La Jornada - Mercoledì 15 febbraio 2006
Siamo di disturbo per i ricchi, per questo ci vogliono togliere tutto, dice il delegato Zero
Il popolo totonaco è la prova dei disastri causati dal neoliberismo

HERMANN BELLINGHAUSEN - INVIATO

Ixtepec, Pue., 14 febbraio - "Il popolo totonaca, come tutti i popoli indigeni dell'America Latina, ha sopportado ed aspettato attivamente questi momenti che rimangono del sole che muore nell'ultima tappa dell'oscurità. "Il sistema neoliberista capitalista si fa sentire qui in un modo molto pesante nelle case totonacas", dice Hermelindo Pérez nell'atto pubblico dell'altra campagna celebrato oggi sulla punta solitaria di una collina sulla quale sono saliti circa 200 indigeni delle regioni vicine a Huehuetla, nel sierra nord di Puebla, accompagnando il subcomandante Marcos.

"Le politiche escludenti del governo di turno ci hanno permesso di continuare a vivere in stretto contatto con la natura e quindi hanno rafforzato i nostri popoli, esclusi anche dall'inquinamento ambientale che debilita quelli che vivono nelle città e che si rendono conto che col processo di globalizzazione i nostri popoli continuano a vivere felici sulle loro montagne. Per questo motivo cercano di distruggerci".

Idee come queste, paradossali ed originali, caratterizzano il sorprendente incontro delle organizzazioni aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona col delegato Zero su di un alto balcone naturale nel Sierra Madre Orientale, ai cui piedi si aprono le terre di Totocapan in tutta la sua vastità.

La "nostra lotta di oggi non deve incentrarsi nella lotta in alto, ma nella lotta per l'unità del popolo totonaco. Che PRI, PAN, PRD, Convergenza e PT bisticcino fra di loro, è il potere delle porcate. Siamo quelli che abbiamo un potere diverso, un potere che include, un potere che condivide, un potere degno, un potere del popolo".

Al suo arrivo, il delegato Zero è stato ricevuto da uomini e donne di Ixtepec con bastoni fioriti decorati con buganville viola e cempasúchiles, che da lì l'hanno accompagnato a piedi fino alla collina dove si è celebrata la riunione, a tre chilometri dal centro dell'abitato.

Nel suo discorso che fluirà lentamente, essendo tradotto alla lingua totonaca frase per frase, il delegato zapatista descrive ciò che succede attualmente "come se si trattasse di una nuova guerra di conquista, ma questa volta non si salva neanche un angolo dall'attacco". La sintonia tra le parole di Marcos e quelle dei successivi interventi è forte.

"I ricchi ed i potenti vogliono tutto e lo vogliono subito. Noi come popoli indios siamo di disturbo per loro, per questo ci vogliono togliere tutto, perfino la vita", prosegue il subcomandante Marcos. Alle sue spalle ondeggia una piccola bandiera nazionale con le montagne e le valli intorno, dando un eloquente quadro della patria nel posto dei totonakús.

Marcos menziona il mandato che porta da parte dei comandanti zapatisti: "Dì al totonaco, mi hanno detto i miei capi che se quei ricchi e potenti vincono non avremo più una patria, non avremo più popoli indios, perderemo tutto ed entreremo per sempre nella notte del dolore e del pianto.

Mi hanno detto: domanda al totonaco se ama queste terre, questo suolo che si chiama Messico. Se risponde di sì con la sua storia, come popoli indios che siamo, che si unisca a noi. Non solo più con gli zapatisti, ma anche con operai, contadini che non sono indigeni, donne, giovani, bambini, anziani, insegnanti, studenti, impiegati, autisti, pescatori, con tutta la gente che lavora in questo paese ed a cui stiamo domandando se vuole lottare per la nostra patria che è il Messico.

Dì al totonaco che non stiamo pensando alla lotta armata, ma al contrario, ad una lotta pacifica però non più soli. Uniti, possiamo sconfiggere colui che vuole distruggere la nostra terra.

Sono venuto al popolo dai tre cuori, sono salito con voi alla sua parte alta, ho visto il dolore e la ribellione che ci sono nelle nostre terre ed allora vi domando, compagni e compagne, se è bene che mettiamo in questa bandiera verde, bianca e rossa con l'aquila che sta divorando un serpente, anche i tre cuori che camminano con voi, e li mettiamo insieme agli operai, ai contadini ed a tutta la gente che lotta perché questo paese cambi, davvero, perché finisca il sistema capitalista che è quello che ci tiene inqueste condizioni
".

Miguel, rappresentante dell'organizzazione anfitriona, Rete Seme Nuovo, ha dato "un messaggio solidale alle basi di appoggio dell'EZLN" e celebrato l'incontro "di noi che sogniamo un mondo più giusto" e richiamato "a tessere un potere più giusto, dal basso". Descrive Totonacapan come una "terra storicamente ribelle con la gente di fuori che sfrutta la regione totonaca e nahua".

Maricela, dell'Organizzazione Indipendente Nahua de Ayatosco de Guerrero, descrivendo la lotta per migliorare le condizioni di produzione e commercializzazione dei contadini, spiega: "siamo ormai stanchi dello sfruttamento e siamo contro alla politica faziosa del caciquismo e del potere".

La Centrale delle Organizzazioni Contadine e Popolari dei nahuas della sierra (Cocyp), spiega che si è organizzata in una cooperativa ed in una società di produzione rurale per rafforzare i produttori di caffè, pepe, mais e vaniglia, per fermare l'emigrazione dei contadini verso le città, e dice che vuole costruire "una rete regionale che spera di arrivare essere nazionale, insomma una grande organizzazione".

Concluso l'atto, il delegato Zero ha sostenuto una riunione con le organizzazioni, alla quale si è permesso l'accesso alla stampa solo un momento e dopo è proseguita a porte chiuse, dentro un edificio in costruzione. I rappresentanti indigeni hanno parlato di un'autonomia "che deve essere totonaca, senza che smettiamo di essere messicani", che ha bisogno di sviluppare "una sua propria produzione, una propria autonomia politica". La Rete Seme Nuovo così definisce la sua idea: "Non vogliamo un'autonomia che non abbia rapporto col governo, ma che abbia una relazione diversa".

Da parte sua, un rappresentante dell'organizzazione indio totonaco Lhtakat-Zipi, a voce quasi bassa e con una grande modestia, ha spiegato: "sono convinto che il capitalismo è finito" e riferisce che la sua organizzazione "è sorta dalla povertà". Racconta la storia senza fine di indigeni che avevano chiesto dei prestiti quattro anni fa per coltivare caffè, e non hanno ricevuto nessuna risposta, nonostante che queste siano terre eccellenti per il caffè di altura. "Il governo ci ha attaccato e diviso. Siamo meno, perché la gente si dispera. Ixtepec è uno dei municipi più emarginati".

E fa un esempio: "solamente in gennaio scorso sono morte qui otto donne per malattie e per debilità, erano senza cure", per concludere poi con una certezza: "Il capitalismo sta scavando la propria fossa, perché ha creato più povertà che ricchezza".

Hanno parlato anche alcuni promotori e ricercatori non indigeni che lavorano nella regione. Uno ha detto al delegato Zero che da queste parti ci sono stati ripetuti casi di organizzazioni "praticamente smantellate dalla repressione".

Infine, un ricercatore del collettivo Joel Arriaga commenta che il suo gruppo ha studiato 21 municipi di Totonacapan e che ha riscontrato povertà, divisioni a causa dei partiti e delle religioni, ma soprattutto a causa dei programmi governativi.

(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)

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