il manifesto 14 novembre 2006
La militarizzazione di un conflitto politico
Ana Esther Ceceña - La Jornada

Come in Iraq si aspetta il Ramadan per sferrare attacchi militari, cercando di approfittare del rilassamento della resistenza, a Oaxaca il giorno dei morti con i suoi riti e la smobilitazione generale per una lunga festività è stato il momento prescelto per impadronirsi dell'università, considerata dai comandi militari, dopo l'occupazione dello Zócalo, il bastione principale delle attività della Appo.

Il trattamento del conflitto, che era riuscito con molte difficoltà a mantenersi in un ambito politico, ha registrato, da quando il 28 ottobre è arrivata la Polizia federale, un vertiginoso spostamento verso l'ambito militare. La intelligence militare, sotto il comando del Cisen, il Centro de Investigación y Seguridad Nacional, si incarica di Oaxaca a partire dagli «incidenti» che causarono, fra gli altri, la morte del giornalista Usa Bradley Will. Una disputa politica si converte così in una questione di sicurezza nazionale, per cui vengono disegnate operazioni di guerra.

L'operazione messa in atto viene definita dal ministro degli interni come «di occupazione» e vi lavorano la Pfp e la Afi, la Agencia Federal de Investigaciones omologa della Fbi Usa, mentre la marina e l'esercito si mettono in stato di allerta.

Il primo obiettivo era lo smantellare delle posizioni nello Zócalo e la disattivazione dei mezzi di comunicazione con cui la popolazione di Oaxaca comunicava tra sé e con il mondo.

Però, così come in Iraq l'operazione chirurgica progettata dal Pentagono fallì, anche qui la presa dello Zócalo non ha fatto che provocare solo lo spostamento fisico di quello che non è mai stato un gruppo di dirigenti ma tutto un popolo mobilitato. Le sedi della Appo si sono spostate, creando una specie di cordone intorno allo Zócalo che ha richiamato l'immagine degli accerchianti accerchiati.

L' obiettivo successivo dell'operazione militare, il giorno dei morti, era il campus universitario, in cui, dopo le offensive contro gli altri mezzi di comunicazione in mano alla Appo, continuava a funzionare Radio Universidad.

Un altro obiettivo fallito perché le autorità universitarie con il rettore alla testa si sono schierate a difesa del buon senso, della democrazia e dell'autonomia universitaria, e l'attacco è stato respinto. Gli oaxaqueñi dentro e fuori l'università hanno dato una battaglia non prevista dallo stato maggiore e Radio Universidad ha tenuto il mondo informato degli eventi, permettendo anche di articolare l'appoggio nazionale e internazionale.

Difficile momento per il passaggio di poteri in Messico: la lotta del popolo di Oaxaca sta permeando tutto il paese perché in qualunque luogo non mancano le cause; l'esperienza comunitaria si riproduce in ogni regione; il presidente uscente ha smesso di governare; il presidente entrante, prodotto della frode, manca di legittimità.

Le pressioni degli Stati uniti e degli organismi internazionali su un presidente emanato dal processo elettorale più questionato, da quando si esiliò dal paese Porfirio Diaz nel 1910, provocano un evidente nervosismo nelle alte sfere della politica nazionale che si esprime in ricatti, accordi sotterranei e passi falsi. La militarizzazione della frontiera nord chiude molte valvole di sfogo e il 1º dicembre, data del passaggio di poteri, si avvicina come una spada di Damocle, mentre Fox preferisce abbandonare il paese alla sua sorte e vorrebbe andare in tournée all'estero.

Momento difficile, ma buono per partorire un'altra storia. Quella espressa dalle comunità del Chiapas, quella di cui oggi i popoli di Oaxaca sono protagonisti, contagiando tutto di dignità e speranza.

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