La Jornada – Venerdì 10 novembre 2006
La comunità di Zacatecas afferma che le autorità appoggiamo i latifondisti
Il governo ha cercato di distruggerci, denunciano i caxcanes al delegato Zero
Vogliamo conservare i nostri costumi; il Procede è fatto per rubarci le terre
HERMANN BELLINGHAUSEN

Mesa de Palmira, Zac. 9 novembre - I caxcanes non vogliono morire. Quasi cancellati dalla carta geografica dai conquistatori succedutisi, dal genocida Nuño de Guzmán nel secolo XVI fino al Procede neoliberale del secolo XXI, ignorati nei censimenti, dimenticati dai governi del cambiamento federali e di Zacatecas, ora accolgono l'altra campagna ed il Congresso Nazionale Indigeno, il che prova che esistono ancora.

"Abbiamo sentito di quelle comunità, dove vive gente indigena più organizzata", dice il signor Rubén, di Tocatic. "Qui siamo tre comunità che sono una sola. Siamo divisi. Il governo dà poco per dividere. L'abbiamo detto ai governi che non abbiamo acqua. Viviamo davvero in povertà. Abbiamo sofferto. La polizia giudiziale è stata qui per un anno. Passava sparando raffiche di colpi. Spaventava. Ci umiliavano", ricorda, e ripete: "Abbiamo sempre avuto problemi".

Qui si produce mais, piselli, patate, avena, fave, zucche, racconta, riconoscendo che queste terre possono essere generose, ma che i fertilizzanti sono molto cari e non c'è accesso ai pozzi d'acqua. "La terra produce perché abbiamo un cielo che non sbaglia mai. È una sierra bella e ricca d'acqua. Quest'anno ci sono stati molti cicloni e piogge. Se avessimo avuto le risorse, avremmo seminato di più". Racconta che l'anno scorso è stato cattivo per la siccità. "Ma non c'è assolutamente governo in queste terre tanto lontane. In tutte le cose il governo ci nega. Ci considera gente cattiva".

Castigliano arcaico con l’inglese

Sembrano usciti dalle foto di Tina Modotti o dai film dell'Indio Fernández, con i loro cappelli larghi, di foglie di palma, molto rurali. Una stampa fissata nel tempo. Contadini asciutti dallo sguardo duro e diffidente circondano il delegato Zero nel patio della scuola di Mesa de Palmira, sulla cima della sierra di Morones, con lo sfondo del monte Grande, dal quale nei giorni limpidi si scorge la lontana città di Zacatecas attraverso il burrone.

È curioso il loro castigliano arcaico, mentre molti parlano inglese, o almeno lo capiscono. Anche qui è Zacatecas, la migrazione periodica nei campi dell'Oregon e Washington fa parte della loro vita. E le terre non sembrano molto ricche. Come dice Rubén, la loro fertilità dipende dal cielo. Inchiodati in una zona che si mischia col nord di Jalisco, i popoli di origine caxcán che ancora rimangono nel municipio di Tlaltenango de Sánchez Román sono Tocatic, Cicalco e Tlaltenango.

Un altro uomo dice: "Vado verso i 63 anni e da quando mi ricordo gli invasori portano pacchi di soldi al delegato di governo perché agisca a loro favore. Ed il governo ci molla nell'oblio perché è sempre corrotto. 'Signori, aspettate', ci dice, 'non vedete che adesso (gli invasori) sono come la vacca che sta dando latte?' Allora gli invasori se la godono, pascolano i loro vitelli sul terreno che è della comunità". E la risoluzione presidenziale di non pregiudicabilità non viene applicata dal 1951.

"Ad ogni elezione di un candidato questo dice che porterà quello di cui abbiamo bisogno. 'Vi metteremo più antenne così vedrete meglio la televisione. Vi asfalteremo qualche chilometro di strada'. Di tutto questo non abbiamo visto niente. Il governo di Zacatecas gli aiuti li manda a quelli che hanno già i soldi".

Un altro contadino di Tocatic prende il microfono: "Le comunità indigene sono i pilastri qui. Il governo ci separa ogni giorno di più. Quello che arriva come commissario ejidale sposa le idee del governo e fa male le cose, si mette d'accordo con i latifondisti. Dovremmo avere un commissario delle tre comunità, e che si rispettassero le giunte. Vogliamo conservare i nostri diritti, usi e costumi.

Andiamo dal governo ma questo ci dice '(....) adeguatevi al Procede'. Sappiamo che è per farci perdere la nostra terra". Il popolo caxcán possiede 33 fattorie e tremila 251 ettari, "ma abbiamo molto terreno invaso dai piccoli proprietari che ci circondano, ed il governo ha contribuito a questo".

Dal 1840, quando due popoli si separarono (cioè, rinunciarono alla loro condizione di indigeni momax e totatiche), non c'era stata una crisi interna più grave di quella iniziata nel 1988, quando il governo priista armò un gruppo di indigeni: "Della gente si prestò, e fu disastroso, fummo sul punto di un massacro di persone della comunità, ma riuscimmo a fermarlo". E racconta: "Siamo stati invasi dai quattro punti cardinali, ma le nostre comunità non hanno permesso l'entrata del Procede. Siamo più di 7mila 500 comuneros. I nostri compagni ed antenati lottano dal 1537. Abbiamo seguito la notizia degli accordi di San Andrés perché proteggevano le leggi degli indios. Abbiamo visto che non sono stati realizzati. Che ci sono stati morti per questa causa. Siamo sicuri che in tutto il paese esiste molta gente comunera e degli ejidos pronta per cambiare le cose".

Un uomo di Cicalco sottolinea: "Discendiamo dagli indigeni che peregrinarono per queste terre, le avevano già prima degli spagnoli. Pagarono molti tributi al viceré Antonio de Mendoza per averne diritto. Abbiamo sempre dovuto pagare, a tutti i governi fin da allora, per conservare le nostre terre sulla sierra di Morones. Ora i politici vogliono cancellare la proprietà sociale e comunale. Alcuni lottiamo per conservarla; un altro gruppo alleato con i funzionari accetta di distruggere le comunità. Ma siamo disposti a lottare per organizzarci".

Un altro dei presenti, "a nome di tutta la rancherada", denuncia: "Nel paese ci sono soldi a palate, ma se lo tengono tutto i funzionari".

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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