il manifesto - 16 maggio 2006
Immigrati, Bush fa lo sceriffo
Nel discorso alla nazione in diretta tv il presidente degli Stati uniti annuncia l'invio della guardia nazionale alla frontiera con il Messico. Vincent Fox, il premier sudamericano, si dice «preoccupato»
Franco Pantarelli - New York

Se sabato era una cosa che George Bush stava «ponderando», ora è diventata una certezza: nel discorso che si apprestava a pronunciare ieri sera, in un'ora troppo tarda per riferirne direttamente, il presidente avrebbe annunciato l'invio di soldati della guardia nazionale al confine con il Messico per «fermare» gli immigrati.

O meglio gli aspiranti tali: quelli che attraversano la frontiera illegalmente e poi - quando riescono a sfuggire alla pattuglie e non muoino di sete nel deserto dopo essere stati «scaricati» dai camioncini dei trafficanti - si perdono nel grande ventre del lavoro sottopagato. La conferma è venuta da una giovane assistente del nuovo portavoce della Casa Bianca, Tony Snow, quando ha riferito che Vicente Fox, il presidente del Messico, ha telefonato a Washington per «esprimere la sua preoccupazione sulla militarizzazione dei confini». Bush gli ha risposto che non si tratta di militarizzazione, che le truppe saranno poche, che avranno solo compiti di «supporto logistico» alla guardie di frontiera e che comunque non staranno lì a lungo.

Non si sa se e quanto Vicente Fox sia rimasto soddisfatto da quelle precisazioni, ma si conoscono le reazioni di altri. Per esempio dei governatori degli Stati che dovranno fornire le «loro» truppe, visto che la guardia nazionale è sotto la loro giurisdizione. Questa è infatti la stagione degli incendi, quando varie zone degli Stati Uniti vengono attaccate dal fuoco (in Florida e in Arizona è già accaduto) e la guardia nazionale deve essere in grado di partecipare alle operazioni di soccorso; ed è anche la stagione degli uragani, che considerato ciò che è accaduto l'anno scorso, quando è stato battuto ogni record presumibilmente a causa di quella cosa chiamata «effetto serra» di cui Bush nega l'esistenza, anche su questo la guardia nazionale dovrà disporre di un buon numero di effettivi da dislocare immediatamente.

E poi, naturalmente, c'è il fatto che molti reparti della guardia nazionale sono in Iraq e in Afghanistan. Questo infatti non è più il tempo in cui bastava essere nella guardia nazionale per evitare di andare in guerra, come fece proprio Bush al tempo del Vietnam. Nelle guerre di oggi partono e muoiono quelli delle forze speciali, quelli delle divisioni «ordinarie» e quelli della guardia nazionale, senza discriminazioni. Il senatore Chuck Hagel, uno dei repubblicani «moderati», ha fatto un po' di conti e la sua conclusione è stata: «Abbiamo stiracchiato le nostre forze armate a un punto mai visto nei tempi moderni e ora ci mettiamo a parlare di spedire la guardia nazionale a controllare i confini senza avere la possibilità concreta di farlo?».

La domanda ovvia che ciò comporta è: quanti saranno i soldati destinati alla bisogna? La cifra precisa, ieri, era l'unica cosa che veniva tenuta segreta in attesa del discorso di Bush e le previsioni spaziavano da 8.000 a 40.000. Ma il punto è in realtà quale sia la «vera» ragione di questo spiegamento, che in pratica sembra quasi esclusivamente di opportunità politico-elettorale.

Accade infatti che nel partito repubblicano le posizioni sul problema degli immigrati «illegali» siano tre.

Una è stata già espressa nella legge approvata dalla Camera alcuni mesi fa ed è la più «dura». Stabilisce che la presenza stessa negli Stati Uniti senza avere le carte a posto costituisce un crimine punibile con la prigione o con la deportazione; che chi assume gli «illegali» e chi li aiuta deve essere considerato complice e punito di conseguenza e che debba venire costruito un muro lungo almeno mille dei tremila chilometri di frontiera fra Stati Uniti e Messico.

La seconda è quella bipartisan, elaborata da Ted Kennedy e dal repubblicano John McCain e in discussione al Senato, che prevede la regolarizzazione fino all'acquisizione della cittadinanza americana di buona parte dei circa dodicimila «illegali» attualmente presenti.

La terza è quella di Bush che prevede lo status di «lavoratori ospiti», cioè con il permesso di lavorare negli Stati Uniti per un certo numero di anni e poi destinati ad andarsene.

Per i sostenitori della prima posizione, guidati dai deputati «oltranzisti» Tom Tancredo (un italoamericano che evidentemente preferisce non ricordare l'avventura dei suoi genitori o nonni) e James Sensenbrenner, le altre due sono roba da imbelli. Essi infatti hanno basato le loro fortune elettorali (nel voto del 7 novembre) sul pericolo delle «orde» di immigrati provenienti dal Sud e ora sono costretti a mantenere il loro punto.

Ebbene, secondo parecchi questo dispiegamento di truppe - di scarsissima efficacia nel bloccare il flusso e del tutto irrilevante per il problema degli immigrati che sono già negli Stati Uniti - sarebbe una specie di «contentino» ai vari Tancredo e Sensenbrenner, che in questo modo avranno qualcosa da dare in pasto ai loro elettori.

Una cosa, insomma, tipica di questa presidenza: i problemi non si affrontano nella loro realtà ma solo ed esclusivamente nella loro apparenza.

logo

Indice delle Notizie dal Messico


home