il manifesto 14 novembre 2006
Messico
«Dialogo sì, ma Oaxaca resta sulle barricate»
Parla Flavio Sosa, leader della rivolta degli insegnanti

Gianni Proiettis - Claudio Albertani - Oaxaca

Corpulento, barbuto, con i capelli lunghi, Flavio Sosa è forse il più noto dirigente della Appo, la Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca. Sicuramente il più visto in televisione. Quarantenne, prototipo perfetto del «compagno», si dichiara di discendenza contadina ed è originario di San Bartolo Coyotepec, un paesino di ceramisti vicino a Oaxaca famoso per i suoi oggetti in argilla nera (e per ospitare il «governo in esilio» del governatore contestato Ulises Ruiz).

Flavio Sosa non ha solo il dono di convincere le assemblee - «non sempre», ride lui - ma anche quello di unire l'azione alle parole. Malgrado i vari mandati di cattura che pendono sulla sua testa e le continue minacce dei sicari del governo, non c'è manifestazione in cui non stia alla testa del corteo. Nella storica battaglia dell'università, il 2 novembre, lo si è visto dribblare i lacrimogeni con l'agilità di una ballerina.

All'appuntamento davanti all'ex-convento di Santo Domingo arriva vestito di nero blackblock.

Come è nata la Appo?

Fin dall'epoca preispanica, esiste in Oaxaca una grande tradizione di assemblee. Nelle comunità, l'assemblea popolare è la massima autorità. La Appo nasce con la pretesa di essere l'assemblea delle assemblee, come fra gli zapotechi, i mixtechi, i mixe e gli altri popoli originari dello stato. Nasce, dopo la brutale repressione di giugno contro il movimento degli insegnanti, come un esercizio di democrazia partecipativa.

E' vero che la Appo è formata da più di 350 organizzazioni?

Sì. Sono centinaia e ci sono componenti molto diverse. Abbiamo appena tenuto il nostro primo congresso per darci una struttura organica e una maggiore solidità, con una piattaforma di principi. All'origine, la Appo è stata una risposta popolare all'aggressione scatenata contro gli insegnanti e la ricerca di un obiettivo comune, che è la caduta del governatore del Pri Ulises Ruiz. In seguito, è maturata l'idea di batterci non solo per abbattere il governatore, ma per cercare di trasformare la struttura giuridica del nostro stato, per riformare le leggi vigenti, costruendo le basi di una nuova relazione società-governo. Questo è uno dei binari su cui corre la Appo. L'altro è quello delle mobilitazioni, che l'hanno trasformato in un movimento pacifista, ma che ha avuto la capacità di rispondere ad aggressioni come quella della Policia Federal Preventiva.

Come si è formata la sua direzione e in che relazione sta con la base?

La direzione è emersa da un'assemblea generale, in giugno. Ê una direzione che chiamiamo «collettiva provvisoria». Nel congresso le abbiamo dato un carattere più definitivo. Vi sono rappresentate sia le diverse regioni che le organizzazioni più attive nel movimento, perché di fatto ci sono differenti livelli di partecipazione. Alcune organizzazioni sono ubicate in regioni lontane e in quei casi non è facile rimanere permanentemente in città. La popolazione dello stato è molto dispersa geograficamente, per arrivare dalla costa ci vogliono 10 o 12 ore di viaggio, lo stesso per raggiungere alcune regioni della sierra. Stiamo lavorando per far arrivare la Appo a tutte le comunità.

Che vi aspettate dal dialogo inziato qualche giorno fa nell'ex-convento di Santo Domingo?

Pensiamo che è uno spazio importante, che aiuterà a trovare un cammino verso la pace e la riconciliazione. Ma non abbandoniamo il terreno della mobilitazione popolare, su cui continuiamo a premere con forza. Abbiamo anche avanzato una proposta di dialogo diretto con il presidente Fox ma esigiamo che i nostri prigionieri siano posti in libertà e che se ne vada la Policia federal preventiva. La soluzione del conflitto passa per la destituzione di Ulises Ruiz e gli accordi da prendere per trasformare Oaxaca.

Non credete che se il Pri toglie Ruiz può mettere un altro personaggio simile?

Non è possibile, gli oaxaqueños non lo permetterebbero e il governo lo sa.

È stata una scelta precisa quella di non utilizzare armi?

Abbiamo detto alla gente di non usarle. Ma non rinunciamo al diritto all'autodifesa.

Quali sono i rapporti fra la Appo e la sezione 22 del sindacato degli insegnanti, che ha firmato un accordo con il governo?

Ci piaccia o no, abbiamo l'obbligo di rispettarlo e lo faremo. Sappiamo che gli insegnanti non tradiranno il movimento.

Chi vorreste sedesse al tavolo dei negoziati?

Organizzazioni, intellettuali, imprenditori e tutti quelli interessati a trovare soluzioni ai problemi di Oaxaca. Non vogliamo un dialogo bilaterale ma multilaterale. Che riformi un regime che sa solo fabbricare poveri.

C'è stato un momento in cui la Appo ha avuto il controllo politico della città...

Alcuni sono arrivati a chiamarla «la Comune di Oaxaca». A fine agosto si arrivò a pensare a una sorta di governo popolare. Però considerammo che era un processo che, una volta avviato, sarebbe stato difficile fermare. C'era un settore che stava portando avanti un discorso troppo radicale, che avrebbe finito per escludere altri settori. Noi siamo per una ripresa della vita istituzionale da un punto di vista legale trasformando le leggi. Vogliamo fare un movimento riformatore che risulti rivoluzionario grazie alla profondità delle riforme. La via è quella di riformare la vita giuridica e arrivare al potere attraverso la mobilitazione e la democrazia diretta e partecipativa.

Vi trasformerete in un di partito politico?

Ascolteremo ciò che dirà la base. Non sappiamo ancora in che direzione andrà il movimento.

È vero che ci sono mandati di cattura per l'intera direzione della Appo?

È vero, sembra che siano più di 300 mandati di cattura e un nuovo mandato di perquisizione pronto per Radio Universidad. La repressione è stata permanente e brutale. Ruiz ha fatto del terrore una pratica politica. Usando sia la polizia sia i sicari. E anche i giudici. Cercano perfino di vincolarci con la guerriglia o il narcotraffico.

Come pensate di articolare la vostra lotta con gli altri due grandi movimenti che esistono in Messico, zapatisti e Lopez Obrador?

Qui a Oaxaca, Amlo ha stravinto. È triste ammetterlo ma la nostra priorità è risolvere la situazione di Oaxaca. Ruiz ha lacerato fortemente il tessuto sociale. Viviamo in una situazione di emergenza, dobbiamo risolvere la situazione locale. Questo però non vuol dire che ci disinteressiamo della problematica nazionale.

Una delle critiche che vi fanno è che vi accontentereste della caduta del governatore, quando anche Felipe Calderón è un usurpatore, prodotto di una frode.

È vero, ma quella è una lotta che riguarda tutto il Messico. Qui la gente non è scesa in strada perché la Appo sia la avanguardia del movimento nazionale, l`ha fatto per risolvere il conflitto locale, non per una guerra popolare prolungata.

Anche gli altri movimenti sono pacifici...

Vari gruppi dell'Appo partecipano a la Otra campaña zapatista e alla Convención Nacional Democrática di Lopez Obrador. Ma quello che più vuole la gente di qui è che a Oaxaca torni la normalità. Sono sei mesi che dura questa storia ed è molto logorante. La gente non è scesa in strada per fare la guerra. Sono quelli del Pri che sta trasformando questa lotta in una guerra. Praticamente siamo sotto un esercito di occupazione, noi che abbiamo una vocazione pacifista. Quello di Oaxaca è un popolo di feste.

logo

Indice delle Notizie dal Messico


home