La Jornada - 11 luglio 2006
Pablo González Casanova
Questa non è democrazia

Se ragioniamo e parliamo con esattezza possiamo dire che questa non è democrazia. Al massimo è un percorso in cui se il popolo si organizza e lotta pacificamente in difesa del suffragio effettivo, può ottenere che si ammettano le irregolarità nelle elezioni del 2 luglio e che queste siano riviste e perfino annullate. Più difficile sembra che tutto si chiarisca in modo da fugare ogni dubbio su López Obrador come candidato vincitore, e che questo sia accettato da PRI e PAN, dalla Presidenza della Repubblica, dalla Confindustria e dalle antiche e nuove metropoli di Washington e Madrid, con potenti alleati e subordinati, e con i "media di massa" che avevano già proclamato la sua gloriosa vittoria.

Le elezioni del 2006 non sono delle "elezioni di Stato" come le precedenti, ma sono il nuovo tipo di elezioni dello Stato-Mondo, transnazionale ed emergente che conta tra i suoi "punti nodali" o collaboratori associati e subordinati, numerosi stati e regimi politici delle metropoli e delle periferie.

Tutti gli stati e regimi politici del mondo dal 1972-80 (da Pinochet, Reagan e la Thatcher) sono in un processo di destrutturazione e ristrutturazione funzionale. L'obiettivo finale del nuovo modo o modello di dominazione ed accumulazione è ottenere qualcosa che combina il funzionale con la dialettica e con il pratico, e che i nuovi "esperti" chiamano "governanza". Per "governanza" intendono l'arte di costruire stati, governi ed elezioni funzionali allo Stato Transnazionale emergente, il quale integra i complessi imprenditoriali-militari che lo creano per assicurare la sua dominazione ed accumulazione. La "governanza" diventa effettiva con "strategie a lungo termine" che si applicano tra lotte, scontri e negoziazioni, scegliendo con senso pratico le misure che si adottano in un determinato momento e luogo per raggiungere gli obiettivi dei suoi "valori ed interessi" in forma immediata, o in varie tappe, quando sia necessario.

Dunque, è un errore pensare che l'elezione di López Obrador sarebbe più funzionale per i ricchi ed i potenti, perché se questi possono, imporranno Calderón che apertamente e reiteratamente promette di dare loro tutto quello che chiedono.

Inoltre, López Obrador preoccupa per il tipo di promesse ed appoggi popolari di cui gode e che non pochi di loro ritengono contrari ai loro interessi, perché "pensano che il Messico - a detta di un analista del Financial Times - svolge una funzione vitale per l'apparato industriale degli Stati Uniti come fonte di lavoro a buon mercato, essenziale per mantenere la sua competitività, specialmente nei settori dell'agricoltura".

Lo stesso analista avverte che molti sondaggi rivelano la paura che AMLO possa essere un altro Chávez o un altro Evo Morales, e sostiene che hanno persino calcolato che il risparmio con cui AMLO assicura di finanziare il suo programma sociale non combacia con i loro calcoli, perché anche un taglio "drastico" dei salari del 50% dei funzionari medi ed alti non produrrebbe i 9 miliardi di dollari necessari. Questa è solo la preoccupazione che egli realizzi il suo programma e quindi colpisca i loro interessi; ma ce ne sono molte altre. [Vedere: Financial Times, 30/6/2006]

Nello stesso tempo, la "sinistra" (in senso molto ampio), è divisa. Una parte importante ritiene che il progetto di López Obrador sia insufficiente e che la composizione del fronte che ha formato renda impossibile che egli possa mantenere le sue promesse, data la sua politica di alleanze con forze che hanno partecipato alla controriforma del diritto agrario nei regimi precedenti, che al presente hanno respinto la legge sui diritti dei popoli indios e che hanno approvato all'unanimità la ley Televisa, con la quale hanno consegnato il controllo della comunicazione alle grandi imprese dei media, mentre membri del PRD che governano nei municipi dove ci sono popoli indios usano gli stessi metodi repressivi del PRI.

Un'altra posizione nella sinistra (ampia), tra i "grandi intellettuali", numerosi operai e quadri sindacali e rappresentanti genuini dei popoli ed ejidos, insegnanti e studenti, impiegati, emarginati urbani e semiurbani, piccoli proprietari, lavoratori della cultura e dei media (ed è, senza dubbio, la parte maggioritaria quando si mostra e non si mente sui suoi numeri nelle strade e piazze del Messico) è quella che appoggia López Obrador nel processo elettorale e crede che AMLO sia un grande governante, e che "manterrà le sue promesse al popolo".

Quando si pensa nei termini di una sinistra o forza civica, operaia, contadina e popolare ampia, si osserva che le organizzazioni dei popoli e dei movimenti sociali autonomi dai partiti politici non hanno ancora la forza necessaria per realizzare una politica che sia nello stesso tempo funzionale e flessibile, pratica o di breve termine e strategica o di lungo termine.

Questa è la sua principale debolezza. Sembra quindi necessario esortare a far sì che la loro maturità li porti ad unirsi nell'esigenza di far rispettare il voto, come hanno fatto quando c’è stato bisogno di non tergiversare e non far manipolare le leggi e le istituzioni quando il governo aveva tentato di esautorare López Obrador.

Oggi chiaramente tutta la sinistra deve prendere provvedimenti dagli effetti pratici ed immediati, in modo che ci siano sempre più persone a costruire tanto una politica di breve quanto di lungo termine e che, senza dimenticare i principi né scendere a patti con questi, mostri pubblicamente la sua fermezza e morale nella reale difesa della lotta legale e pacifica dei popoli, dei cittadini e dei lavoratori del Messico.

È una questione di vita o di morte la flessibilità nelle posizioni che prenderanno le sinistre ed i movimenti più o meno progressisti o radicali, con decisioni e progetti che mostrino contemporaneamente la loro fermezza e tenacia nella lotta per rispettare e far rispettare la loro identità per costruire un'alternativa di democrazia con pluralismo ideologico e religioso, nell’autonomia dei popoli e delle nazioni, e con un progetto anticapitalista che ponga termine al colonialismo cibernetico escludente e rapace con cui i complessi militari-imprenditoriali vogliono fondare la loro "governanza" mentre scatenano la "politica sporca" ("dirty politics") ed il massimo terrorismo di Stato (di uno Stato multinazionale), mediante la guerra di varia intensità, aperta e occulta, formale ed informale, le cui azioni di distruzione di popoli come quelli di Afghanistan, Iraq, Palestina sono tanto evidenti quanto cinica ed autodistruttiva è la forma con cui portano avanti la lotta contro Cuba ed Iran, che solo per una mente malata non implica una situazione mondiale sul filo della "Assicurata Mutua Distruzione" ("Mad" è la sigla in inglese di "mutual assured destruction" e sinonimo di "pazzia" in questa stessa lingua).

La necessità di fermare queste minacce e molte altre si conferma quando un altro pericolo della nuova guerra si delinea con l'immenso blocco Corea del Nord, Cina, Russia, Pakistan e molti altri paesi che possiedono armi nucleari e centinaia e centinaia di sottomarini atomici che senza dubbio si preparano a rispondere con tutta la loro potenza in uno scenario di insensatezza che farebbe di questa nuova guerra mondiale del capitalismo corporativo la più miserabile conclusione della storia umana.

Il Messico ha una posizione geopolitica che gli permette di influire a livello universale imponendo le forme legali di lotta ed il diritto di organizzarsi pacificamente per raggiungere obiettivi sempre più profondi.

Per questo le diverse posizioni di chi lotta per una vera democrazia, libertà e giustizia sociale - come l'altra campagna ed i suoi aderenti - in questo momento devono impedire che si violi il voto popolare, e se crediamo che López Obrador ha vinto, dobbiamo dirlo pubblicamente, come ha fatto il Delegato Zero degli zapatisti.

Raggiungere questa prima vittoria mantenendo la piena autonomia per continuare a lottare, ognuno "a suo modo" di pensare e sentire, non impedirà ovviamente che ognuno speri di contare su più movimenti sociali, di popoli, cittadini, lavoratori intellettuali e manuali, di medi e piccoli imprenditori, e perfino alcuni non tanto piccoli, che con la sopravvivenza del Messico difendano la vita e la libertà, così come il diritto di dissentire e discutere tra sostenitori di uno stesso ideale.

Se il ragionamento precedente sembra pura retorica o mera "opinione", non lo è. Corrisponde ad una sollecitazione pratica che possiamo rendere efficace. Affermare la nostra identità personale e di gruppo e la nostra solidarietà nelle differenze, permetterà di costruire l'alternativa di un mondo possibile e necessario.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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