La Jornada - Giovedì 16 febbraio 2006
Le comunità indigene pensavano che con l’amministrazione “del cambiamento” sarebbe stato diverso
A 10 anni dalla firma degli accordi a San Andrés gli insigeni non retrocedono dalla loro lotta
ELIO HENRIQUEZ - Corrispondente

San Cristóbal de las Casas, Chis., 15 febbraio - Questo 16 febbraio si compiono dieci anni dalla firma degli accordi di San Andrés la cui mancanra applicazione ha chiuso la possibilità di riannodare il dialogo provocando la rottura fra l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e lo Stato messicano ed i partiti politici.

A 10 anni dalla firma degli accordi ed a cinque anni dalle riforme costituzionali su diritti e cultura indigeni approvate dal Congresso dell'Unione, gli zapatisti continuano ad essere in resistenza facendo di questa la loro principale forma di lotta, senza accettare aiuti dal governo del presidente Vicente Fox che, nella sua campagna elettorale, aveva promesso di risolvere il conflitto in 15 minuti.

Di fronte alla mancata applicazione da parte del governo, le comuntà zapatiste hanno messo in pratica gli accordi in maniera unilaterale e parziale, cosa che, asseriscono, ha significato un avanzamento nel livello di vita di migliaia di famiglie. "Oggi l'autonomia indigena è una realtà nelle terre zapatiste e siamo orgogliosi di dire che è stata realizzata dalle comunità stesse", ha dichiarato il subcomandante Marcos.

Gli accordi furono firmati il 16 febbraio del 1996 nel municipio di San Andrés Larráinzar dalla delegazione governativa guidata da Marco Antonio Bernal e dai rappresentanti zapatisti coordinati dai comandanti David, Tacho e Zebedeo, dopo 10 mesi di negoziati non esenti da tensioni e contrasti tra le parti.

In questi accordi era plasmato il proposito di "creare una nuova relazione tra lo Stato messicano ed i popoli indigeni attraverso un patto sociale", per farla finita con la relazione di subordinazione, disuguaglianza, discriminazione, povertà, sfruttamento ed esclusione politica degli indios. "La nuova relazione tra lo Stato messicano ed i popoli indigeni si basa nel rispetto della differenza, nel riconoscimento delle identità indigene come componenti intrinseche della nostra nazionalità, e nell'accettazione delle loro particolarità come elementi basilari consustanziali al nostro ordine giuridico, basato sulla multiculturalità", si stabilisce nel "Documento 1. Dichiarazione congiunta che il governo federale e l'EZLN invieranno alle istanze di dibattito e decisione nazionale".

Gli impegni

Il governo si impegnava a riconoscere i popoli indios nella Costituzione, così come il loro diritto alla libera determinazione nell'ambito dell'autonomia, ad ampliare la partecipazione e rappresentazione politica, a garantire il pieno accesso dei popoli indios alla giustizia dello Stato, alla giurisdizione dello Stato, ed implicava il riconoscimento dei loro sistemi normativi interni, tra il resto. A sei mesi e mezzo dalla firma, la lentezza nel compimento degli accordi portò l'EZLN a dichiarare la sospensione del dialogo il 2 settembre del 1996, generando una delle molte crisi nel processo di negoziato.

Nel tentativo di sbloccare la situazione, il 29 novembre 1996 la Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa) elaborò un'iniziativa di legge su diritti e cultura indigeni, nella quale raccolse una parte importante di quanto concordato. Chiese alle parti in conflitto di dichiarare se fossero d'accordo oppure no con l'iniziativa, senza possibilità di modifiche. Nel caso fosse stata approvata, sarebbe diventata legge dopo il passaggio alle Camere, in caso contrario, l'istanza legislativa sarebbe stata sciolta (questo fu rivelato in seguito da Marcos).

Sebbene l'EZLN non fosse del tutto d'accordo con la proposta, l'accettò. Lo stesso fece il governo guidato da Ernesto Zedillo, che in quel momento si trovava fuori dal paese, attraverso il suo segretario di Governo, Emilio Chuayffet. Tuttavia, al suo ritorno, il Presidente ritirò la firma dal documento, adducendo rischi di "balcanizzazione" del paese, e fece una controproposta che l'11 gennaio 1997 fu respinta dagli zapatisti.

Da quel momento, il gruppo ribelle che ha fatto della parola la sua principale arma entrò in uno dei suoi prolungati silenzi come protesta per l'inadempimento dei trattati e per la mancanza di capacità o di volontà della Cocopa di difendere la sua iniziativa. Il governo rispose con l'incremento della pressione militare e paramilitare attraverso la guerra di bassa intensità che ha causato decine di omicidi nelle zone nord e Altos dello stato, e che ha il suo punto critico col massacro di 45 indigeni in Acteal, il 22 dicembre 1997, a conseguenza del quale migliaia di tzotziles di Chenalhó abbandonarono le loro comunità, come già avevano fatto altre migliaia nel nord, fuggendo dall'ondata di violenza.

Questo fatto, preceduto da 27 omicidi di priisti e zapatisti in Chenalhó, provocò la caduta del segretario di Governo, Chuayffet, e del governatore ad interim Julio César Ruiz Ferro che fu sostituito da Roberto Albores.

Durante il suo mandato, Albores Guillén guidò il più feroce attacco contro i municipi autonomi zapatisti. Il subcomandante Marcos lo soprannominò Croquetas. Appoggiato incondizionatamente dal segretario di Governo Francisco Labastida Ochoa, Albores fu responsabile di un altro dei fatti di sangue accaduti nel sessennio di Zedillo: il massacro di otto contadini zapatisti nel municipio di El Bosque, il 10 giugno 1998, così come della montatura di presunte diserzioni di famiglie zapatiste. Uno dei suoi delegati regionali di governo arrivò ad affermare che Tacho aveva ammazzato Marcos.

Oltre al silenzio, l'EZLN mise in moto altre strategie per tentare di obbligare l'amministrazione zedillista a rispettare gli accordi. Nel settembre 1997, mille 111 delegati zapatisti viaggiarono in carovana fino al centro del paese, ed a metà marzo 5 mila indigeni percorsero tutto il Messico per promuovere la consultazione nazionale per il riconoscimento dei diritti e della cultura indigeni e contro "la guerra di sterminio". Anche in San Cristóbal de Las Casas ci furono numerose mobilitazioni per esigere il compimento degli accordi di San Andrés.

In un panorama di crescente pressione e ostilità da parte delle autorità federali e statali, arrivarono le elezioni del 2000 vinte da Vicente Fox. Per la prima volta il PRI perdeva la Presidenza della Repubblica e con questo molti credettero alla possibilità del compimento degli accordi di San Andrés.

Il 2 dicembre 2000, poche ore dopo l'insediamento di Fox, la dirigenza dell'EZLN convocò una conferenza stampa a La Realidad per informare di aver posto tre condizioni per la ripresa del dialogo: compimento degli accordi mediante l'approvazione della cosiddetta legge Cocopa, liberazione degli zapatisto in carcere ed il ritiro di sette posizioni militari. Solo quest'ultima si concretizzò anche se l'accerchiamento militare è rimasto, a tuttoggi, perssochè intatto.

L'EZLN annunciò allora la realizzazione della marcia del colore della terra che, partita da San Cristobal il 24 febbraio del 2001 attraversò 12 stati del paese per promuovere l'approvazione della proposta della Cocopa, la stessa che Fox si era impegnato a difendere. Guidata da Marcos e da 23 comandanti dell'EZLN, la carovana mobilitò milioni di messicani e la comandante Esther potè parlare nel Congresso dell'Unione per chiedere l'approvazione delle riforme su diritti e cultura indigeni e chiarire che gli indios non volevano separarsi dalla nazione messicana.

Quando tutto lasciava supporre che la ley Cocopa sarebbe stata approvata dal Congresso dell’Unione, Marcos ed i 23 comandanti zapatisti tornarono in Chiapas la prima settimana dell’aprile 2001.

Il segnale di senso opposto si ebbe il 25 aprile, quando tutti i partiti politici rappresentati nel Senato della Repubblica approvarono una riforma indigena che incorporava solo parte degli accordi, lasciando fuori tutti gli aspetti fondamentali. Per esempio, invece di riconoscere le comunità come "soggetto di diritto", queste sono diventate "oggetto di interesse pubblico". La frase "uso e sfruttamento delle risorse naturali" fu cambiata con "utilizzo preferenziale"; "autonomia" e "territorio" sono i due concetti chiave che i senatori non approvarono.

Il 28 aprile, con 386 voti a favore dei legislatori del PAN - il cui coordinatore era Felipe Calderón ora candidato presidenziale panista - del PRI e del partito Verde Ecologista, e 60 del PRD, il PT e cinque priisti di Oaxaca contrari, la Camera di Deputati approvò la legge su diritti e cultura indigeni.

Nei primi cinque mesi dell'amministrazione foxista, dalla speranza nel governo del "cambiamento" si passò alla frustrazione. Due giorni dopo, l'EZLN respinse le riforme perché "non rispondono in assoluto alle richieste dei popoli indios del Messico, del Congresso Nazionale Indigeno, dell'EZLN e della società civile nazionale ed internazionale".

Oltre che disconoscere quelle che chiamarono "controriforme", gli zapatisti affermarono che queste "tradiscono" gli accordi di San Andrés e "le speranze di una soluzione negoziata della guerra in Chiapas, e rivelano il divorzio totale della classe politica rispetto alle istanze popolari". Diverse organizzazioni e persone a tutti i livelli si unirono al rifiuto delle modifiche. In segno di protesta, l'EZLN ritirò Fernando Yáñez come intermediario con il governo federale e da allora non si è più tornati a parlare della possibilità di dialogare col governo di Vicente Fox.

La porta sbattuta sbattuta in faccia ai popoli indios del Messico dai tre poteri dell'Unione, si è chiusa definitivamente nel settembre del 2002, quando la Suprema Corte di Giustizia della Nazione ha respinto gli oltre 300 ricorsi costituzionali presentati dai municipi di 10 stati con popolazione indigena contro il procedimento utilizzato per approvare le modifiche che nell'agosto del 2001 erano state promulgate da Fox con l'approvazione della maggioranza dei parlamenti statali.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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