla nostra chiamata. Circa alle tre del pomeriggio decidiamo di ritirarci. Eravamo circa 30 persone, perché così è nostra tradizione, partecipare in commissioni numerose, ed uscendo veniamo circondati da poliziotti con le armi spianate. "Dragoni", era la loro identificazione. Allora siamo rientrati dicendo all'inviato del sottosegretario di far ritirare la polizia altrimenti nessuno sarebbe uscito da lì. Li abbiamo tenuti lì dalle tre del pomeriggio alle sette di sera. A questo ci hanno obbligato. A Nacho, a me e ad altri compagni ci miravano alla testa. In pochissimi momenti della mia vita ho sentito che non me la sarei cavata. Quello è stato uno di questi.

- Se ti arrestano, ti processeranno per questo episodio.

- Ma da dove viene fuori che si è trattato di sequestro se i sequestrati eravamo noi? Se il fatto si vede nel suo contesto, l'accusa di sequestro cade. Ma il Pubblico Ministero, i giudici, non la vogliono vedere così. C'è l'ordine e la volontà di punire chi lotta per i suoi diritti. Qui l'importante è ottenere una cosa: che il popolo capisca che non dobbiamo permettere che si metta in prigione chi fa sentire la voce. È la pressione sociale che libererà i nostri compagni. Ed è arduo.

- A proposito dei poliziotti picchiati, i sandinisti normalmente dicevano: implacabili nella lotta, generosi nella vittoria. I rivoluzionari non devono essere come i repressori. In quel momento non è stato disatteso questo principio?

- In quel momento la massa ha perso il controllo. Quello è stato così il pretesto affinché entrassero in paese, tirassero fuori la gente dalle loro case, picchiassero, stuprassero le donne. Non c'è paragone possibile.

- Come è arrivato il Fronte ad essere un'organizzazione così radicale, con tattiche di lotta come i blocchi stradali e trattenere persone, azioni che non sono viste con simpatia?

- Bisogna domandarsi che cosa ci hanno fatto prima per aver risposto così. Prima del decreto di esproprio del 22 ottobre 2001 (più di 5 mila ettari - la maggior parte ejidali -) imprenditori e governo litigavano su dove si sarebbe costruito il megaprogetto dell'aeroporto, se nello stato del Messico o in Hidalgo. A noi, come comunità ed ejidatarios, non ci hanno mai consultato. Alla Segreteria per le Comunicazioni neanche ci lasciavano entrare né consegnare documenti. Quelli che decidevano ci ignoravano. Sapemmo ufficialmente che le nostre terre sarebbero state espropriate quando si annunciò, in conferenza stampa, il progetto come un fatto concluso. È come se ti annunciassero la data di termine della tua vita.

- Si organizza il Fronte, resiste all'esproprio, col tempo vince ed ottiene l'annullamento del decreto. Perché si arriva a questo punto nel quale siete perseguiti, arrestati, accusati di delinquere?

- Dopo aver vinto sono stati stabiliti tavoli di dialogo con le autorità dello stato del Messico per risolvere i problemi delle nostre comunità, affinché fossero rispettati i nostri diritti di educazione, salute, lavoro ed altro. Abbiamo solo un centro di salute che serve una quarta parte di un municipio di più di 40 mila abitanti. Ma il negoziato era fittizio. A volte i funzionari ci convocavano al tavolo di dialogo e non arrivavano, mandavano gente senza potere decisionale o ci dicevano: 'calmati o ti mandiamo la forza pubblica'. L'umiliazione è diventata pesante. Per questo abbiamo adottato misure di pressione, perché ci hanno obbligato e perché a volte la pressione sortisce dei risultati.

- In questo caso la pressione si è ritorta contro di voi. Non c'è stato un errore di calcolo?

- Io domando: il tavolo di dialogo, era reale o era solamente un inganno per contenerci? Perché il problema dei floricoltori si stava trattando al tavolo del dialogo ma non si è mai potuto risolvere. Ci sono statti accordi che non sono mai stati rispettati.

- Questo è quello che ha scatenato l'attacco della forza pubblica. Voi li avete respinti con bombe molotov. Li stavate aspettando? Vi eravate preparati per respingere un attacco?

- No. Dopo il primo sgombero a Texcoco, nel quale la polizia si porta via tre compagni floricoltori picchiando tutti alle sette del mattino del giorno 3, molti compagni delle comunità si mobilitano. Ma anche cosí è stato fatto un appello al dialogo. Mia mamma, Trinidad Ramírez, ha chiamato il signor Humberto Treviño a mezzogiorno circa, e questo ha risposto testualmente: "Non è un mio problema".

A partire da quella chiamata incominciano ad accerchiarci ed all'una del pomeriggio iniziano i primi scontri dove ammazzano Javier Cortés. L'esperienza ci ha insegnato: quando il dialogo si rompe ed arriva la polizia, non è per portarci dei fiori. La gente vede i manganelli, gli scudi, i gas e le armi, e chiaramente, di volata si prepara, sa che cosa fare.

In ogni caso, quelli che si erano preparati per quel colpo sono state le autorità. Volevano lanciare un messaggio. Quante volte abbiamo sentiamo dire ad Enrique Peña Nieto nella sua campagna, ora in quelle di Roberto Madrazo e di Felipe Calderón, che davanti ai machete ci sarà 'mano dura'? Quello che è accaduto l'hanno cercato.

- A proposito di machete: il simbolo della vostra resistenza è stato usato per darvi un'immagine violenta.

- Quando volevano spogliarci delle nostre terre con cosa saremmo rimasti? Con la pala e la zappa. Solo col machete per difenderci.

- Nelle interviste con i media elettronici proietti molto odio.

- Non è odio, ma ho ben chiaro chi sono i nemici del mio popolo. E sento molto dolore perché sono stata testimone di molta ingiustizia. E rabbia.

- Del detto popolare "testa fredda, cuore caldo", che cosa pensi?

- Sono d'accordo, ma è che per l'indignazione ci fanno scaldare tutto. Ma so che nel momento di lottare bisogna combattere col cuore e con l'intelligenza.

- Che influenza ha il subcomandante Marcos nel FPDT?

- Quando l'altra campagna è passata per Atenco ci ha trovati molto forti come organizzazione, con un'influenza molto oltre i nove paesi del municipio per fare un movimento regionale. Quando si presenta il nostro problema, Marcos dice: "rimango". E rimane. Il Fronte continua a coordinarsi con le organizzazioni dell'Altra e la nostra forza si moltiplica. Se non fosse stato per questo ci avrebbero spazzati via.

- Ci sono altre influenze nel Fronte? Si parla dell'EPR, dell'ERPI...

- Falso, totalmente. Lo dico con tutto il rispetto per loro: non c'è nessuna relazione. Questo lo dicono quelli che non credono nella capacità della gente di organizzarsi, che non conoscono la grande tradizione di resistenza dei popoli della nostra regione. Non c'è dietro nessuno. Dietro di noi c'è un compagno e poi un altro. Siamo molti, questo sì. E radicali, come dici, perché non ci arrendiamo.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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