La Jornada – 15 novembre 2006
Le autorità tolgono l’acqua ai contadini per darla all’industria agricola
Burla e abusi, le risposte del governo alle richieste sull’altopiano di SLP
È necessario organizzarsi per cambiare le leggi, afferma il subcomandante Marcos
HERMANN BELLINGHAUSEN - Inviato

Charcas, SLP. 14 novembre - "Se non c'è una strada, la gente resta ferma. L'altra campagna dice alla gente: 'sì, c'è una strada, ma è dall'altra parte'", dice il delegato Zero nelle terre più alte, emarginate ed aride di San Luis Potosí. Ad un'altezza media di 2 mila metri sul livello del mare, l'altopiano occupa la metà del territorio dello stato ed è abitato da solo il 15 percento del totale della popolazione. Ancora pieno di radici antiche e ricchezze naturali, questo è il Messico dopo il Diluvio, dove non tutto ciò che brilla è oro. No.

Prima hanno parlato decine di ex-braccianti, contadini, allevatori di bestiame, ricercatori della regione. La nipote di un ex emigrante, parte di questa lotta che include già tre generazioni che reclamano diritti e soldi che le autorità hanno rubato loro, ha detto: "Noi vediamo un panorama desolato, quasi disperato. Il governo ride di noi. Ma la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona ci ha dato speranza". Ha fiducia che le cose possono essere altrimenti. "Come sta succedendo a Oaxaca. Pensavano che fosse una colomba ed è venuta fuori un'aquila".

Nonostante un fugace miraggio di fortuna con il pomodoro e la centenaria attività mineraria (da Charcas si estrae argento e buona parte dello zinco messicano), la povertà generalizzata fa di questa una regione produttrice di emigranti. Da qui escono camion diretti a Oklahoma, Carolinas, California o Florida. Scarseggia l'acqua, e la poca che c'è le autorità la danno in favore delle industrie dei pomodori, che dal 1990 si sono impossessate delle terre esaurendo le falde acquifere e provocando l'attuale siccità. Come dice il collettivo Cabuches, "l'acqua è il problema fondamentale".

Ci sono posti sulla sierra dove non piove da 20 anni. Inoltre, le potenti industrie agricole scacciano le piogge. A cannonate, per disperdere le nuvole e perché non grandini sui loro rubicondi pomodori. Così hanno esaurito i manti freatici. "A loro non piace nemmeno che sia sereno", commenta Juan Re Hernández. È quello che i ricercatori Javier Maisterrena ed Isabel Mora definiscono "oasi e miraggio", studiando l'impatto dell'agroindustria nella vicina valle di Arista, dove si diffuse il boom del pomodoro durante il salinismo.

"Queste cannonate compromettono tutti gli altri". Don Juan parla per i contadini che allevano capre e vitelli con grande sforzo, e che "si vendono molto male". Dalla regione viene il capretto che alimenta la ricca Monterrey. Qui si paga 150 pesos, e là si vende a 500. A parte la limitata occupazione mineraria e l'incessante taglio di lattughino (fibre per corde), l'attività possibile è allevare capre. Persistono comunità di transumanza, famiglie seminomadi che percorrono il deserto con il loro "tesoro", il bestiame caprino. Secondo i ricercatori, questo modo di produzione è ecologico, armonico con l'ambiente. Ma la privatizzazione galoppante aliena i terreni e gli allevatori di capre restano fuori.

Partecipano alla riunione rappresentanti di Matehuala e La Paz, oltre ad ex braccianti che sono anche contadini dei municipi Mexquitic di Carmona, Cervo, Moctezuma, Villa de Arista e San Luis Potosí. "Non ci lasciano scavare pozzi. E' illegale. Solo le imprese possono farlo. Con delle trappole ci tolgono l'acqua", dice uno di Mexquitic. Il commissario ejidale di El Cedazo denuncia che il governo è da diversi sessenni che non riconosce i loro legittimi diritti ejidali, ed ora vogliono privatizzare: "I funzionari ci dicono di non insistere perchè 'siamo perdenti'". Un altro di Mexquitic ricorda la notte in cui arrivarono 117 poliziotti, non uno di meno, "ad abbattere le case e tirarci fuori dalle nostre terre, e lì c'hanno messo tutte le loro pattuglie". Ritiene che il governatore Marcelo de los Santos Fraga "è un pagliaccio", ma pericoloso, perché "prima di essere pagliaccio era un fenomeno da baraccone".

Il peculiare deserto dell'altopiano è dimora di contadini meticci e degli ultimi huachichiles che vivono in fattorie o in caverne. Racchiude i luoghi sacri dei popoli wirrárika, cora e rarámuri. Possiede una diversità biologica unica al mondo, e le sue estensioni silvestri sono di una bellezza impressionante. Qua viene ad inquinare l'ambiente e distruggere il suolo il cementificio Moctezuma, l'emporio avvelenato del municipio con lo stesso nome.

Alla fine, il subcomandante Marcos spiega: "L'altra campagna serve perché la gente parli, ed ascoltandoci, possiamo metterci d'accordo. E poi unendoci, la forza è tanta". Descrive come gli ex braccianti ed i contadini di El Cedazo "hanno usato la loro forza per andare agli uffici del governo, a vuoto". Se questa forza si usa per un'altra cosa, "forse caccia questo governo e cambia la legge, e poi a quello che non fa il suo dovere, punizione, lo cacciamo. Le persone stesse di ogni luogo devono decidere come". Il piano nazionale di lotta che sta costruendo l'altra campagna "deve dire che la terra comprende tutto: l'irrigazione, il prezzo finale del prodotto".

A 30 stati dall'inizio del viaggio della Commissione Sesta, e davanti alla necessità di un cambiamento profondo paragonabile alla Rivoluzione, benché pacifico, Marcos dichiara: "Facciamo la stessa cosa, ma senza armi. Se qualcuno deve morire, che sia il ricco. Perché devono morire un'altra volta i poveri? Si tratta che il popolo partecipi. Tutti. Anche i bambini e le bambine, e quelli che sono già grandi".

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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