La Jornada – Martedì 21 novembre 2006
Il subcomandante Marcos ha incontrato le vittime della tragedia del 19 febbraio scorso
Se ad essere sepolte fossero delle macchine, le avrebbero già trovate, accusano le vedove di Pasta de Conchos
Il governo vuole che tutto sia dimenticato e che siano lasciate sole, avverte il delegato Zero
HERMANN BELLINGHAUSEN - Inviato

Pasta de Conchos, Coah. 20 novembre - Figli e nipoti degli arrestati, vedove, madri, colleghi. Le loro voci si succedono nelle vicinanze dell'accesso al pozzo. "Vogliamo giustizia. Che tutto questo non rimanga impunito. Mi sento disarmata. L'impresa è molto potente. Ci tengono fuori, senza niente. La Minera México", dice Rosa María, compagna di uno dei 65 minatori morti lo scorso 19 febbraio nei tunnel di questa miniera.

"Siamo molto delusi da Fox", dice una seconda voce. Ed una terza: "Rubén Escudero (direttore generale dell'impresa) dovrebbe essere in prigione. Lui conosceva le condizioni ma non gli interessava risolverle". Ed un'altra: "Per Minera México è più importante una macchina dei minatori". Un'anziana dichiara: "Ho perso mio padre a Barroterán (tragedia mineraria precedente a Pasta de Conchos e qui vicino) e mio marito in questa miniera".

Non tutto è solo lamento nella regione carbonifera di Coahuila: "Se la nostra gente è rimasta sotto, che questo serva perché non succeda un'altra volta", dice un lavoratore. Le miniere non solo hanno un secolo di tragedie, hanno anche lottato in maniera memorabile, come nella "Marcia della dignità'' di Nueva Rosita, mezzo secolo fa, e durante l'insurrezione sindacale degli anni '70.

Il subcomandante Marcos ha ascoltato e parlato con familiari e colleghi dei minatori imprigionati. "Quello che vuole il governo è che tutto sia dimenticato e lasciarvi sole", ha detto alle donne che lo circondavano in un semplice e vigilato incontro. A pochi passi, la guardia privata dell'impresa si interponeva tra la miniera ed i familiari riuniti con Marcos. Circa sette agenti robusti, con cellulari e radio, e faccia poco amichevole, filmavano la scena a beneficio della Procura Generale di Giustizia dello stato e dei servizi di intelligence federali.

"I poveri devono morire perché ci si ricordi di loro", ha detto Marcos in un altro momento del dialogo intercorso con i parenti delle vittime di quelle mortifere esplosioni sotterranee che hanno commossero il paese 9 mesi fa, e messo a nudo le condizioni di lavoro e vita degli operai che non sono stati ancora licenziati dalla spietata Industria Mineraria del Messico (IMMSA). 64 corpi sono ancora dentro la miniera che li ha sepolti, ed i familiari ricevono gli stipendi dei caduti con un aumento, e se un giorno tireranno fuori il cadavere, rimarranno solo con la pensione.

"L'unica cosa che ha fatto l'impresa è stata una dichiarazione in televisione. Aspetta che voi vi stanchiate e che noi ci copriamo gli occhi e gli orecchi. Non si tratta solo di ricevere soldi, ma di rispettare gli impegni e garantire condizioni di salute per i minatori", ha dichiarato il delegato Zero, a fianco ad un tavolo di legno, e su questo le gigantografie di Rolando Alcocer e Ángel Guzmán Franco, appoggiate a due rocce della miniera. La seconda dice: "Ti vogliamo bene, papà".

L'impresa mineraria ha fatto diversi tentativi per evitare o sgonfiare l'incontro di oggi. Questa domenica ha sospeso la messa che si officia ogni giorno 19 da 9 mesi con la scusa che non c'era un prete disponibile. In realtà, commenta uno dei parenti, l'hanno fatto perché la gente non si riunisse e potesse venire oggi. Hanno anche cercato di dissuaderli con le minacce. Mano a mano che avanza il dialogo con Marcos, che si prolunga quasi per due ore, continuano ad arrivare sempre più familiari e colleghi dei minatori.

Il subcomandante Marcos spiega lo scopo di questa visita dell'altra campagna: "Affinché in tutto il paese si torni a parlare dei minatori morti. Che si realizzi quello che hanno detto i padroni". Ed ha dichiarato: "Questo succederà fino a che non cambieranno le cose". Mentre parlava con le donne dei minatori era disturbato dalla stampa locale, alla quale ha detto che Felipe Calderón cadrà e che in tutto il paese c'è gente disposta ad unirsi. "Riprenderemo le miniere affinché tornino ad essere dei minatori, e che loro vivano con dignità". E di nuovo alle vedove: "Siamo anche venuti a dirvi che non siete sole".

Un giorno prima, IMMSA ha pubblicato su tutti i quotidiani, a facciata intera, una fervente pubblicità in prosa degna di Vamos México o Teletón, in cui saluta le famiglie dei minatori "caduti", e la stessa impresa, che ostenta una "proprietà privata" nei suoi recinti, li chiama "nostri compagni", e tenta di suonare commovente, a suo modo: "Al momento, IMMSA ha dedicato già 809 mila 312 ore-uomo nelle operazioni realizzate da lavoratori e personale specializzato, con un investimento economico che ammonta a 251,6 milioni di pesos" nel "programma di ricerca" più inutile che sia immaginabile, che dopo nove mesi non ha dato altro risultato che la crescente tensione e dolore delle famiglie.

Come ha detto una delle donne, "se ad essere seppellite fossero macchine, le avrebbero già trovate". Un altro minatore ha spiegato come l'impresa lesina sulla squadra di ricerca, per evitarsi la pena di perderla o rovinarla, oltre al fatto che i suoi periti sono stati incapaci di sopportare le condizioni dei livelli dove l'impresa metteva e mette i suoi "compagni" sfruttati.

In seguito, il delegato Zero si è addentrato nel semideserto del municipio Melchor Múzquiz, in direzione Nascimiento de los Kikapú, dove si è riunito con rappresentanti di questa tribù indigena, espulsa dal nord degli Stati Uniti 300 anni fa.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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