La Jornada - Mercoledì 8 marzo 2006
"L'esilio è la risposta dei governi alla gente che lotta per i propri diritti"
Il delegato Zero invita gli indigeni di Queretaro a continuare la lotta

HERMANN BELLINGHAUSEN - Inviato

Vista Alegre Maxei, Qro., 7 marzo - La riunione di aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona in questo sobborgo della capitale dello stato, conclusasi nelle prime ore di oggi, ha mostrato un mosaico molto ampio delle lotte popolari, molto dure in questo Queretato tanto conservatore e prepotente: in particolare dopo che il PAN è andato al potere nell'entità. Il delegato Zero alla fine ha ammesso che il dialogo era stato insolitamente "completo". Qui si sono svolte una serie di riunioni, non una sola, tutto lo spiegamento delle esperienze di indigeni, contadini, coloni, organizzazioni non governative (ONG), lavoratori dei trasporti, giovani ed ex carcerati politici. Sarebbe giusto dire che tutte si intrecciano e completano.

L'incontro si è tenuto in una casa ad uso collettivo a Vista Alegre Maxei, "terra di coltura" della lotta popolare e della resistenza nel difficile Queretaro medio, che prende il suo nome dal ñañú, dove "Maxei" allude al "cammino che dobbiamo percorrere che è molto lungo". E sono stati proprio i rappresentanti indigeni di diversi villaggi e quartieri urbani, come San Miguel, San Ildefonso e La Nueva Realidad che hanno dato inizio alla giornata.

L'organizzazione Fuerza Hormiga Ñañú, protagonista di memorabili mobilitazioni ai tempi del PRI e poi del PAN, ha raccontato che alle sue origini "facevano mucchietti su mucchietti, come nel lavoro della formica". Presto videro che le loro lotte stavano funzionando. L'origine furono gli emigranti di Santiago Mexiquitlán, fondatori della colonia La Nueva Realidad, contro i propositi del potere. La loro ispirazione fu la sollevazione dell'EZLN. "Quando l'Esercito federale cominciò ad attaccare i nostri compagni in Chiapas, ci mobilitammo per fermarlo", rivelano.

Nella loro lotta per avere terre dove vivere e spazi per lavorare e praticare il piccolo commercio, hanno intavolato dialoghi col governo panista, "sapendo che non avrebbe risolto niente". Di conseguenza, il governo imprigionò alcuni dirigenti. Allora "ricevettero l'appoggio dei comandanti zapatisti".

Davanti al delegato Zero, gli abitanti della colonia La Nueva Realidad, hanno affermati di essere riusciti ad avere servizi, fognature, elettricità, scuola, case.

Un altro indigeno, a nome del Consiglio Indigeno della colonia La Nueva Realidad, ha raccontato che alla nascita di Fuerza Hormiga Ñañú partecipavano 18 persone. "C'erano diversi compagni che dormivano per strada, senza un posto dove mettere le loro famiglie. Non era possibile andare avanti così. Vedemmo i fratelli zapatisti che stavano in Chiapas e dicemmo, 'se lo fanno loro, perché noi no?' Decidemmo di prendere le terre per 60 famiglie indigene ed altre meticce. Imparammo a vivere, a migliore la qualità della vita, il lavoro mutuo, imparammo da una gran organizzazione. Abbiamo avuto un grande maestro", dando riconoscimento all'impronta zapatista.

"Abbiamo condotto grandi lotte ma senza ottenere quello che volevamo nella nostra colonia che sta a nord di Querétaro. Ci hanno sempre cacciati ai margini. Adesso basta di tanta oppressione e tante umiliazioni. Anche noi indigeni esistiamo anche". Nel 1997 hanno subito repressione e carcere, in parte per la loro simpatia verso i ribelli del Chiapas. "Siamo stati puniti e divisi, ma ci siamo ripresi ed ora andiamo avanti".

Molte donne prendono la parola ed espongono il loro vissuto. Una racconta l'esperienza di indigena, ricorda il trattamento razzista dei meticci. "Ci guardano e storcono il naso, a loro non piace il nostro odore". Racconta le violenze subite per spezzarle il coraggio. "Ma la guerra si vince soffrendo".

Un uomo esorta: "Bisogna ribellarci con una forza degna. Bisogna che parliamo otomí". Un contadino di San Ildefonso parla della repressione, solo "per aver fatto una petizione al governo ai tempi del governatore panista Ignacio Loyola Vera che perseguitò gli indigeni ed anche la società civile filozapatista".

Le mancanze, le promesse non mantenute, gli inganni, la persecuzione giudiziarie. Si succedono le denunce del municipio di Amealco, prossimo alla capitale queretana, e del villaggio di San Miguel Tlaxcaltepec, dove il commissariato ejidale filogovernativo ha venduto terre ejidali con l'inganno ed ora vuole espellere le famiglie che lì vivono.

Pascual, un ñañú che è rimasto in prigione per tutto il governo di Loyola Vera, afferma che "sono molte le sofferenze, ma una molto grande è rappresentata dall'emigrazione. L'abbiamo fatto per mancanza di aiuti e conoscenze. Emigriamo verso le grandi città del nostro paese e all'estero. Ci travolgono, ci minacciano, ci maledicono, ci reprimono, ci accusano di sporcare le sue facciate e ci ricacciano indietro con la forza".

Riconosce che La Nueva Realidad e Vista Alegre Maxei sono stati "terreni di coltura per gli indigeni che stavano per strada che ci hanno insegnato la strada per autorganizzarci. Mettemmo insieme 120 compagni che andavano stavamo qua e là angli angoli delle strade. Quando lo zapatismo incominciò a risuonare, incominciarono anche a perseguirci. Lottammo per un'autorità comunitaria. A San Ildefonso i partiti fecero un patto perché il nostro compagno non vincesse, e vincemmo. Al compagno hanno permesso di rimanere in carica tre mesi, fino al 31 dicembre del 1997".

Pascual prosegue: "Eravamo prigionieri politici perché seguivamo il pensiero degli zapatisti; per questo il governo ci ha perseguitato". Riconosce che la sua organizzazione ha subito gravi attacchi e divisioni ed ora stanno recuperando la loro lotta. "Lottiamo contro le promesse che si ripetono ogni tre o sei anni. La cosa più spaventosa sono l'ingiustizia ed il fatto che combattiamo tra fratelli. Nessuno ci rappresenta più di noi stessi. Tra noi manteniamo il rispetto e la moderazione".

Il subcomandante Marcos ammette: "tutto quello che siamo riusciti a fare è per la gente come voi", e li esorta: "dovete riannodare l'organizzazione, la forza ñañú. Quello che faremo è la pura lotta; se si perde questa si perde tutto il paese".

Parla delle donne zapatiste, della loro influenza nel movimento ribelle e si rivolge alle donne presenti: "Le donne sanno che ci fregano come poveri e come indigeni. Ci buttano addosso l'acqua perché così che si cacciano gli animali".

Ed aggiunge: "Dobbiamo unirci ai lavoratori della città. Abbiamo visto chiaramente che quelli che lottano in maniera più decisa sono i popoli indios. Non stiamo più lottando per vedere che cosa ci darà il governo, ma che cosa ci toglierà. E dobbiamo stare accorti perché nel momento in cui vinceremo non ci lascino nell'oblio un'altra volta".

Subito dopo è iniziata la riunione con i lavoratori dei campi. Anselmo Martínez, un altro dei prigionieri politici della Frente Independiente de Organizaciones Sociales (FIOS, subito trasformatosi in FIOZ diventando zapatista) sotto il governo di Loyola. "È stato per la 'Z' che ci hanno trattato peggio".

Racconta che nel 1998 il governo militarizzò Santa Rosa Jáuregui, stabilendo posti di blocco e vessando la popolazione con interrogatori e schedature dei contadini. "Volevano la distruzione della famiglia, volevano comprarci. Gli dicemmo che non eravamo in vendita e ci risposero che l'avremmo pagata".

Un rappresentante di San José el Alto, che insieme a Santa Rosa e San Isidro Buenavista erano un serbatoio di voti per il PRI, ha raccontato che nel 1995 il governo di Mariano Palacios Alcocer ha sottratto ai contadini molti ettari di terra per costruire una prigione ed una strada. Ha spiegato di come gli appezzamenti sono assegnati con titoli di proprietà individuali, che è il preambolo per perderli. "Uno sente come se gli strappassero il cuore, ma il contadino vende la sua terra perché la sua tavola è vuota. Che governo perverso! Non gli importa niente della storia".

Un altro contadino riferisce che "la terra, che è nostra, ora è del nuovo presidente municipale. Adesso sì ci mette l'asfalto, perché i padroni sono altri. Se ce la presta un momento, la recupereremo presto".

Di fronte a tutto questo, Marcos afferma: "Stiamo subendo una nuova guerra di conquista", ed in relazione alla prigione di San José, commenta che sicuramente servirà per imprigionare i figli dei contadini che furono i padroni di queste terre. "L'esilio è la risposta dei governi alla gente che lotta per i propri diritti". Anticipa che i prezzi dei prodotti continueranno a scendere e che il governo l'ha calcolato. "Quella che non calcola è la ribellione della gente".

Dopo aver ascoltato membri di diverse ONG, dice che queste sono "la coscienza sporca della società" e riconosce i loro progressi nella questione di genere e della diversità sessuale, oltre che all'attenzione per i problemi ambientali e dello sviluppo sostenibile. Quindi hanno parlato i punk libertari, anarchici e dell'area dell'autogestione che espongono le loro idee riguardo all'azione politica ed alla partecipazione sociale, così come la costante repressione della polizia di cui sono oggetto.

Poi i coloni di Maxei hanno raccontato i loro 20 anni di lotta, le loro conquiste, il processo di costruzione della loro colonia e della loro organizzazione.

I giovani di Maxei ("una madre, un seme che ha generato molti frutti") riferiscono di essere cresciuti nella lotta dei loro genitori, che ha rafforzato in loto il senso di solidarietà. Segnalano l'importanza dell'organizzazione intorno a progetti definiti, e che "l'individualismo è un elemento indispensabile per l'introduzione del neoliberismo".

L'esperienza ereditata "con rispetto e responsabilità" li ha resi parte di questo "processo di formazione politica, geografica e sociale dello spazio dove oggi ci troviamo", e si pronunciano per riattivare il lascito dei loro genitori, arricchendolo con una solida base politica.

Alla fine parla Sergio Jerónimo Sánchez (un altro dei prigionieri politici dell'ex governatore Loyola Vera) che ha esteso la solidarietà dell'altra campagna ad altri attivisti che restano in carcere: i barzonisti Rubén Díaz Orozco e Ángel Guillén Pérez (abbandonati dalla loro organizzazione), e Martha, la compagna di Anselmo Martínez.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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