La Jornada - Mercoledì 18 ottobre 2006
L’altra campagna, con gli indigeni kumiai, che resistono
Per il governo i nostri voti non contano
HERMANN BELLINGHAUSEN - Inviato

San José la Zorra, BC, 17 ottobre - In Bassa California si toccano gli estremi della sorte che tocca ai popoli indios nel paese. Qui, i kumiai resistono all'estinzione della loro cultura e lingua, e difendono fino all'ultimo respiro le loro terre ancestrali, sottoposte ad un'incessante distruzione. Più a sud, nella valle di San Quintín, i migranti triquis e mixtecos, divenuti braccianti in terre lontane dalla loro Oaxaca originaria, lottano contro lo sfruttamento patronale nei campi di pomodori ed altri prodotti agricoli dove sono venuti a lavorare per forza e lottano anche per il diritto a nuove terre in posti come il villaggio autonomo Aguascalientes Cañada Buenavista.

San José la Zorra, le cui ridotte terre si estendono nei municipi di Ensenada e Playas de Rosarito, è la comunità kumiai più grande delle poche che ancora esistono. L'altra campagna, compresa una delegazione del Congresso Nazionale Indigeno che accompagna il delegato Zero per il nord del paese, è arrivata oggi in questo villaggio matriarcale.

Robusta, in giubbotto, con berretto da baseball, Josefina López Meza, autorità indigena tradizionale di Peña Blanca (Tecate), è venuta per parlare in kumiai, una delle lingue messicane che potrebbero sparire. Sentirla, è ricordare Elías Canetti dire che ogni lingua umana che scompare è una biblioteca di Alessandria consumata dalle fiamme. Doña Josefina non pensa di scomparire: "Non abbandoneremo mai i nostri territori. Siamo incollati alla terra dove hanno seppellito il nostro ombelico". Ricorda le parole di suo nonno: "La terra è il pavimento ai tuoi piedi, i colli le tue pareti ed il cielo il tuo tetto. Un giorno la terra tornerà ad abbracciarci". Il suo, come quello di milioni di indigeni messicani, è un problema agrario: colonie di meticci invasori, rancieri avidi, decreti presidenziali sporchi, complicità di funzionari con gli accaparratori.

Un'altra splendida kumiai, Norma Meza, di Punta Seneji, dice: "Siamo stati costretti sulle colline dalle abbondanti invasioni. Ma siamo qui, sul piede di guerra. C'è molta corruzione. La CDI non ci considera perché ha funzionari molto corrotti. Ci vogliono far sparire. La mia comunità non ha acqua, né luce, né case degne. Siamo circa 50 famiglie. I nostri voti non contano per il governo". Queste terre semidesertiche sono quanto rimane ai kumiai. A 10 chilometri da qui incomincia la famosa "terra dei vini", da Ensenada a Tijuana, da dove sono stati espulsi gli indigeni: letteralmente cacciati "sulle colline".

Ofelia Muñoz dice che i popoli indios della Bassa California "continuano ad essere aggrediti fisicamente, culturalmente e moralmente". Enumera: "Divisioni orchestrate dal potere. Saccheggio delle risorse naturali. Disprezzo nell'ascoltare le nostre proposte di sviluppo. Luoghi sacri sottratti. Il ‘Procede’ aiuta i popoli indigeni a perdere le loro terre". E chiede il compimento degli accordi di San Andrés.

I triquis e mixtecos arrivati nell'area di San Quintín soffrono la condizione proletaria di chi coltiva terra altrui. Questo lunedì pomeriggio, decine di aderenti all'altra campagna si sono riuniti a Lomas de San Ramón, e nella sfilata di voci, Florencio dice: "Qui la vita è molto misera. È una violazione costante dei diritti umani. Come il salario 'compattato' in una giornata che include i contributi, così possono licenziarci di punto in bianco". Accusa la priista CTM di essere complice dello sfruttamento degli indigeni. Denuncia il deputato Antonio Rodríguez, proprietario terriero e per di più membro della commissione indigena del Congresso.

In ordine e con eloquenza, uomini e donne hanno esposto a Marcos la discriminazione, le condizioni di lavoro, salute ed educazione. Il dirigente triqui Julio Sandoval Cruz, del Movimento Indigeno per l'Unificazione e la Lotta Indipendente, organizzazione che lotta per la regolarizzazione di terre che gli emigranti occupano ad Aguascalientes Buenavista, nella regione chiamata La Cola del Zorrillo, riassume: "Noi stessi dobbiamo fare da noi".

Un partecipante accusa: "Siamo messicani, ma il governo non governa per noi". Un altro: "Fa come se ci ascoltasse, come se ci servisse". Una donna sottolinea: "Noi triquis abbiamo alzato la voce. Siamo d'accordo con gli usi e costumi dei nostri popoli ma alcuni sono discriminatori nei confronti della donna, come quelli che non permettere la libera scelta del compagno". Un bracciante denuncia che nei campi di San Vicente Comalú agli indigeni danno "più solchi da lavorare", ma sempre con lo stesso salario. Se c'è un infortunio, cosa frequente, "non abbiamo una buona assistenza dalla Previdenza Sociale".

L'evento è stato trasmesso dal vivo dalla Voz de los Pueblos Indigenas (90.1 FM), un altro dei terreni conquistati dalla migrazione dei popoli del sud in questi empori agricoli bassocaliforniani dove comandano le leggi del mercato. "Sembra che siamo stranieri nel nostro stesso paese. La legge non è fatta per noi", dice un altro bracciante.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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