La Jornada - venerdì 15 dicembre 2006
Intervista a Manuel, José Arturo, Gertrudis e Javier, leader di gruppi armati
La forza sociale deve fermare la violenza di Stato
Le esplosioni nel DF, un'allerta sul grande scontento sociale

"Il messaggio della repressione a Oaxaca è stato quello che è condannato al fallimento qualunque tentativo per aprire in modo pacifico nuove strade di trasformazione del paese e la resistenza con alla sua testa AMLO ha contribuito a svelare l'uso fazioso delle istituzioni"
JESÚS ARANDA

La repressione del movimento popolare a Oaxaca è "un processo emblematico" ed il messaggio che riceviamo è che "ogni tentativo di trasformare in modo pacifico la nostra società è condannato al fallimento". Da lì la necessità di "aprire nuove strade al cambiamento sociale, non necessariamente armate".

In un'intervista con La Jornada, dirigenti delle organizzazioni armate Movimento Rivoluzionario Lucio Cabañas Barrientos (MRLCB), Tendenza Democratica Rivoluzianaria-Esercito del Popolo (TDR-EP), Brigata di Esecuzione 2 Dicembre (BA 2D), Organizzazione Insurgente 1° Maggio (OSI 1M), Brigate Popolari di Liberazione (BPL) e Unità Popolare Rivoluzionaria Magonista (UPRM) riconoscono che la collocazione di tre bombe il 6 novembre in Città del Messico ha generato reazioni che hanno messo "in discussione" la legittimità dell'azione.

Tuttavia, "crediamo che una lettura più giusta rispetto a questi fatti debba condurre a comprendere che non siano qualcosa di diverso da un segnale, un avvertimento, un'allerta, di fronte alla escalation repressiva del governo", oltre ad un avviso affinché non si ripetano episodi dolorosi "che pensavamo fossero rimasti indietro nelle pagine della storia, ma invece sono nuovamente presenti".

Annunciando l'integrazione dell'UPRM al "coordinamento rivoluzionario e di unità", gli intervistati prendono le distanze dall'opinione di movimenti armati di anni fa che avevano messo in discussione la lotta elettorale.

Con i visi coperti da paliacate e scortati da sei miliziani con fucili di alto calibro, gli intervistati riconoscono in modo inusitato la cosiddetta "sinistra elettorale". Manuel, José Arturo, Gertrudis e Javier sostengono in un comunicato letto nella notte dell'intervista, che la resistenza sociale rappresentata dalla convenzione nazionale democratica rifiutandosi di riconoscere Felipe Calderón come Presidente della Repubblica e legittimando simbolicamente il trionfo di Andrés Manuel López Obrador, ha contribuito "a svelare il carattere di classe e repressivo, così come l'uso fazioso delle istituzioni governative", riaffermando la necessità di trasformare democraticamente dette istituzioni e riconquistare la sovranità.

Appoggiano l'ex-candidato perredista anche se aggiungono "benché non proponga nessuna alternativa sociale seria all'oppressione ed allo sfruttamento capitalista".

Senza dubitare e con risposte dirette, gli intervistati sottolineano la "straordinaria importanza" dell'altra campagna dell'EZLN, dell'Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca (APPO) e della sua replica nazionale, l'Assemblea Popolare dei Popoli del Messico, nella lotta antineoliberista ed anticapitalista, "così come il processo di resistenza, lotta armata ed articolazione politica fraterna che sosteniamo in diverse organizzazioni rivoluzionarie".

Gertrudis, della direzione collettiva del MRLB, chiarisce la sua posizione: "non ci lasciamo siamo lasciati ingannare" dalla speranza che l'eventuale trionfo di Andrés Manuel López Obrador fosse la soluzione per il paese; però "se c'è una parte del popolo che sta fidandosi di lui", allora bisognerà appoggiare il popolo e se il PRD sarà alla testa di cause legittime contro la privatizzazione delle ricchezze nazionali e contro l'imperialismo, "in questo staremo insieme".

Perché stare da una parte? Se il nemico è tanto potente dobbiamo stare insieme, sottolinea.

Mentre i miliziani in divisa montano la guardia a lato del tavolo al quale sono seduti gli intervistati che hanno alle loro spalle due bandiere nazionali ed in mezzo due foto di Francisco Villa ed Emiliano Zapata nel Palazzo Nazionale, i dirigenti dei gruppi armati affermano che il caso di Oaxaca ha una particolare importanza ed è motivo di ulteriori riflessioni, perché riconoscono che le bombe collocate nel DF sono state interpretate da alcuni settori della società come atti che hanno dato adito alla repressione contro l'APPO, o si sarà pure pensato che si era trattato di provocazioni montato dal governo di Ulises Ruiz.

Il 30 agosto, una dozzina di miliziani della TDR-EP avevano fatto un'irruzione propagandistica utilizzando divise militari, cappucci ed armi lunghe nella comunità Reynosa, del municipio di Santa Catarina Ixtepeji, nello stato di Oaxaca.

Come risultato della repressione della Polizia Federale Preventiva e della polizia locale contro l'APPO ed in appoggio ad Ulises Ruiz, la TDR-EP che proviene da un'antica frazione dell'Esercito Popolare Rivoluzionario (EPR) aveva collocato otto artefatti esplosivi nella Città del Messico, dei quali se sono esplosi sei: due nell'auditorium Plutarco Elías Calles della sede nazionale del PRI, due nella sede del Tribunale Elettorale del Potere Giudiziario della Federazione (TEPJF) ed altri due nelle installazioni della Scotia Bank.

La riflessione

José Arturo, della TDR-EP, precisa: "la repressione ad Oaxaca ha già avuto un forte impatto e le ferite che lì si sono aperte tarderanno molti anni a rimarginare; l'unica cosa che il governo federale è riuscito a fare è stato di approfondire lo scontento ed il rancore contro un gruppo potente che ha deciso di chiudere le orecchie e di portare fino alle sue ultime conseguenze il modello neoliberale".

Gertrudis afferma che "si è agito a Oaxaca perché parte di quel popolo stava aspettandosi qualcosa dalle organizzazioni armate".

E riconosce: "è certo che ci sono critiche e che sono valide; proprio per questo si sono sospese le azioni del primo dicembre, perché la spirale della violenza non incomincia con la violenza del popolo, ma con la violenza dall'alto".

AGGRESSIONE DELL'ULTRADESTRA

Ci sarà chi dice che queste azioni generano una escalation repressiva ma, che cosa si aspettano da un governo di ultradestra che sta già facendo uso della violenza con atti come le concessioni di spiagge a stranieri, le concessioni del petrolio, dell'energia elettrica e dell'acqua?

A dispetto delle sue convinzioni, ammette: "avremmo voluto rispondere più forte. Adesso lo facciamo simbolicamente, non con affanno di vendetta, ma con affanno di giustizia.

Marcos dice che il Messico sta sanguinando, noi diciamo che sta eruttando dappertutto. Questa è una realtà, i gruppi stanno emergendo anche nel nord, non solo nel sud".

Fino a che punto è etico mettere bombe? si domanda e risponde con altri punti interrogativi. Bene, fino a che punto è etico che ci spoglino di tutto, che si stia sgomberando la gente delle comunità indigene? Fino a che punto è etico tagliare il presupposto dell'educazione?

In questo contesto, Manuel, dell'UPRM, organizzazione che appena ieri ha formalizzato la sua adesione a questo coordinamento di gruppi armati che il 6 novembre ha rivendicato le esplosioni nella capitale della Repubblica, commenta quanto è successo a Oaxaca: "causa rabbia e dolore che reprimano il movimento sociale e che dopo ci dicano che i violenti del movimento armato hanno aperto la porta alla violenza, quando la violenza proviene dall'imposizione di Ulises Ruiz".

E spiega la posizione della sua organizzazione che lavora in modo parallelo nella lotta politico-elettorale e che ha pure ottenuto posti nelle elezioni popolare: "non possiamo continuare a mostrare l'altra guancia; dobbiamo agire sui due terreni, quello politico e quello militare".

Rispetto a quanto pensavano riguardo alla sinistra che prese le armi negli anni '60 e '70, che denunciò come "traditori" quelli che avevano cercato il cambiamento per la via elettorale, si è domandato se parlare così voleva dire maturità della sinistra, una nuova tappa della lotta?

Manuel afferma che hanno privilegiato il lavoro politico durante gli ultimi anni e che sul terreno elettorale, il fatto che López Obrador abbia ottenuto 15 milioni di voti "ci parla di un nuovo processo nella lotta politica nazionale e noi dobbiamo assimilare questa esperienza".

Stiamo crescendo a passi da gigante continua, "bisogna solamente essere presenti in una mobilitazione di Andrés Manuel López Obrador per vedere dappertutto fiumi di gente che stanno esponendo perfino la necessità di passare dalla lotta politica, dalla manifestazione, dalla protesta ambulante alla lotta armata, perché non stanno lasciandoci altra strada".

Si stanno cercando meccanismi per trascendere in questa lotta, ci stiamo forzando a capitalizzare questo scontento, questo grande movimento nazionale che si sta sviluppando e puntellare il progetto con i compagni presenti per dargli maggior forza.

Da una parte dicono che l'opzione pacifica si sta chiudendo, ma considerano anche che non può lasciare che si ripeta un'altra Oaxaca. Così sembrerebbe che voi stessi vi stiate contenendo, sembrerebbe che non sia il momento giusto per prendere le armi. Non è una posizione ambigua la vostra sull'uso delle armi? - si è domandato e Gertrudis risponde: Perché non dichiariamo adesso la guerra? Questa dovrebbe essere la domanda, come se ci fosse contraddizione?

Sembrerebbe che non c'è una vostra decisione a prendere le armi.

José Arturo prende la parola: "Non vorremmo che la via delle trasformazioni sociali profonde nel paese passi attraverso la violenza, non lo desideriamo. Dichiarando che la nostra azione è fatta di piccoli segnali e che è un avvertimento all'elite neoliberale perché fermi questa escalation repressiva, tutto ciò non ha a che vedere solo con noi e con le nostre capacità, ma pure con l'esplosione sociale rivoluzionaria a cui stanno conducendo con questa barbara maniera di concepire la politica.

Consideriamo di non poter aspettarci da questo governo delle soluzioni ai problemi di fondo che viviamo come messicani, per cui dobbiamo prepararci. E quando parliamo di aprire nuove strade, non necessariamente ci riferiamo alla violenza, ma invece al fatto di proporre ed organizzare una nuova costituente.

Questo punto che apparentemente è nell'agenda di diversi movimenti sociali e soggetti politici, è quello che potrebbe permettere a noi, alle diverse forze, di articolarci, di discutere, di stabilire un nuovo patto sociale e questa non necessariamente deve essere una strada violenta.

Le possibilità di dare una soluzione di fondo da parte delle istituzioni si cancella sempre di più, ma non così dalla parte del movimento sociale, e le repressioni a Sicartsa, Atenco e Oaxaca sono una prova molto importante di questo. Questi movimenti hanno insistito sul fatto che sono sociali e pacifici, che sono stati obbligati a difendersi dalla repressione dei governi federale e statali.

Però, se si afferrano ad una legalità, è necessario difendere quello spazio, perché crediamo che quella che bisogna annullare è la violenza dei potenti. E questo sarà possibile solo se siamo capaci di contribuire all'organizzazione dei più ampi settori del popolo.

È bugia che le organizzazioni armate siano isolate dal popolo: nessun gruppo può sopravvivere in quel modo. Necessariamente siamo presenti nei movimenti sociali, siamo una risorsa dell'autodifesa, siamo una modalità di difesa di fronte al disprezzo di quello che siamo come messicani, col risultato che consideriamo che la forza sociale del popolo deve fermare la violenza dello Stato. La forza sociale deve essere presente per le strade, negli spazi che i movimenti rivoluzionari degli anni '60 e '70 hanno reso possibili.

Oggi non ignoriamo che gli sforzi fatti dalla sinistra elettorale, che abbiamo criticato in altri momenti, abbiano contribuito in modo notevole.

Crediamo che sia falso il dilemma fra riforma e rivoluzione, lotta legale o lotta armata come due cose contrapposte sono un falso problema ed è necessaria un'articolazione di tutte le forme di lotta, dei differenti processi e movimenti per arrivare ad una trasformazione e se possiamo farcela senza versare neanche una sola goccia di sangue, crediamo che quella è la strada corretta.

Da lì questa posizione che potrebbe sembrare ambigua. Siamo gruppi armati che non vogliamo la violenza. Ai suoi tempi l'EZLN l'aveva espresso in modo molto chiaro: siamo soldati oggi affinché altri non lo debbano essere domani".

I quattro hanno pure disapprovato la decisione di Felipe Calderón di incrementare il bilancio delle forze armate, in contrasto con la riduzione dei fondi per l'educazione e la salute.

Gertrudis commenta: "Lucio Cabañas diceva che 'anche il soldato è popolo'; ci sono gli zetas che si vendono al narcotraffico, ma anche nelle file dell'Esercito e della Marina c'è il popolo ed hanno le loro famiglie che soffrono o parenti dall'altro lato. C'è un compagno che è stato militare ed è stato assassinato, e grazie a compagni che sono stati nell'Esercito sappiamo dei gruppi paramilitari, come il gruppo Catarsis in Jalisco e in Michoacán, comandato da un argentino e da un capitano pensionato dell'Esercito Messicano, perché stanno preparandosi a quello che può venire, alla sparizione, all'infiltrazione. Oltre all'Esercito hanno pure spionaggio militare la polizia, il Cisen (Centro di Investigazione e Sicurezza Nazionale), i loro gruppi paramilitari, l'ultradestra.

Per questo la nostra conclusione è che esortiamo soldati e marinai onesti, che sono in maggioranza di estrazione umile, a disubbidire agli ordini criminali e repressivi dei loro comandi militari, ad abbandonare le file dei corpi repressivi ed a integrarsi in quelle dei diversi movimenti popolari".

"La lotta armata - ribadisce José Arturo - non si spiega se non con l'appoggio di differenti gruppi e settori, compresi militari e poliziotti che stanno nelle file dei corpi di repressione. C'è già stato storicamente, sta avvenendo in questo momento e ci sarà ancora".

I dirigenti rispondono convinti alle domande, mentre i giovani miliziani in divise castrensi disuguali, da quelle verde oliva alle mimetiche, fanno un marziale cambiamento di guardia a fianco dei loro leader. Nonostante l'intervista scorra tranquilla, i custodi sono vigili...

(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)

logo

Indice delle Notizie dal Messico


home