La Jornada - Sabato 11 febbraio
Sarebbe una buona prova per la sinistra che sta in alto...
Marcos propone di lanciare un movimento nazionale a favore dei prigionieri politici
Critica il coordinamento statale del giro per avere provocato problemi e chiede di scioglierlo
HERMANN BELLINGHAUSEN - INVIATO
Oaxaca, Oax. 10 febbraio - Questa notte il subcomandante Marcos ha proposto alle organizzazioni civili di Oaxaca di lanciare una mobilizzazione nazionale per la liberazione dei prigionieri politici e la sospensione dei mandati di cattura contro gli attivisti sociali: “Da Oaxaca deve partire l’iniziativa per la libertà dei prigionieri politici, inclusa quella delle persone che sono in esilio. Facciamo un appello nazionale a tutta l’altra campagna per promuovere mobilizzazioni, chiedere la libertà di tutti e l’annullamento dei mandati di cattura”.
E ha commentato: “Dubito che qualcuno si possa definire di sinistra e non dire che i prigionieri politici devono uscire. Sarebbe una buona prova per la sinistra che è là in alto: presentate questa proposta al PRD. Sarebbe un bel modo per constatare se è o no di sinistra. Preparate un appello, lo possiamo scrivere insieme. Altrimenti, faremo la proposta organizzazione per organizzazione e vedremo chi aderisce. Pensiamo che se la faremo insieme, allora sì che scuoteremo il paese”.
A proposito dell’imminenza o no di un cambiamento nel paese, ha detto: “Se pensate che sia a lungo termine vi state sbagliando. E se pensate che il popolo stia aspettando voi per svegliarsi, vi sbagliate ancora. Cercate quindi di smettere di guardarvi allo specchio e di fare appelli all’unità che significano subordinazione, egemonia di qualcuno di coloro che lanciano l’appello... invece andiamo avanti con lo spirito dell’altra, compagni!”.
Davanti alle contraddizioni delle organizzazioni, ha dichiarato che in Oaxaca “c’è solamente un accordo in comune: quello di non entrare nella questione elettorale e di lottare insieme contro il capitalismo”.
Nel suo intervento, il delegato Zero ha criticato il coordinamento statale dell’altra campagna, che ha cercato di monopolizzarla o sequestrarla. Con riferimento a vari incidenti e contrasti provocati da alcune organizzazioni, specialmente la sezione 22 del Sindacato Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione, ha chiesto di sciogliere il coordinamento statale dell’altra campagna in Oaxaca, e di cominciare ad organizzarsi per i prigionieri politici, che è un tema lacerante e comune a tutte le organizzazioni locali.
Questa notte si è praticamente concluso (manca ancora una tappa a Tlaxiaco domani) il giro del delegato Zero (nel settimo stato visitato dall’altra campagna) con una plenaria in cui, per più di sei ore, hanno partecipato circa 90 oratori delle organizzazioni e molti singoli aderenti alla Sesta in Oaxaca. “La alterità siamo tutti”, ha detto un membro di un collettivo per la diversità sessuale. “Io sono degli altri”, ha aggiunto con un uso polivalente, ma non ambiguo, del termine.
Davanti alle contraddizioni, critiche, autocritiche e scuse che riflettono la complessità delle organizzazioni oaxaqueñas, una partecipante ha riassunto così al reporter i successi dell’altra campagna raggiunto qui: “Questa riunione è un trionfo, in mezzo alla frammentazione delle lotte e delle posizioni in Oaxaca. Un mese fa era inimmaginabile vedere riunita tutta questa gente come qui oggi. E questo è stato possibile solo grazie all’autorevolezza morale dello zapatismo”.
Aldo González, dell’Unione di Organizzazioni della Sierra de Juárez (Unosjo), ha fatto presente pure lui qualcosa di simile, mettendo in risalto che oltre agli errori ed alle diversità, le riunioni hanno aperto nuove possibilità ed il lavoro dell’altra campagna è appena cominciato.
La forza della comunità indigena
A Guelatao, davanti ai rappresentati indigeni della sierra, il subcomandante Marcos ha ricordato questo mercoledì gli accordi di San Andrés, firmati dal governo federale di Ernesto Zedillo e dal comando dell’EZLN nel febbraio del 1996. Ha raccontato a proposito dei precedenti dialoghi a San Andrés Sakamch’en de los Pobres: “Era qualcosa che faceva male, compagni e compagne, perché la maggioranza dei popoli indigeni stava lì seduta davanti al governo statale e federale discutendo se esistiamo o meno, proprio come dopo la Conquista si discuteva se gli indigeni avevano un’anima o meno, ossia se eravamo esseri umani o animali”.
Davanti ad un pubblico nel quale c’erano diversi leader indigeni, il delegato Zero ha detto: “Quello che successe allora, è che il governo si rese conto che in effetti esistevamo ancora e la sua reazione fu ‘ah, bene! ci siete ancora! vediamo allora come riusciamo a farvi fuori’. Ma quello che è successo da parte nostra, è che abbiamo incominciato a guardarci fra noi, a ascoltarci ed a fare accordi su come potevamo camminare insieme.
Il lavoro come popoli indigeni che avete fatto in Oaxaca per la difesa della vostra cultura, per l'ecosistema, per la vostra indipendenza politica e per la vostra autonomia è stata per noi una lezione che continuiamo ad imparare. Molti di noi che si sono sollevati dal giorno dell'insurrezione, lo devono a voi, alla vostra resistenza, alla vostra dignità e al progresso che avete fatto come popoli indios”.
Ha descritto ciò che è nato da allora: “Una grande disputa fra due modi di concepire il nostro paese e due modi di concepire il mondo. Uno, quello dei popoli indios, che veniva dai nostri antenati, dove la base è la vita comunitaria, la collettività. Nessuno in questo mondo capisce meglio dei popoli indigeni ciò che il lavoro collettivo è, perché sono nati così, così hanno affrontato l’invasore e così hanno resistito alle diverse guerre.
E dall’altra parte c'è un sistema che vuole dividere la società e la comunità tante volte quante sono le persone. E questo ha voluto dire per le nostre comunità e per i nostri popoli la divisione, il confronto e la morte di molti popoli; ma allo stesso tempo ha voluto dire che i guardiani hanno deciso di diventare più forti in ciò che ci fa forti, nella vita comunale”, ha aggiunto precisando che sono i popoli i guardiani del Messico.
“In tutti questi anni i ricchi e la classe politica che li serve, si sono rifiutati di riconoscere la nostra esistenza. Siamo un ostacolo per lo sviluppo dei loro piani ed il loro piano è quello di distruggere tutto nel modo più veloce possibile. La principale aggressione è rivolta verso la terra. Perché noi indigeni siamo fondamentalmente contadini e sappiamo che il nostro rapporto con la terra è speciale, non c'è soltanto perché ci dà da mangiare. La terra è anche le nostre radici e la nostra cultura. In lei riposano i nostri morti e la nostra storia. In lei esistimo e senza di lei non esistiamo.
Rimane soltanto la prospettiva di diventare delinquenti o di andarcene in un altro paese a cercare lavoro. L’avanzata del sistema capitalistico significa la distruzione totale dei popoli indios. Se lasciamo che questo succeda si otterrà quanto non riuscirono a fare i conquistatori e le varie potenze, di distruggerci come popoli indios.
Siamo popoli indios e non ce ne pentiamo. Ci rende orgogliosi e siamo disposti a tutto pur di non smettere di essere indigeni. Se nella guerra di Indipendenza e nella Rivoluzione abbiamo avuto il posto più duro, la prima fila in combattimento ed alla fine si sono dimenticati di noi, questo grande vento che trasformerà il paese non può lasciar in sospeso ancora una volta il posto dei popoli indios. Non può succeder che ancora una volta torniamo a sederci davanti a nuovi governi e torniamo a discutere se esistiamo o meno, se meritiamo o no un posto in questo mondo che noi abbiamo generato”.
Creiamo uno spazio
Ha quindi invitato: “Apriamoci noi stessi il nostro spazio nell’altra campagna, difendiamolo, conquistiamolo affinché alla fine di tutto questo (che sia un finale felice per tutti), non rimangano in sospeso un’altra volta i nostri diritti e la nostra cultura” ed ha avvertito: “Abbiamo bisogno di lavorare molto con questi compagni e compagne che lottano contro il sistema capitalista, ma loro devono anche capire chi siamo noi, imparare a rispettarci... e dobbiamo parlare molto con loro, dobbiamo spiegar loro molte cose e devono vedere molte cose che ancora non vedono... la nostra storia di lotta e la nostra esperienza che a volte gli sembra piccola, che a volte gli sembra povera ed a volte insufficiente”.
Poi ha aggiunto: “Verranno giorni difficili e gloriosi per questo paese ed il sangue scuro, quel sangue che ha dato la luce a questa terra, dovrà tornare a brillare e sarà quello che non tentennerà, quello che non si acconteterá di poco, quello che vorrà continuare ad andare avanti finché questo paese non sarà un altro paese. Stiamo chiedendo ai guardiani di Oaxaca, della cintura del nostro paese, di svegliarsi e di svegliare gli altri, i 77 guardiani, per sollevare di nuovo il paese.
Là, in alto, ciò che ci offrono sono elemosine, carità... forse il permesso di esistere o di venire perdonati per un po' per fatto di essere indigeni, ma tutto questo sistema è destinato a distruggerci. Qui rimarranno i boschi, rimarrà l’acqua, ma non ci sarà proprietà comunale, ci sarà proprietà privata. I bambini dovranno emigrare in un altro paese e dovranno pentirsi di essere indigeni, dovranno imparare un’altra lingua, dovranno vergognarsi del colore che abbiamo noi che siamo del colore della terra".
“Non possiamo permettere tutto questo. Noi non lo permetteremo”.
(tradotto da Elisa Puggelli)

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