Centro dei Diritti Umani "Miguel Agustín Pro Juárez"
L'ejidatario racconta come è scappato dalla polizia
Saúl Ríos respinge le accuse di sequestro

JESÚS RAMIREZ CUEVAS - 11 maggio 2006

Perseguitato politico dopo i fatti di Atenco, Saúl Ríos Romero - distaccato attivista del Fronte dei Popoli in Difesa della Terra (FPDT) - smentisce le accuse contro i suoi compagni di sequestro e delinquenza organizzata. Dal suo rifugio, parla con La Jornada.

Alcuni giorni fa, la sua famiglia lo ha dichiarato desaparecido dopo l'entrata dei poliziotti statali e federali nel paese di Atenco il 4 maggio. Ríos quel giorno è stato fermato ma poi è scappato miracolosamente dalle mani dei suoi persecutori.

Falegname di mestiere, era incaricato del sonoro nella piazza al momento dell'entrata dei poliziotti. Quando il subcomandante Marcos ha visitato Atenco lo scorso 25 aprile, Ríos era l'addetto all'organizzazione del contingente a cavallo che gli ha dato il benvenuto, definito dal leader insurgente: "il settimo battaglione di cavalleria dell'EZLN".

Gli arrestati in Atenco, incarcerati nelle prigioni di La Palma e Santiaguito, sono stati accusati, tra il resto, di sequestro per aver trattenuto funzionari pubblici.

Riguardo a questa accusa, Saúl Ríos spiega che l'8 aprile scorso i membri del FPDT avevano un appuntamento col segretario di Educazione Statale, Isidro Muñoz, per trattare vari problemi in relazione alle scuole del municipio.

"Il segretario si era impegnato a incontrarsi con noi, ma non è arrivato. Cosicché abbiamo deciso di aspettarlo fino a che si fosse presentato. Il governo ci prende sempre in giro. Restiamo così quattro ore nella delegazione di governo di Texcoco insieme a vari funzionari minori. Invece di arrivare il segretario, sono arrivati circa 500 granatieri [celerini]. Dicono che abbiamo sequestrato dei funzionari, ma non è vero. Loro stessi ci avevano detto che il segretario sarebbe arrivato, ma non è mai arrivato. Volevamo appoggi per le scuole del paese che stanno crollando per la disattenzione del governo. Hanno già demolito due sedi ed i padri di famiglia pagano i portinai ed il mantenimento", racconta.

"Non potevamo andarcene. Eravamo circondati dai granatieri. Allora abbiamo concordato che avremmo parlato il giorno dopo col segretario, ma quando arriviamo l'indomani era tutto chiuso; erano andati via in ferie. Il governo ci prende sempre in giro".

Sul problema dei fiorai che ha scatenato la violenza, Ríos dice che "non aveva senso usare la forza pubblica, perché c'era già un accordo firmato col presidente municipale. L'accordo era che i fiorai potevano vendere nel mercato solo i giorni di maggior vendita, come il 3 maggio, il 10 maggio ed il 12 dicembre, ma l'hanno ignorato e hanno buttato loro addosso la polizia.

È stato tutto un pretesto per attaccarci
- segnala -. Ci accusano di sequestrare poliziotti, ma noi del FPDT non li abbiamo mai picchiati né maltrattati. Abbiamo curato quelli che erano feriti. Li abbiamo protetti dalla gente che era arrabbiata per la morte del ragazzino. Siamo esseri umani, non siamo assassini".

Come è scappato dalla polizia

Ancora con i segni dei colpi in testa, sui gomiti, sulle ginocchia e sui testicoli, Saúl Ríos racconta come è scappato dalla polizia il 4 maggio.

"Stavo nella piazza di Atenco. Quando hanno suonato le campane della chiesa stavano già arrivando i poliziotti. Gridavano: 'dobbiamo farla finita con tutti loro, bisogna pestarli tutti!'. Abbiamo cercato di resistere, ma ci hanno disperso. Quelli che beccavano li picchiavano con accanimento. I poliziotti sembravano drogati, con lo sguardo perso.

Mi sono nascosto tra le case di fronte alla piazza. Quando mi hanno beccato, mi hanno picchiato in vari fino a che qualcuno ha gridato: 'ci sono le telecamere, mollatelo!'. Stava filmando un cameraman di Tv Azteca con passamontagna.

Con la maglietta tirata su che mi copriva la testa mi hanno portato via. Nel tragitto ho visto gente a terra, inerte, senza scarpe, ricoperta in sangue; ho pensato che fossero morti. Ci hanno fatto passare tra due file di poliziotti che ci hanno picchiato a calci e con i bastoni su tutto il corpo. È stato così duro che ho pensato che non sarei arrivato alla fine.

Ci hanno buttato su di una camionetta, uno sopra l'altro. Sanguinavo dalla testa e due poliziotti sono saliti su di me per pestarmi meglio. Ci hanno portato agli autobus che stavano al confine del paese. Ci hanno messi in fila e quando sono arrivati degli altri detenuti c'è stata confusione perché stavano picchiandoli. Io sono rotolato sotto l'autobus e mi sono tirato in piedi all'altra parte. Ho incominciato a correre fra i campi, non so come. Con la disperazione ed il terrore sono scappato nascondendomi fra i cespugli...", la voce è tagliata dal terrore rivivendo quei momenti ed i suoi occhi si riempiono di lacrime.

"Ho trovato una persona che mi ha prestò il suo giubbotto per coprirmi. Sono arrivato in un altro paese vicino, dove gente che non conoscevo mi ha aiutato. In lontananza sentivo il rumore dell'elicottero che continuava a sorvolare le case, le grida e gli spari. Dopo varie ore sono riuscito ad allontanarmi e da allora sto fuggendo.

La polizia aveva con l'ordine di finirci, è stata una vendetta perché abbiamo impedito la costruzione dell'aeroporto", sostiene. Mi hanno dato "per desaparecido, ma sono un perseguitato politico.

Il nostro popolo è stato picchiato e le nostre donne violentate. Vogliamo che siamo puniti i responsabili. Non siamo violenti, è il governo che è arrivato ad aggredirci e ci siamo difesi. Il popolo è dolorante. Le ferite fisiche guariranno presto, il sangue sparirà dalle strade, ma non le ferite dai nostri cuori. Continueremo a lottare fino a che libereranno i nostri compagni", dichiara per finire.

(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)

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