La Jornada - Lunedì 13 marzo 2006
Andrés Barreda *
Crisi dell'acqua?

La crisi dell'acqua è reale e grave. È la grave graduale perdita di una risorsa non più rinnovabile. Una perdita allarmante della capacità di accesso delle comunità a questo bene. Perfino in regioni che fino a non molto tempo fa ne avevano in abbondanza, come il Chiapas. Perdita per siccità, unita alla sovrabbondanza distruttiva, e perdita per inquinamento e degrado galoppante della qualità dell'acqua. La sua ingiusta distribuzione si somma a quanto detto sopra come uno dei problemi più gravi.

Anche così, pensare che siamo di fronte ad una semplice "crisi dell'acqua" è una trappola perché in realtà siamo di fronte alla "crisi capitalista dell'acqua". Risultato della predazione, frutto della persecuzione di profitti infiniti e della produzione industriale massiccia, della sovrappopolazione che necessariamente richiede manufatti, della crescita selvaggia delle città e della predazione di acqua della rivoluzione verde, come sostentamento dello sviluppo industriale, demografico ed urbano. Consumo distruttivo di acqua che esplode nel neoliberismo in virtù dei modelli antiambientali selvaggi di questo modello di accumulo.

In verità, il capitale mondiale è preoccupato per il grave stato di distruzione in cui si trova la base idrica della sua ricchezza planetaria. Ma è anche infastidito per il fatto di doversi assumere in qualche modo il processo di riproduzione della vita umana e naturale a lungo termine. Cosa che durante il baccanale del neoliberismo ha completamente dimenticato. La sua collera si spiega perché tale crisi mostra innanzi tutto l'incapacità del capitale di assicurare lo sviluppo della vita.

Ma l'arrabbiatura, combinata al senso di opportunità che caratterizza le imprese e la paranoia dei poteri politici, si tramuta in un impulso privatizzatore dell'acqua dolce e della biodiversità del mondo, così come in una furia geopolitica per il controllo della risorsa. Apprensione sostenuta dalla pulsione per la manipolazione tecnico-scientifica, come neutralizzazione e masceramento delle catastrofiche distruzioni ambientali e della salute accumulate nel XX secolo.

Quando Alberto Cárdenas, ex segretario dell'Ambiente, minacciò i messicani avvertendoli che avremmo pagato l'acqua fino alle lacrime, espresse, forse senza saperlo, la collera storica che il capitale nutre verso se stesso, ma nella maniera trasfigurata di rabbia paterna di impresario tecnocrate contro gli ignoranti che non capiscono la necessità di privatizzare il servizio.

L'energia che il capitale potrebbe usare autocriticando la sua propria rotta, la dilapida e la occulta come antipatia contro coloro che difendono l'acqua come bene comune e come irritazione contro chi esige il rispetto dell'ecosistema in base ad un principio di precauzione e contro l'introduzione precipitosa di scienze e tecniche rischiose, che già sono screditate a livello mondiale, si tratti delle dighe di sbarramento, o delle innovazioni tecniche di attuali panacee come l'ingegneria genetica e la nanotecnologia.

Dopo vari secoli di saccheggio e di sviluppo selvaggio del pianeta, l'ira che il capitale sente per il caos creato nelle sue propria fondamenta idriche e biologiche, non può che apparire agli occhi dell'umanità come la necessità di autocritica del mondo materiale da lui creato, perché tale civilizzazione, risultato della dittatura del mercato, della scienza e della tecnologia, è sacra e non può essere messa in discussione. Per questo si può parlare solo di crisi mondiale dell'acqua.

Gli obiettivi generali del Quarto Forum Mondiale dell'Acqua sono la preparazione ideologica dei capitali e della popolazione in vista della monopolizzazione privata della risorsa, il coordinamento di molteplici espropri rurali ed urbani in vista del controllo dell'acqua, l'articolazione degli investimenti e delle politiche idriche con le nuove legislazioni di ogni Stato nazionale e lo sviluppo tecnico di punta nel controllo della risorsa.

Il problema peggiore dell'attuale crisi dell'acqua è il modo in cui le imprese multinazionali, governi ed istituzioni globali pretendono di risolverla. Senza criticare le tecniche e le politiche economiche ed idriche che rispondono a dinamiche nelle quali imprese e stati si gonfiano di profitti e di potere; senza tenere seriamente conto delle forme collettive e democratiche, tradizionali o nuove, di riprodurre ed ottimizzare tecnicamente, senza monopolizzazione alcuna, l'utilizzo dell'acqua.

* Direttore del Centro di Analisi Sociale, Informazione e Formazione Popolare (Casifop)

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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