Messico, ecco il presidente-bis
Il leader del centrosinistra Lopez Obrador acclamato da centinaia di migliaia di manifestanti
Una grande manifestazione acclama «Amlo», che darà vita a un governo parallelo. Gli attacchi della destra, della chiesa e della stampa. E Marcos comunica: marcerò di nuovo

S.D.Q. - Città del Messico

Chi credeva che Andres Manuel Lopez Obrador, il candidato progressista favorito ma ufficialmente «sconfitto» per 240 mila voti nelle elezioni presidenziali del 2 luglio, gettasse la spugna dovrà ricredersi.

Dopo la proclamazione del catto-conservatore Felipe Calderon quale nuovo presidente del Messico, Amlo ha rilanciato il guanto di sfida e sabato scorso, in una Zocalo di Città del Messico stracolmo di più di un milione di persone nonostante la pioggia torrenziale, la Convenzione nazionale democratica, aperta dalla scrittrice Elena Poniatowska, lo ha proclamato «presidente legittimo». E lui ha accettato: «Accetto la carica di presidente del Messico perché rifiutiamo l'imposizione e la rottura dell'ordine costitzuzionale. La vittoria nelle urne ci impegna davanti ai nostri elettori e davanti ai votanti onesti che hanno creduto nella validità delle elezioni», ha detto, annunciando la costituzione di un governo parallelo, di una campagna di resistenza «civile e pacifica», di un congresso costituente per la formazione di una «nuova repubblica».

Il «presidente parallelo» Lopez Obrador s'insedierà il 20 novembre, giorno del novantaquattresimo anniversario dell'inizio della rivoluzione messicana, e prima dell'insediamento ufficiale di Calderon.

«Un giorno storico», ha definito Lopez Obrador quello di sabato. Ma anche un giorno che aumenterà i rischi di destabilizzazione di un paese come il Messico, grande produttore di petrolio e troppo vicino agli Stati uniti, scosso da fortissime convulsioni sociali. E poco serve, nascondere la realtà del paese, le grandi catene televisivie - Televisa e Azteca - abbiano oscurato la grande assemblea di domenica, come non esistesse o come fosse cosa di gruppetti minoritari.

Probabilmente non servirà a molto neppure il soccorso prestato a Calderon da alcuni esponenti di primo piano della gerarchia cattolica messicana, nota per il suo conservatorismo e la contiguità con il Pan, il Partito de accion nacional da cui provengono sia Calderon sia l'attuale presidente Vicente Fox.

I cardinali Norberto Rivera e Juan Sandoval hanno esortato Lopez Obrador di riconoscere la sconfitta con parole dure che rasentano lo scherno. «Che io sappia non si è presentata alcuna prova definitiva che le elezioni del 2 luglio siano uscite dalla legalità», ha detto domenica dopo la messa nella cattedrale metropolitana Rivera, arcivescovo di Città del Messico e primate della chiesa messicana, «Io non ho mai saputo prima chi avrebbe vinto, altrimenti ci avrei fatto sopra una bella scommessa». Gli ha fatto eco il collega Sandoval: «E' un problema comico - ha sentenziato il sant'uomo - che non arriverà a niente di niente».

Metà Messico, e non solo Lopez Obrador, la pensa in modo opposto a quello dei signori cardinali e di gran parte della stampa messicana e straniera che - a cominciare dal giornale socialdemocratico spagnolo el Pais - continuano a sparare bordate contro l'ex sindaco di Città del Messico per la sua ostinazione a non rassegnarsi a una sconfitta fraudeolenta.

Non è solo «il grido» dell'indipendenza - «Viva Mexico» - che venerdì 15 Fox è dovuto andare a lanciarlo a Dolores Hidalgo, nel suo stato natale del Guanjuato anziché, come ogni anno precedente, nello Zocalo della capitale federale, occupato dal popolo di Amlo.

Che i giochi non siano affatto chiusi lo dimostra anche il subcocomandante Marcos. Dopo le dure accuse a Lopez Obrador e l'astensione dalla campagna elettorale, ieri il leader zapatista ha annunciato la ripresa, dal 9 ottobre, della «altra campagna» che lo porterà in 11 stati del nord messicano ma anche il sostegno e la partecipazione di militanti e simpatizzanti dell'Ezln alla resistenza civile lanciata da Lopez Obrador contro la frode.

All'estero, non solo a Washington, si segue con apprensione le vicende messicane. L'unico che, come al solito, si è buttato è stato il presidente venezuelano Hugo Chavez (che aveva già rotto con il peruviano Alan Garcia a favore di Ollanta Humala). Ha detto che lui «non riconosce il presidente eletto del Messico perché là sono accadute cose molto strane». Parole che il ministero degli esteri messicano ha «respinto seccamente» con una nota ufficiale.

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