La Jornada - Domenica 19 febbraio 2006
"Ora il PRD vuole dimenticare che la porta della guerra è stata aperta dai suoi parlamentari"
Marcos: riconosciamo la trincea elettorale, non abbiamo mai detto alla gente di non votare
HERMANN BELLINGHAUSEN - Inviato

Puebla, Pue, 18 febbraio - "Sono sicuro che nessuna campagna elettorale arriva dove siamo arrivati noi. Nessuno può ancora additarci. Noi stiamo dicendo alla gente che la sua parola sarà ascoltata anche da voi. L'altra campagna è lo spazio dell'udito", ha detto ieri pomeriggio il subcomandante Marcos agli universitari.

I giovani e gli universitari si sono espressi nella città di Puebla dentro all'altra campagna con voci diverse. È successo anche con i lavoratori sindacalizzati, con toni di critica e di autocritica che sono serviti da misura per il mutuo riconoscimento.

Il professore Frank Loreland, dell'Iberica, ha detto ieri: "siamo nel luogo sbagliato, in un'università privata. Se però guardiamo l'Università Autonoma di Puebla (UAP), dove il neoliberalismo ha attaccato in un modo spaventoso...". Mentre intanto, "le università private preparano bambini a dirigere le imprese. Che panorama può avere un universitario? Si sta creando una società di agnellini asserviti, docili e di lavoratori nevrotici". Ha invitato a "rifiutare la paura che si impara e che si esprime come docilità e buona educazione".

José Manuel, studente di diritto, ha ricordato: "avevo dodici anni quando incominciò il movimento zapatista. Mi sono man mano reso conto di quello che significa preoccuparci per gli altri. Sono diventato un aderente della Sesta perché questo porco mondo non mi piace e speravo di incontrare in questa organizzazione delle persone alle quali non piaccia come a me e sto corroborandolo. Abbiamo unito le nostre paure, perché non siamo assolutamente coraggiosi e così quello che dovevamo dire l'abbiamo detto".

La vigilia, numerosi gruppi e persone singole avevano dimostrato che molti lottano con coscienza e costruiscono alternative artistiche, pedagogiche e di azione sociale. Come il Movimento 12 de Enero, "nato dall'indignazione" che porta la parola zapatista nei quartieri popolari e periferici. O il Comitato Studentesco in Difesa dell'Educazione Pubblica che cerca di portare avanti un movimento contro la repressione... Un ragazzo di strada, col viso coperto dal paliacate, ha detto: "per le strade scorre il sangue, non nelle nostre vene. Non ho paura di peccare, perché vivo già in un inferno".

Il comitato per la libertà del fratelli Cerezo ha aggiunto i suoi "prigionieri politici, libertà" al clamore che cresce nell'altra campagna in quella direzione e che mira ad una mobilitazione nazionale. Si è fatto sentire anche il gruppo Spirale 7 che da quattro anni sta creando un punto d'incontro attorno al caffè zapatista ed alla parola dei ribelli.

Ieri nell'Iberica poblana, María Teresa Lechuga, insegnante dell'UNAM, ha detto che si è sentita "ferita" ed "esclusa" dalla Sesta per la sua opzione per le urne, ma ha assicurato di avere il suo cuore con gli zapatisti. Arturo Ramos, professore di Chapingo e dell'UNAM, si è riconosciuto come un convocante del Dialogo Nazionale, ma ha detto: "mi piacerebbe che ci potessimo trovare col nostro popolo nel paradiso della coscienza rivoluzionaria. La democrazia è incompatibile col capitalismo". Carlos Márquez, di Cedec, ha raccontato: "siamo da 15 anni sotto il duro attacco all'educazione pubblica in Puebla; è un riflesso di come si sta minando il movimento democratico. L'UAP è una buona scuola per fabbricare quadri repressori per lo Stato".

Nella sua replica agli universitari nell'Iberica, ieri pomeriggio, il delegato Zero ha detto, partendo dall'inizio: "ci siamo sollevati in armi perché non ci hanno lasciato altra opzione. Per questo paese, per voi, per quelli che ci governavano, noi non esistevamo. In Chiapas era più economico morire che vivere". Dopo l'insurrezione, "abbiamo incominciato ad avere un debito con voi: quella di averci salvato la vita e di averci dimostrato che non siamo soli". Ha ricordato che gli accordi di San Andrés "significavano che finalmente questo paese avrebbe riconosciuto la cultura ed i diritti dei popoli indios" e che milioni di messicani li hanno appoggiati durante la marcia del colore della terra. Ciononostante, "i tre principali partiti politici hanno votato contro". Ha ricordato che "uno degli architetti della controriforma" è il coordinatore della campagna del PRD, Jesús Ortega. Col loro rifiuto, "i partiti stavano dicendoci che bisognava tornare a impugnare le armi".

Marcos ha rinfrescato la memoria dei presenti: "ora il PRD vuole dimenticare che la porta della guerra è stata aperta dai suoi parlamentari. Ci siamo visti un'altra volta di fronte alla morte ed alla distruzione, con la differenza che ora dell'altra parte c'eravate voi. Suonerà paradossale, ma la cosa più facile per noi era tornare ad alzarci in armi. Avevamo dalla nostra parte la legittimità che c'era stata concessa da una classe politica corrotta ed avara".

Ha poi spiegato come si rafforza l'autonomia nei villaggi zapatisti. "Ora possiamo fare bene i conti. Le nostre comunità non stanno allo stesso modo che nel 1994. Le comunità che non avevano case né un trattamento degno, ora ce l'hanno. E non glieli hanno dati il governo, è stato il prodotto della dignità di quei compagni e di quelle compagne che sono orgoglioso di servire".

Ha raccontato che poi hanno cominciato "a separare l'apparato politico-militare dal civile. I nostri buoni governi sono fatti da gente che lavora nei campi. È la tradizione di lotta, dignità e ribellione delle comunità indigene. Loro stessi hanno visto la necessità di stabilire un coordinamento regionale con municipi autonomi ed hanno formato le giunte di buon governo. Ai nostri capi è strettamente proibito assumere incarichi di governo", ha aggiunto per spiegare perché sono state attaccate a colpi di arma da fuoco le basi dell'EZLN in Zinacantán. E poi quelle pallottole sono state sparate "dagli stessi paramilitari che formano la rete di appoggio per Andrés López Obrador in Chiapas".

Questa "è il nostra storia sul PRD. Voi ci chiedete di ricoscere la trincea elettorale: la riconosciamo. Non abbiamo mai detto alla gente di non andare votare e non lo stiamo facendo. Stiamo invitando a guardare da un'altra parte, non verso l'alto; a far esercizio d'intelligenza e di dignità, a pensare a che cos'è ciò che si offre dall'alto e che cosa sta succedendo qua in basso... e poi con la mente e col cuore vai o non vai a votare il 2 luglio".

Tutta la classe politica è uguale, ha insistito: "quella che ci ha negato i nostri diritti, per i quali eravamo disposti a morire e lo siamo ancora... per questo siamo disarmati nell'altra campagna, senza altre armi che la parola e la penna".

Sul candidato presidenziale perredista ha reiterato: "rivedete il suo programma di governo, perché su quello non ci sta ingannando... dice che porterà avanti il progetto neoliberalista nel nostro paese. L'equivalente al secondo piano stradale nel Distretto Federale è il progetto transismico. Significa la distruzione totale delle comunità indigene ed erige una nuova frontiera, che poi è una richiesta degli statunitensi che non vogliono combattere tanto nella frontiera del Rio Bravo e la loro soluzione è dividere il nostro paese all'altezza dell'istmo di Tehuantepec". Secondo Marcos, il Piano Puebla-Panama "sta per essere rieditato e perfezionato" col progetto transismico.

"Per ciò che è la nostra storia non possiamo appoggiare un partito che ci spara, ci tortura, ci sequestra. E quelli che lo fanno sono i suoi candidati a dirigere lo stato in cui viviamo. Non possiamo farlo per un minimo di dignità. Capiamo che in alto i partiti politici cambiano principi come pantaloni, ma noi no. Forse ci stiamo chiudendo a grandi moltitudini, grandi lusinghe o grandi prime pagine nei principali quotidiani. Non c'importa, non possiamo piegare la nostra dignità. Noi vi rispettiamo. Quando la compagna ha detto che non sta né con Marcos né con López Obrador, non c'è problema; la differenza è che López Obrador vuole essere il suo presidente, io voglio essere il suo compagno".

Quello che si sta rompendo qua in basso "è un paese ed è il nostro". "Se ancora sentite nel vostro cuore ciò che una volta si chiamava amore per la patria, questo è il momento e questo è il posto. Nel momento delle elezioni non competeremo. Per tutto questo tempo e dopo, quando arriva il 3 luglio ed arrivano la delusione ed il dopo-sbronza morale, ci sarà qualcosa verso cui la gente potrà rivolgere il viso: un movimento maturo, civile e pacifico che non offre alla gente disperata un'opzione di morte. E stiamo offrendo loro di costruire tutto questo insieme".

Prevedendo la risposta del pubblico, Marcos ha chiesto: "Chi a Puebla voterà ancora per il PRI? Dicono che stiamo promuovendo l'astensionismo. L'astensionismo lo promuovono Marín ed i suoi amici, non noi. Parliamo anche del PRI e del PAN, ma non si vede sui media, quando invece parliamo del PRD, allora salta fuori. Vi chiediamo umilmente di ascoltare le altre parole che stanno uscendo".

Nella riunione con i sindacalisti, Marcos aveva spiegato la posizione dell'EZLN di fronte al Dialogo Nazionale che continua ad essere un punto controverso nelle riunioni dell'altra campagna. "Riceviamo pressioni ad unirci e non siamo d'accordo perché ci sono Vega Galina, Hernández Juárez, Agustín Rodríguez e gente di quel livello. Ci dicevano che stavamo sprecando una grande opportunità non assistendo a quei forum, perché lì c'erano molti lavoratori, gente di base che voleva lottare.

Ci siamo riuniti con i compagni capi e cape dell'EZLN ed all'unanimità abbiamo deciso di non andarci e che avremmo aspettato perché, dicevamo allora, ci sono altri lavoratori ed in qualche punto li incontreremo. È per noi quindi un onore aver ascoltato la vostra parola e sapere che finalmente gli zapatisti hanno dei compagni e delle compagne, lavoratori nella città. Stavamo cercandovi molto tempo, ma disgraziatamente per il nostro camminare clandestino e nelle montagne e col nostro viso nascosto, finora non era stato possibile. È stata necessaria la Sesta Dichiarazione ed è necessaria l'altra campagna affinché finalmente ci troviamo".

(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)

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