La Jornada - Sabato 17 giugno 2006
Miguel Concha
Repressione ad Oaxaca

Visto che si avvicinano le elezioni federali, dobbiamo insistere sulla preoccupazione che ci causano una serie di avvenimenti che hanno polarizzato l'opinione pubblica e dimostrano il modo con cui lo Stato ha propiziato, con l'azione o per omissione, che conflitti sociali sbocchino nella morte e violenza. Pasta de Conchos, Lázaro Córdenas, Atenco ed ora il conflitto nella città di Oaxaca, denotano non solo la mancanza di capacità dei governi federale e locali di rispondere alle rivendicazioni popolari e di trovare una via d'uscita politica ai conflitti, ma anche la mancanza di volontà per giungere ad accordi in tempi così difficili come quelli attuali.

Bisogna sottolineare che tutti questi conflitti sono dovuti a legittime rivendicazioni sociali, a cattive condizioni di lavoro e che nessuno di loro per ora ha avuto una soluzione soddisfacente. Mercoledì 14 giugno si è cercato di sgomberare i maestri della sezione 22 che erano in presidio da 23 giorni nel centro storico della città di Oaxaca. Secondo le notizie diffuse dalle organizzazioni civili dei diritti umani e dalla stampa, tra le quattro e cinque della mattina circa tremila membri della polizia statale hanno iniziato, violentemente, lo sgombero, con l'impiego di razzi di lacrimogeni e gas urticanti, fumogeni ed armi di alto calibro e si sono accaniti nella distruzione delle tende del presidio.

La giustificazione per l'uso della forza è arrivata per la presunta violenza dei maestri, scatenata dalla polizia che cercava di eseguire dei mandati di cattura. Ma, si sa che la violenza da parte dei poliziotti non è stata per difendersi, ma spontanea. Preoccupano le dichiarazioni rese dal governatore dello stato, Ulises Ruiz, che nega che la polizia statale fosse armata e che abbia aggredito fisicamente gli/le insegnanti che si trovavano nel presidio. Le sue affermazioni contraddicono le versioni diffuse da varie organizzazioni e gruppi dei diritti umani, nelle quali si parla di persone ferite gravi, fra le quali donne e bambini.

D'altra parte, si pretende di screditare la lotta del magistero per i suoi diritti, affermando che ci fossero droghe o armi d'alto calibro nascoste nell'hotel del magistero. Si è pure affermato che il leader della sezione 22, il professor Enrique Roda Pacheco, appartenga all'Esercito Popolare Rivoluzionario (EPR). Queste insinuazioni si presentano all'opinione pubblica come se fossero verità, senza dimostrarle. Non fanno altro che rilanciare un clima di tensione, violenza e paura che ora si percepisce immediatamente nella città di Oaxaca, e sono utilizzate come argomenti per pretendere di ristabilire lo "stato di diritto", proprio come è successo ad Atenco.

Questa situazione è aggravata delle prese di posizione del governo di Oaxaca coi media che volevano entrare nel centro della città di Oaxaca, o che erano già sul posto, come Radio Plantón, che hanno denunciato che tutta la loro attrezzatura è stata distrutta. Ostacolando il libero esercizio del lavoro giornalistico si vulnera il diritto all'informazione che dovrebbe invece servire a tutti gli abitanti del paese in qualunque circostanza. Cioè, il diritto non solo a trasmettere l'informazione, ma pure a riceverla di modo obiettivo, verace e responsabile. La violazione di questo diritto mette in discussione direttamente la legittimità delle azioni del governo statale e mette sotto processo l'agire di tutto lo Stato nel suo insieme, perché non si garantisce che l'informazione che esce dal luogo dei fatti sia verace.

Le rivendicazioni del magistero sono legittime. Si richiedono: aumenti salariali in base ad una ridefinizione del caro-vita, miglioramenti delle condizioni di lavoro e per tutto il sistema educativo dello stato. In altre parole chiedono di dare dignità al loro lavoro. Le autorità, nonostante fossero a conoscenza di queste richieste, hanno inspiegabilmente lasciato trascorrere un periodo di tempo vitale nel quale si sarebbe potuto evitare il conflitto violento. Questo atteggiamento è davvero grave: si propizia la polarizzazione nell'opinione pubblica rispetto a temi sui quali ci dovrebbe essere il consenso a livello nazionale, si scatena la violenza e si evidenzia l'impressione che si voglia "criminalizzare" la protesta sociale, perché le autorità fanno uso indiscriminato della forza per zittire le voci di gruppi che reclamano solo i loro diritti.

Richiama pure l'attenzione il fatto che a pochi giorni dalle elezioni, le autorità si dimostrino così reticenti a vedere nel dialogo un'opzione vitale per la risoluzione dei conflitti sociali e dimostrino sempre di più una modalità sfacciatamente violenta di risposta propria di governi repressori ed autoritari, invece di creare un clima favorevole per il negoziato.

(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)

logo

Indice delle Notizie dal Messico


home